USA VS CINA II

23 giugno 2022

IL PASTICCIO DEL GAS DA ISRAELE

Era circa il 2008 quando divenne molto realistica la possibilità di un grande giacimento di gas sottomarino nella zona fra Israele e Cipro. Il suo nome era Leviathan. In quel periodo ancora lavoravo e nel mio gruppo si decise di analizzare la possibilità di partecipare alla realizzazione di quel grande investimento “vicino casa”. Se ne occupò un mio collega membro della comunità ebraica di Roma e con numerose conoscenze locali. Egli effettuò alcuni viaggi, ma le cose andavano per le lunghe e ce ne disinteressammo. Poi io andai in pensione e smisi di occuparmene. Vi dico ciò per darvi evidenza che ciò di cui parliamo in questi giorni non è assolutamente una novità, ma un gigantesco pasticcio in cui la storica inimicizia fra i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo orientale, la geopolitica per la quale un problema europeo diventa immediatamente un affare che coinvolge le Grandi Potenze, e infine la capacità tutta italiana di cambiare continuamente opinione si mescolano in un groviglio inestricabile.

Partiamo appunto dal Leviathan. Nel 2010  Noble Energy (poi acquistata da Chevron) confermò l’esistenza di un grande giacimento di gas in pieno Mediterraneo, scatenando l’interesse di tutti. Esso era il secondo maggior giacimento, dopo quello di Zhor al largo delle coste egiziane, di fronte ad un “blocco” appartenente a Cipro. Facevano tutti parte del grandissimo bacino “Levantino”. Per primo intervenne il Libano sostenendo che il blocco penetrava nelle acque libanesi. Iniziò subito una disputa con Israele che dichiarò che avrebbe usato la forza per proteggere “le ragioni del diritto”. L’ONU interpellato, dando un colpo al cerchio e uno alla botte, sostenne che Tamar (un altro blocco) e Leviathan erano al di fuori del territorio libanese , ma che altre aree “fertili” si trovavano all’interno di esse. Fu l’inizio della battaglia. Tutti gli stati rivieraschi affermarono i loro diritti e la Turchia in particolare “calò il suo asso” come vedremo in seguito.

Nel 2016 fu finalmente lanciato un progetto per portare il gas israeliano in Italia e da qui in Europa.  Esso prevedeva una prima pipeline da Israele a Cipro, una seconda da Cipro a Creta, con un approdo finale in Peloponneso. Da lì un altro tronco avrebbe portato il gas in Salento per allacciarsi alla rete italiana di metanodotti. Questo lungo metanodotto “EastMed” avrebbe collegato i giacimenti israeliani (Tamar e Leviathan), egiziani (Zhor) e ciprioti (Calypso e Afrodite) e si sarebbe interconnesso sul suo cammino anche con IGB (fra Grecia e Bulgaria).  Il relativo accordo, dopo anni di negoziati fu firmato da Grecia, Cipro e Israele. I Paesi coinvolti erano tutti i Paesi dell’East Mediteranean gas Forum. Quest’ultimo è un’organizzazione internazionale formata da Cipro, Egitto, Francia (entrata in seguito), Grecia, Israele, Italia, Giordania e Palestina, con sede al Cairo. Osservatori permanenti: USA e Unione Europea. Esso fu istituito informalmente nel 2019 e il suo statuto fu firmato a settembre 2020. Quest’accordo aveva un grande assente, la Turchia. Esistevano due ostacoli: anzitutto la nota ostilità esistente fra Grecia e Turchia e poi il fatto che esso includeva Cipro, riconosciuta dalla gran parte della comunità internazionale, ma non dalla Turchia, che invece supporta la repubblica turco-cipriota che occupa la parte settentrionale dell’isola, con le truppe dell’ONU interposte fra le due. Erdogan reagì immediatamente all’accordo fra i tre Paesi con una dichiarazione chiarissima del Ministero degli Esteri “Qualsiasi progetto che ignori la Turchia, che ha la costa più lunga del Mediterraneo orientale, e i turco-ciprioti, che hanno uguali diritti sulle risorse naturali dell’isola di Cipro, non può avere successo”. Contemporaneamente Ankara aumentava la sua attività esplorativa in acque spesso al di fuori dei suoi diritti riconosciuti, anche con l’invio di navi da guerra ad accompagnare le navi di ricerca nelle acque territoriali greche. Per rendere più efficace la sua richiesta, nel Novembre 2019 la Turchia firmò un accordo bilaterale con la Libia che creava una lunga striscia di mare (vedi foto in coda all’articolo) fra i due Paesi con diritti esclusivi, e arrivava a lambire addirittura le coste greche dell’isola di Creta. Come si può vedere esso blocca qualunque libero sfruttamento o  l’esportazione del gas cipriota o israeliano senza l’accordo turco.

In mezzo a questo guazzabuglio diamo un’occhiata alla posizione italiana che dovrebbe essere la più interessata al progetto EastMed, che porterebbe gas direttamente nel nostro Paese e sotto il nostro controllo. Tale investimento è infatti sviluppato da una joint venture 50750 fra la greca DEPA S.A, e il gruppo italo-francese Edison S.p.A. Esso dovrebbe trasportare il gas in Italia attraverso il tronco Poseidon anch’esso a partenariato italiano. Il piano è stato dichiarato dalla UE progetto di interesse comune (PCI) e anche incluso nel progetto di sviluppo decennale della UE (TYNPD) La UE ha già finanziato gli studi preliminari con circa 35 m€. Per l’Italia questo potrebbe portare a una maggior diversificazione dei suoi fornitori di gas . Nell’incontro intergovernativo del 2017 a Telaviv, l’allora ministro Calenda aveva definito questo progetto “un fondamentale asse di sviluppo della strategia energetica complessiva del Mediterraneo”. Due anni dopo, un politico di tutt’altre idee politiche, l’on. Salvini, in occasione della sua visita in Israele si dichiarò favorevole all’iniziativa e invitò le aziende italiane a parteciparvi. Ciò non fu gradito ai 5 stelle e l’allora Presidente Conte affermò “sicuramente in questo momento il governo non ha alcuna sensibilità per realizzare il tratto finale di Poseidon (che nel frattempo ha ottenuto tutte le approvazioni necessarie), come originariamente progettato. Poco dopo il ministro dello sviluppo economico Patuanelli il 2 gennaio 2020 in una lettera alla sua controparte greca esprimeva “le sue più sentite congratulazioni per il successo dell’iniziativa EastMed che l’Italia continua a sostenere”. Infine (temporaneamente) il governo italiano nel Piano nazionale integrato per l’energia e il clima presentato il 24 gennaio scorso scrive “Il progetto potrebbe non rappresentare una priorità, visto che gli scenari di decarbonizzazione possono essere attuati tramite le infrastrutture esistenti”. Teniamo conto che stiamo parlando di un investimento internazionale di oltre 6 miliardi di Euro, che coinvolge direttamente la strategia a medio-lungo termine di vari Paesi del Mediterraneo e richiede circa quattro anni per la sua realizzazione. Come esso può essere credibile se il principale utente del gas trasportato, l’Italia, continua a cambiare opinione ad ogni stormir di vento? Come può il sistema finanziario internazionale che dovrebbe ovviamente essere coinvolto in un investimento di queste dimensioni, prenderlo seriamente in esame? Come possono tutti gli altri stake holders coinvolti nella sua realizzazione considerarlo seriamente nelle loro prospettive di sviluppo? Ecco, un Paese dovrebbe a mio avviso, sulla base delle sue necessità, dei suoi interessi a medio-lungo termine, del suo posizionamento nella politica internazionale, e dopo un’analisi di prospettive e rischi economici e geopolitici, dovrebbe, ritengo, prendere una decisione e poi attuarla, non porla di nuovo in dubbio ad ogni cambio di governo. Ma la storia non finisce qui e Paesi di ben altro peso hanno fatto di peggio.

Gli USA infatti, non potevano restare fuori dal teatro mediterraneo. Oltre ad entrare come osservatori nel forum del Mediterraneo orientale, l’ambasciata americana a Cipro il 21/3/2019 comunicò: “Ieri i governi di USA, Israele, Grecia e Cipro si sono incontrati a Gerusalemme. Il segretario Pompeo ha sottolineato il sostegno degli USA al meccanismo trilaterale istituito da Israele, Grecia e Cipro, sottolineando l’importanza di una maggiore cooperazione. I leader hanno deciso di aumentare la cooperazione regionale; sostenere l’indipendenza e la sicurezza energetica, e per difendersi dalle influenze maligne esterne nel Mediterraneo Orientale e nel più ampio Medio Oriente…”. Dopo due mesi, il 22 maggio 2019, il Parlamento americano chiarisce meglio la situazione nella “Legge per il partenariato energetico nel Mediterraneo orientale”. E’ interessante parlarne perché esplicita gli interessi americani e lo scenario in cui essi si inquadrano.

Nelle premesse si fa riferimento alla partecipazione di Pompeo alla riunione del 20 marzo, alla scoperta dei giacimenti di gas in quell’area, ma non ci si ferma qui. Si aggiunge “Il governo turco ha espresso l’intenzione di acquistare il sistema di difesa missilistica S-400 della Federazione Russa, che potrebbe innescare l’imposizione di sanzioni obbligatorie ai sensi del Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act….. E’ nell’interesse della sicurezza nazionale degli Stati Uniti promuovere, raggiungere e mantenere la sicurezza energetica tra e attraverso la cooperazione con gli alleati… gli USA hanno accolto con favore l’assegnazione da parte della Grecia del 2% del suo PIL alla difesa…” Torna poi al gas “Il gasdotto proposto per il mediterraneo orientale, se redditizio dal punto di vista commerciale, consentirebbe la diversificazione energetica conformemente al terzo pacchetto di riforme energetiche della UE….. L’esplorazione energetica della ZEE di Cipro, e nelle acque territoriali promuove gli interessi degli USA fornendo una potenziale alternativa al gas russo ….”. Si arriva poi alle dichiarazioni “ E’ politica degli USA continuare a partecipare attivamente al dialogo trilaterale su energia, sicurezza marittima, sicurezza informatica …. Sostenere con forza il completamento del gasdotto trans Adriatico, e del gasdotto del Mediterraneo orientale e la creazione di terminali di LNG attraverso il Mediterraneo Orientale….. mantenere  una solida presenza navale degli USA e investimenti nella struttura navale di Souda Bay, in Grecia… sostenere gli sforzi per contrastare l’interferenza e l’influenza russa nel Mediterraneo Orientale attraverso una maggior cooperazione in materia di sicurezza con Israele, Grecia e Cipro, per includere la condivisione dell’intelligence…. Esortare i paesi della regione a negare i servizi portuali alle navi russe schierate …. E porre fine agli accordi esistenti che garantiscono l’accesso ai porti delle navi militari russe… sostenere esercitazioni militari congiunte…. Sostenere gli sforzi dei paesi della regione per smobilitare l’equipaggiamento militare fornito dal governo della Federazione Russa ..”   Torna poi alla cooperazione  energetica mettendo allo studio un Centro per l’Energia congiunto degli USA e del Mediterraneo orientale negli USA e chiedendo al segretario di stato di sottoporre al Congresso una valutazione degli obiettivi di sicurezza ed energia russi in Mediterraneo Orientale, una descrizione dei progetti energetici russi nell’area, una lista dei media posseduti dai russi, includendo una valutazione dei loro punti di vista e il loro supporto al Cremlino, ed una valutazione delle azioni supportate dalla Russia per influenzare le elezioni nei tre Paesi In ultimo il documento si rivolge direttamente alla Turchia stabilendo il divieto di trasferimento in Turchia di aerei F-35 e che l’acquisto di sistemi d’arma russi si inquadrerebbe come una violazione della legge del 2017 di contrasto all’influenza russa,  che metterebbe in pericolo l’integrità dell’alleanza NATO, che inciderebbe negativamente sulle operazioni militari americane in corso”.

Mi sono dilungato su questo documento perché esso chiarisce due aspetti.  Il primo si riferisce alle motivazioni  dell’intervento americano. Si era in un momento in cui Erdogan aveva iniziato a “trescare” con la Russia collaborando o contrapponendosi ma in maniera assolutamente “indipendente”. Ciò era evidente dall’atteggiamento in Medio Oriente come pure in Libia, e dalle trattative per l’acquisto di materiale di armamento russo. Ciò non era (è non è ) accettabile per gli USA i quali, sbarazzandosi delle pastoie eventuali per un’azione coordinata con la UE che dovrebbe essere l’attore principale nel Mediterraneo, e della stessa NATO, decidono di agire direttamente, scavalcando i “partners”. Si tratta quindi di una motivazione assolutamente geopolitica, in cui il problema energetico è in secondo piano, asservito all’esigenza primaria di fronteggiare “l’indipendentismo” turco nell’ambito di un confronto già in atto con la Russia. Questo è un punto di estrema importanza per capire cos’è successo in questi mesi. Il secondo punto è una considerazione amara. Stiamo parlando del Mediterraneo, il “Mare nostrum” culla della nostra civiltà e degli interessi economici e strategici europei. Almeno in quest’area dovremmo essere i leader. Italia e Francia sono presenti nel Forum del Mediterraneo Orientale e la UE è presente come osservatore, al pari degli USA. La Francia ha mandato le sue navi militari in quei mari per confrontarsi con il supporto militare turco ad alcune prospezioni nelle aree di Grecia, Israele e Cipro. Al nostro “fratello maggiore” non basta. Non si preoccupa di coordinarsi con la UE o con i membri del forum (Italia e Francia) ma agisce direttamente con accordi e leggi che scavalcano tutti (inclusa la NATO, a nome della quale gli USA spesso parlano). Non voglio allargare il discorso, ma non sarebbe giusto che noi Europei facessimo valere il nostro ruolo che dovrebbe essere dominante rispetto ad alleati che vivono a diecimila chilometri di distanza? E’ questo il modo in cui siamo considerati alleati? Pronti a mandare le nostre truppe in Iraq o in Afghanistan quando richiesti ma ad essere scavalcati a casa nostra?

E andiamo ad oggi.  Il 7 dicembre 2021 i primi ministri di Israele, della Grecia e il presidente della repubblica di Cipro, in una nota congiunta dichiarano fra l’altro “Nell’ambito della nostra cooperazione nel campo dell’energia abbiamo discusso del ruolo economico del gas naturale nella nostra regione e del progetto EastMed pipeline. Confermiamo il nostro sostegno a tutti i progetti di interesse comune” Il 10 gennaio 2022 la diplomazia USA emette un “non-paper” un “non documento”, una sorta dichiarazione semi-ufficiale di cui esistono più di una versione simili, ma non identiche. In sostanza gli Stati Uniti dichiarano di non supportare più l’iniziativa del gasdotto EastMed, sostanzialmente perché sarebbe contraria alla politica americana di contrasto alla produzione di energia di origine fossile, di non concordare con un progetto non economicamente fattibile e che comunque creerebbe instabilità con la Turchia. E’ il ribaltamento evidente e totale della politica adottata fino a quel momento e soprattutto della vera ragione del supporto precedente: il contrasto con la Turchia che non era allineata nel contrasto alla Russia. Le reazioni sui media locali furono immediate. Omega Press parla di un documento informale del Dipartimento di Stato al governo greco, che annunzia il rifiuto di Washington di sostenere questo progetto. “La politica turca ha trionfato –sostiene- e ora stiamo aspettando le reazioni e le conseguenze…. Gli USA nel non-paper  sottolineano che l’idea di questo gasdotto è un focolaio di tensione nel Mediterraneo orientale, prendendo chiaramente la posizione della Turchia. Questo è un nuovo ragionamento che non solo indebolisce le posizioni greche, ma le schiaccia e allo stesso tempo adotta completamente l’argomentazione turca <l’accordo libico-turco sui loro diritti sul corridoio che li unisce>… L’idea di un hub energetico, un’alleanza storica con Israele e Egittoche lasciava la Turchia ai margini sta crollando, come la legge sui limiti esterni della piattaforma continentale greca… La politica estera greca si basava sulla legittimità del diritto internazionale, e sugli schemi di cooperazione  con Cipro, Israele e Egitto. … Il governo greco sta soffrendo le conseguenze delle sue azioni e la servitù che mostra agli USA… Il Primo Ministro ha enormi responsabilità per la firma dell’accordo sulle basi con gli USA <vedi sopra> … e ora dice “grazie” accettando la posizione turca sul Mediterraneo orientale”

Pochi giorni dopo G. Maniatidis si chiede: “C’è stata una precedente consultazione con i partners greci, israeliani e ciprioti e con la UE? E perché non se ne è parlato? Perché Biden si è opposto al North Stream II adducendo la maggiore dipendenza dalla Russia, e cancella EastMed, l’unico gasdotto nuovo che riduce tale dipendenza? E perché pubblicare questo non-paper quando non si è chiesto alcun finanziamento agli USA visto che il progetto è finanziato dalla UE, e dalle due società proprietarie DEPA e Edison? Esiste uno studio economico che dimostri la non-fattibilità economica? chi l’ ha visto? al contrario a luglio 2021 la società del gasdotto ha pubblicato uno studio che ne dimostra la fattibilità. tutte domande legittime a cui, ovviamente non è stata data alcuna risposta.

In maniera più pacata il 30 gennaio il Jerusalem Post afferma “va ricordato che l’importanza principale del gasdotto è stata da sempre politico-strategica. Metteva in evidenza il triangolo formato da Israele, Grecia e Cipro e il potenziale energetico per l’Europa. Esso è stato un catalizzatore per molteplici interessi comuni in altri campi…. Questa partnership ne risulterà danneggiata? E che ne sarà del rapporto americano-ellenico, diventato molto stretto in questi anni?.... Oggi la più delusa è la Grecia. Infatti Israele è già nella fase più avanzata di sviluppo dei suoi giacimenti e Cipro sta risolvendo i suoi contenziosi con Israele, Egitto e Libano. Ovviamente l’Egitto è il più soddisfatto perché si è riconfermato come principale hub energetico , e Ankara è anch’essa chiaramente soddisfatta della posizione americana. Rafforzerà infatti la sua posizione anche se deve affrontare la mancanza di fiducia della maggior parte degli attori della regione.”

Del resto anche sul fronte americano Henry J. Barkey il 7 febbraio, alle soglie della guerra Ucraina dichiara “Anche se gli USA possono aver pensato di avere una responsabilità nell’ambito del meccanismo 3+1 progettato per incoraggiare la cooperazione regionale, resta il fatto che la decisione di costruire un gasdotto spetta a quei tre Paesi e agli Europei, non a Washington… Anche la tempistica del non-paper è imbarazzante….anche se il gasdotto EastMed fosse irrealistico, non sarebbe stato più astuto lasciare che Putin pensasse che l’Europa ha altre opzioni? L’opposizione dell’amministrazione Biden al gasdotto EastMed nasce dal suo impegno molto pubblico, quasi ideologico, di accelerare il passaggio alle fonti energetiche rinnovabili.”

Il 6 maggio le acque cominciano a chiarirsi dopo l’intervento del segretario di stato americano, con una dichiarazione congiunta “ In un periodo critico per l’Europa, gli Stati Uniti e il mondo, i ministri hanno riaffermato il loro impegno per il formato 3+1 e hanno deciso di intensificare la loro cooperazione nei settori dell’energia, dell’economia, dell’azione per il clima, della preparazione alle emergenze dell’antiterrorismo, contribuendo alla resilienza, alla sicurezza energetica e all’interconnettività della regione”. Non si fa alcuna menzione del gasdotto EastMed. La pax Americana ha trionfato di nuovo ma in Italia e in Europa non è ancora chiaro in che termini.

Lo scenario aggiornato Il 13 giugno U.S. pipeline & Gas Journal pubblica un articolo molto interessante di segno assolutamente contrario. Titolo “DNV conferma fattibilità e maturità del gasdotto EastMed”.  In esso Fabrizio Matana, CEO di IG Poseidon dichiara “EastMed pipeline, insieme a Poseidon Pipeline, è il progetto più maturo dell’area mediterranea, essendo ora nella fase finale di ingegneria e raggiungerà l’inizio delle operazioni commerciali nel 2027. Collegherà direttamente l’Europa ai giacimenti di gas naturale nel bacino del Mediterraneo orientale, creando anche opportunità di accesso a nuovi siti di produzione di idrogeno in quell’area. Il progetto fornirà all’Europa un nuovo percorso di fornitura di gas, complementare al GNL, migliorando la sicurezza energetica e la diversificazione delle fonti. DNV ha riemesso la dichiarazione di fattibilità a seguito della valutazione aggiornata della documentazione FEED fornita da IGI Poseidon SA. Questa valutazione indipendente ha confermato la maturità tecnica del progetto e i benefici del coinvolgimento anticipato nelle attività di progettazione delle imprese di costruzione offshore, grazie al dialogo competitivo instaurato nell’ambito della procedura di gara in corso”. A sua volta Santiago Blanco, EVP di DNV ha dichiarato “ Negli ultimi decenni DNV è stata coinvolta in una serie di progetti di grande successo tra cui quelli del gasdotto di grande dinametro Perdido Norte e del gasdotto Tahiti-Ricciola nelle acque profonde del Golfo del Messico, contribuendo al consolidamento e all’ammodernamento di standard di sicurezza e integrità per i gasdotti offshore, motivo per cui la maggior parte degli sviluppi attuali e nuovi sono progettati secondo i nostri standard”

E finalmente arriviamo a questi giorni.Il governo americano, con un’altra giravolta a 180° dichiara che, a causa della guerra in Ucraina bisogna trovare ulteriori via di approvvigionamento per l’Europa. Non può scontentare la Turchia e quindi riporta a galla una vecchia idea già inserita fra le prospettive dell’East Mediteranean Forum ma tenuta abbastanza in disparte. Si tratta di trasferire il nuovo gas disponibile in Egitto, attraverso Israele e il vecchio gasdotto Israele Egitto il cui flusso verrebbe ora invertito. Mi occupai di questo gasdotto, che passa in mare di fronte ai terreni palestinesi, molti anni fa. Era uno dei primi, ufficiosi segni di pacificazione fra i due Paesi. In Egitto il gas verrebbe purificato  nei due impianti esistenti ed il metano, liquefatto, verrebbe trasportato in Italia come LNG. In febbraio si diceva che questi gasdotti, ma soprattutto gli impianti di liquefazione funzionassero già a piena capacità e infatti solo una o due navi erano arrivate in Europa (una proprio in Italia). Se quindi servisse un ampliamento, questa soluzione richiederebbe almeno tre anni per poter essere operativa. Sembra però che, miracolosamente,  questo schema potrebbe essere attuato subito. Sarà…. Staremo a vedere. Il Presidente Draghi comunque, qualche giorno prima della sua visita in Israele, ha incontrato l’ambasciatore Israeliano a Roma, e ha discusso a fondo tutte le soluzioni sul tavolo che possano ridurre la dipendenza dal gas russo. Di queste prospettive Draghi ha poi discusso con la stampa italiana a cui ha spiegato che la soluzione strategicamente più importante è il gasdotto EastMed-Poseidon in quanto gestito direttamente dall’Italia, ma esso richiede almeno quattro anni per essere operativo. Sarebbe più rapido un passaggio attraverso la Turchia, come richiede a gran voce Ankara, ma ciò è reso quasi impossibile dall’aspra rivalità (un eufemismo) greco-turca. Esistono però altre strategie da poter attuare in parallelo, con tempi di messa in opera più ridotti. Nella riunione del 13 giugno con il Primo ministro Bennett, oggi dimissionario (speriamo che non cambi niente) Draghi ha riconfermato quanto detto sopra ma non esiste un testo univoco di queste discussioni. Due giorni dopo però, il 15 giugno, rappresentanti della Commissione Europea, di Israele e dell’ Egitto hanno firmato un MOU per la fornitura di gas israeliano sotto forma di  LNG attraverso l’Egitto. Esso potrà dare 3 miliardi di SCM nel 2022 che diventeranno 4 negli anni successici. È un’inezia rispetto ai 12, aumentabili a 20 di EastMed, ma sempre meglio di niente. La Presidente Von der Leyen ha dichiarato “ Con quest’ accordo UE-Israele-Egitto lavoreremo alla fornitura stabile di gas all’UE dalla regione del Mediterraneo Orientale. Ciò contribuirà alla sicurezza energetica europea” . e poi “Ciò aiuterà a intensificare le consegne di energia in Europa. Porterà il gas da Israele, tramite un gasdotto, si spera un giorno un gasdotto pronto per l’idrogeno. In Egitto sarà liquefatto in LNG e quindi portato nella UE”. Non so chi abbia preparato questa dichiarazione. Infatti, ammesso che in futuro questo gasdotto potesse trasportare una miscela metano idrogeno, quest’ultimo dovrebbe essere tolto durante la produzione di LNG. Forse l’ultima frase si riferiva al gasdotto EastMed che è tutt’altra cosa. Comunque la parola “idrogeno” oggi strappa consensi.

Un’altra considerazione: questo accordo, nel tripudio generale, mette purtroppo la parola fine, se mai ce ne fosse stata qualche speranza, alla vicenda REGENI. E’ LA POLITICA, GENTE!

Tutti felici quindi? Niente affatto, perché siamo in Italia dove la parola “fine” è quasi inesistente. Per gassificare il metano, infatti, e metterlo in rete, è necessario uno stoccaggio ed un impianto di ri-gassificazione. Normalmente si fa ricorso ad istallazioni fisse ma è da vent’anni che in Italia si dibatte su questo senza alcun risultato e solo di recente si è creata una istallazione semi galleggiante nel mare Adriatico. Una soluzione più rapida, e più costosa, è l’acquisto di una nave esistente che dovrebbe essere ormeggiata di fronte alle coste toscane. Tutto a posto? Certamente no, le comunità locali hanno già alzato le barricate. Temo che alla fine questo gas, di origine israeliana, trasferito in Egitto, liquefatto probabilmente nell’impianto Shell di Idku (più grande rispetto all’altro partecipato da ENI a Damietta) sarà trasferito in Francia, rigassificato e trasferito in Italia. E’ già successo molti anni fa con l’LNG nigeriano. Ovviamente ad ogni passaggio verrà aggiunto un ricarico. NON CHIEDIAMOCI PERCHE’ IL COSTO DELL’ENERGIA ELETTRICA IN ITALIA E’ IL PIU’ ALTO D’EUROPA. Proprio oggi infine leggo che ci lamentiamo di comportamento sleale da parte dell’Europa. Ma è colpa dell’Europa se la Francia ha oggi una cinquantina di centrali nucleari e noi nessuna? Ed è colpa dell’Europa se la Germania (che comunque è molto meno indebitata di noi) ha sempre mantenuto pronte a partire le sue centrali a carbone e noi continuiamo a discutere? Ed è colpa dell’Europa se noi abbiamo smesso di estrarre il nostro gas dall’Adriatico mentre in Croazia continuano a farlo? Ogni Pese europeo ha fatto liberamente le sue scelte ed oggi ne deve affrontare le conseguenze. Perché non siamo mai capaci di assumerci le nostre responsabilità?

le acque autoassegnatesi nell'accordo Libia Turchia

le acque autoassegnatesi nell'accordo Libia Turchia

5 novembre 2021

Joe Biden vs. Xi Jinping II

Torniamo all’assemblea dell’ONU dove Guterres ha posto l’accento sulla necessità del multilateralismo. La nascita dell’ONU risale alla conferenza di San Francisco del 26 giugno 1945 quando USA, UK, URSS, Cina e Francia, le potenze vincitrici della seconda guerra mondiale, si riunirono assieme a tutti gli altri Paesi che si erano opposti alle potenze dell’Asse e approvarono lo statuto dell’ONU, rapidamente ratificato dai Paesi fondatori ed entrato in vigore sostituendo la Società delle Nazioni che ancora esisteva. Negli anni, praticamente tutti gli Stati del mondo sono entrati a farne parte per cui ora i Paesi membri sono 193, quasi il quadruplo dei fondatori. La carta quindi, con qualche modifica non essenziale ha oggi 76 anni e li dimostra tutti. Essa, infatti, è figlia della fine della guerra e ha ben poco a che fare con la situazione politica di oggi in un mondo che è diventato piccolo, fortemente interconnesso, e che avrebbe bisogno di un reale multilateralismo sancito, riconosciuto, e accettato da tutti i Paesi membri per garantire il mantenimento della pace e non essere semplicemente un costoso megafono delle grandi potenze vincitrici della guerra. Intendiamoci, i suoi fini sono nobili “assicurare, mediante l’accettazione di principi e l’istituzione di sistemi, che la forza delle armi non sarà usata, salvo che nell’interesse comune”. In calce a questa nota vi trascrivo gli articoli dello statuto essenziali per i nostri fini. In sostanza però l’organo base è l’Assemblea Generale che ha il diritto di dibattere qualsiasi argomento inerente ai compiti dell’organizzazione ed emettere raccomandazioni non vincolanti. Molto più importante è il Consiglio di Sicurezza (CS), formato da cinque membri permanenti: USA, Russia, Cina, Francia e UK (le grandi potenze vincitrici della guerra), e dieci membri non permanenti eletti dall’Assemblea Generale. Le decisioni del consiglio (a parte quelle procedurali) sono prese “con un voto favorevole di nove membri nel quale siano compresi i voti dei membri permanenti” . I membri dell’ONU in qualsiasi controversia devono astenersi dall’uso o dalla minaccia della forza. La decisione di queste azioni e le modalità della sua esecuzione sono riservate al consiglio di sicurezza. Solamente in caso di aggressione e temporaneamente, fino all’intervento del Consiglio di Sicurezza, la parte offesa può esercitare i suoi diritti di autotutela.

Il dedalo di pipeline in Europa

In sostanza il CS sarebbe il titolare della risoluzione di ultima istanza dei conflitti fra le nazioni. Purtroppo la realtà è ben diversa perché USA, Cina, Russia, Francia e UK, con il diritto di veto possono paralizzare e rendere impossibile qualunque decisione che non sia di loro convenienza. In base a quale diritto? Essere state le potenze vincitrici della seconda guerra mondiale.  E’ a mio avviso un diritto che non ha alcun fondamento dopo 76 anni dalla fine della guerra e in un contesto geopolitico totalmente diverso da quello di allora. Inutile dire che i numerosissimi tentativi di modificare lo statuto si sono dimostrati assolutamente infruttuosi. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Vi ho citato in passato le ripetute risoluzioni dell’Assemblea di condanna dell’embargo contro Cuba, oppure la condanna per il carcere di Guantanamo, e cento altre bloccate o addirittura non esaminate dal CS per il veto posto da uno o l’altro dei membri permanenti, senza esclusione di nessuno.

Cosa ne consegue? Semplice, che oggi come negli ultimi 1500 anni della nostra storia il mondo è abbandonato alla volontà di dominio del Paese più forte e più ingordo. Per restare alla storia europea che tutto conosciamo, dalla fine dell’impero romano in poi le città, le regioni e gli stati europei sono stati perennemente in guerra fra loro con rarissimi momenti di tregua. E quando i grandi navigatori scoprirono il nuovo mondo e in seguito una maniera semplice per arrivare in Asia via mare, le guerre fra di noi coinvolsero anche gli altri continenti ed ci furono innumerevoli stragi e genocidi. Ogni volta c’era un motivo di altissimo livello “convertire gli infedeli alla vera religione, portare la civiltà a chi viveva in maniera diversa da noi, creare prospettive di benessere per i nostri popoli, e infine portare la democrazia a popolazioni che avevano un modo ben diverso di governarsi” e ancora una volta senza che tutto questo ci fosse richiesto. “Come potevano i popoli civili – si diceva – astenersi dal portare nel mondo la parola di Dio, oppure i nostri principi di governo, e convincere anche con la forza i popoli ad accettarli?”  Arriviamo ai giorni nostri. Con la fine della seconda guerra mondiale e ancor di più con il crollo dell’Unione Sovietica l’ombrello militare degli USA, una potenza capace di distruggere ogni avversario, assicurò ai Paesi europei probabilmente il più lungo periodo di pace della propria storia. Finirono le guerre millenarie in Europa ma non fu così per il resto del mondo. Gli USA, anche loro mossi da un afflato “religioso” non smisero mai di fare guerra direttamente o indirettamente quasi senza interruzione per imporre i loro principi prima al continente americano e poi a tutta l’Asia.  Il Giappone era stato distrutto e incapace di ogni reazione ma Cina e India erano ossi ben più duri. L’India, che oggi consideriamo una democrazia compiuta, sta in realtà tornando sempre più a metodi ben diversi, risorgono i problemi con i mussulmani, sul piano privato non sono mai scomparsi i matrimoni combinati etc. Resta la Cina. E qui sorgono i problemi veri. Tutto l’occidente pensava che essa sarebbe stata ben felice di essere convertita al nostro mondo, ma non è così. Non appena uscita dalla sua crisi durata 150 anni, la Cina si è poco a poco riappropriata della sua storia e della sua cultura e non accetta una sottomissione né culturale e meno che mai militare. Ma oggi non si combatte più con le spade o con i cannoni. Oggi l’arma atomica è in mano a molti Paesi e alcuni di essi hanno anche la possibilità del secondo colpo. Si dice” Ma proprio per questo essa non verrà mai usata”. Errore, il mondo, tutto il mondo, è governato non solo dalla ragione ma da principi, da emozioni, per le quali tutto diventa possibile; possiamo chiamarlo religione, razzismo, scontro di civiltà, democrazia, smania di potere e di conquista, giganteschi interessi economici e via di seguito. Secondo tutti gli osservatori internazionali non siamo mai stati così vicini quanto oggi alla distruzione del pianeta, e molto prima di quanto possa fare la variazione climatica.

E ci vorrebbe l’ONU. Un organismo internazionale in cui tutti i Paesi fossero rappresentati e, in maniera democratica, avessero la possibilità di dibattere e decidere il destino di tutti. Ma oggi non è così: esistono 188 comparse che vengono lasciate chiacchierare e fra esse anche Paesi importanti, come l’India, l’Indonesia, il Brasile, la Germania, e la nostra stessa Italia. A fronte di esse ci sono cinque Paesi, ma sostanzialmente tre, che si giocano a dadi le nostre vite e il nostro futuro. E’ accettabile tutto ciò? Questo intendeva Guterres quando parlava della necessità di un reale multilateralismo. In questo nostro mondo, piccolo e interconnesso dobbiamo avere la capacità di prendere atto che non può esistere un “dominus” che regola le relazioni internazionali e, se necessario, impone la sua volontà. Bisogna assolutamente avere la capacità di capire che esistono tante realtà che devono convivere e accettarsi l’un l’altro per come sono. Del resto, vi immaginereste al giorno d’oggi che il Piemonte facesse guerra alla Calabria? Semplicemente impossibile a solo pensarlo. Esistono una serie di istanze a cui rivolgersi, a partire dal governo nazionale, per risolvere le proprie controversie, di qualsiasi tipo esse siano. Un esempio banale. Ieri sentivo in televisione un parlamentare il quale sosteneva che nel sud dell’Italia l’abusivismo edilizio è molto più diffuso che nel Nord. Giusta o sbagliata che fosse la sua opinione, certamente non pensava di far guerra al sud per portar loro “lo stato di diritto”.  Ecco, oggi in un mondo dove si può andare da una parte all’altra nel tempo necessario per attraversare l’Italia, esiste una situazione analoga. Nessun Paese, assolutamente nessuno, deve avere il diritto di far guerra a un altro Paese per nessun motivo. Questo hanno firmato 193 Paesi al mondo nell’aderire all’ONU e deve essere l’ONU a risolvere tutti in conflitti senza alcuno “sponsor” che proclami di essere “portatore di alcun che”.  L’alternativa è la distruzione totale.

Torniamo alla realtà di oggi La dichiarazione di Biden all’ONU è assolutamente in linea con le sue azioni precedenti. Anche il primo incontro ad Anchorage fra le delegazioni americana e Cinese iniziò senza l’invito a cena di cortesia da parte USA e terminò con uno scambio di contumelie assolutamente irrituale. Forse qualcosa è cambiato con la recente telefonata fra i due leaders di cui si sa pochissimo ed il cui esito ha determinato la liberazione della sig.ra Meng Wanzhou agli arresti domiciliari in Canada dal primo gennaio 2018 in attesa di estradizione in USA ed il parallelo rilascio dei due canadesi detenuti in Cina. La presidenza Biden del resto è abbastanza debole vista la parità di seggi al Senato, in cui le elezioni di medio termine potrebbero portare i democratici in minoranza. Già oggi Biden sta incontrando grandi difficoltà nel portare avanti la sua gigantesca manovra economica e la riforma del welfare stretto nella morsa dei Repubblicani da sempre contrari e della frangia “di sinistra” dei democratici che la considerano insufficiente. In politica estera invece la sua posizione è abbastanza chiara e supportata dalla gran parte degli Americani, ne abbiamo parlato nel primo articolo di questa serie. Il Pew research center, il più quotato istituto di sondaggi USA, fa notare che nove americani su dieci vedono la Cina come un competitore o addirittura un nemico e il 53% vorrebbero che il Governo adottasse una posizione ancora più dura, insistendo che è un’assoluta priorità limitare la forza militare e tecnologica cinese. E’ un po’ diversa la posizione sul Covid, dove il 54% ritiene che la Cina abbia gestito male la vicenda ma ancora di più, il 58%, pensa che il Governo americano non abbia saputo gestirla. Infine, per quanto riguarda il clima, il 72% delle persone ritiene che il comportamento cinese sia gravemente insufficiente.

La Cina si trova in una posizione abbastanza speculare. Manca un anno all’assemblea del partito che probabilmente eleggerà Xi Jinping per la terza volta segretario generale e si è già in “campagna elettorale”. E’ molto difficile per un Occidentale interpretare a fondo le mille sfumature della mentalità cinese senza applicare i canoni occidentali di valutazione. Ciò che dirò quindi, dopo aver studiato a fondo vari documenti, resta comunque nel campo delle ipotesi. Partiamo da dieci anni fa quando Xi, vicepresidente e successore designato si trovò a dover fronteggiare una fortissima opposizione da parte di Bo Xilai. La battaglia era squisitamente politica: Xi era il rappresentane della “destra” del partito, sostenitore di una politica volta a far crescere in tutti i modi l’economia del Paese sfruttandone tutte le possibilità con investimenti sia pubblici che privati. Bo invece, capofila della “sinistra”, mirava a render più equa la distribuzione del reddito. Come sapete Xi fu eletto e Bo, il perdente, fu coinvolto in una serie di disavventure familiari: prima la moglie accusata di essere mandante dell’assassinio di un suo socio (e forse amante) inglese, e lui stesso implicato in grossi affari di corruzione etc. Entrambi furono condannati. Quest’ultima storia non fa parte della mia analisi e mi soffermo invece sugli aspetti politici. In questi nove anni l’economia cinese è cresciuta in maniera incredibile fino a diventare un Paese “moderatamente prospero” secondo le dichiarazioni ufficiali di Xi. Ciò è dovuto alla politica di riforme e apertura all’iniziativa privata lanciata da Deng Xiaoping e proseguita da Xi. La Cina è ancora un Paese formalmente socialista ma nella realtà si è creato un sistema di capitalismo sfrenato, senza regole, che fa pensare più all’Inghilterra di metà ‘800 che a un capitalismo liberale moderno, con protezioni sociali per gli indigenti molto minori di quelle praticate in Occidente.  L’1% più ricco della popolazione possiede circa il 30% della ricchezza familiare, un livello analogo agli USA. Intendiamoci, il gradimento di Xi presso la popolazione è altissimo; i Cinesi sono soddisfatti per come ha risolto il problema del coronavirus, per la nuova possibilità di avere accesso a una vita di tipo sostanzialmente occidentale, di poter avere sicuramente un tenore di vita migliore di dieci anni fa, per aver combattuto la corruzione dilagante, per la lotta all’inquinamento,e non ultimo per il suo comportamento rigido nel bloccare l’approccio colonialista di tutto l’Occidente su istigazione di Trump e ora di Biden. Xi si è però accorto da tempo che esiste un ampia fascia del Paese, “la sinistra”, che non è soddisfatta di come stiano andando le cose. Anche qui bisogna capirsi: i Maoisti “duri e puri” che sognano il ritorno ad un vero sistema marxista e al limite all’eliminazione della proprietà privata sono pochissimi. Esiste però una fascia di persone che vogliono una distribuzione più equa delle risorse e una maggiore protezione sociale. Xi fin dalla sua ascesa al potere si rese conto che non poteva ignorare la fascia che si era rivelata perdente e ripeté in molte occasioni che la funzione del PCC era quella di creare una società più giusta e che non bisognava dimenticare l’eredita di Mao. Oggi, in prossimità del nuovo mandato, è necessario però fare qualcosa di concreto. E infatti ormai da qualche anno si sono susseguite critiche ai grandi tycoon che, ignorando ogni regola, gestivano e rendevano sempre più ricche e potenti le loro aziende. E lo dimostrò iniziando a mettere in pratica le procedure antitrust che esistevano da molti anni ma erano assolutamente ignorate, e poi con gli attacchi ai più importanti capitalisti come Jack Ma (ma non solo lui) e bloccando alcune delle loro iniziative con grosse perdite conseguenti. L’ultimo di questi casi, che sta agitando in questi giorni il mondo intero è la situazione di Evergrande, una gigantesca società immobiliare, oggi praticamente insolvente. Il governo ha ottenuto che Xu Jiayin, il fondatore, pagasse gli interessi sulle obbligazioni in scadenza con il proprio patrimonio personale ma il caso non si può considerare ancora risolto. E’ però necessario che siano effettuate delle azioni che abbiano un impatto più diretto sulla popolazione e in questo riposizionamento “a sinistra” di Xi si parla della possibilità che siano create nuove tasse sulla proprietà e sulla successione. Per l’ennesima volta si vorrebbe modificare il sistema dell’Hukou <vedi il mio articolo sull’argomento> che penalizza notevolmente le popolazioni rurali rispetto alle controparti urbane le quali godono sicuramente di trattamenti migliori in termini di sanità, istruzione etc. Questo, però, è un argomento “divisivo” perché la classe media cittadina non ha alcuna voglia di condividere scuole e ospedali con un numero enorme di “migranti” poveri dalle campagne. Ci sono anche altri aspetti da considerare. Il “sogno” di Xi è una società austera, sostanzialmente conservatrice e allacciata alle classiche filosofie cinesi, sia pur modernizzate, che hanno regolato la Cina per millenni. Bisogna limitare “gusti decadenti” tipici della società occidentale di oggi, regolamentare l’accesso dei giovani ai videogiochi (divieto nei giorni feriali e tre ore al massimo nel weekend) in modo che possano dedicare più tempo allo studio e all’esercizio fisico. Infine, come Deng, Xi vede un ruolo importante per il settore privato ma vuole un controllo più stretto del potere pubblico su tutte le attività. Dall’8 all’11 novembre p.v. si terrà a Pechino il sesto plenum del XIX CCCP. Tale evento spesso ha sancito importanti mutamenti del “sistema Cina” come ad esempio quello del 1978 nel quale Deng Xiaoping chiuse il periodo tragico della rivoluzione culturale e iniziò la riforma dell’economia cinese. I possibili argomenti all’ordine del giorno quest’anno sono molteplici. Il primo di essi potrebbe essere la definizione del ruolo di Xi, con la possibile re-introduzione del Presidente del partito, una specie di “nume tutelare” garante della politica a lungo termine del Paese. E’ facile però che si parli anche dei principali problemi all’ordine del giorno: Taiwan, il socialismo con caratteristiche cinesi, la “comunità dal destino comune” e la strategia di “doppia circolazione” volta a reggere l’economia della Cina su due gambe, la prima è la tradizionale esportazione e la seconda lo sviluppo della domanda interna.

A questo punto bisogna passare alla politica estera. La posizione cinese, condivisa dalla popolazione, è molto diversa rispetto al punto di vista americano e molto meno negoziabile perché si basa su principi molto radicati nella società. Il primo di essi è il ricordo dell’aggressione subita dall’occidente e dal Giappone nel momento di maggior debolezza della loro storia quando la rivoluzione industriale e il drastico cambiamento che ne seguì portò, per la prima volta nella storia, il mondo anglosassone a sopravanzare l’Impero di Centro che, ironia della sorte, si trovava al punto di massima debolezza. La Cina fu aggredita e colonizzata dall’occidente supportato da eserciti agguerriti che marciarono anche sulla Città Proibita, considerata assolutamente sacra. Questo fatto ha determinato tutta la storia dei rapporti Occidente-Oriente degli ultimi due secoli. In due occasioni sembrò che ci potesse essere un avvicinamento: alla fine della Prima Guerra mondiale quando la Cina, fra i Paesi vincitori, chiese che le venissero restituiti i territori occupati nei 70 anni precedenti e ciò le fu negato; la seconda occasione fu alla fine della Seconda guerra mondiale quando riprese la guerra civile in Cina e gli americani preferirono supportare Chiang Kai-Shek, largamente screditato nel Pase rispetto a Mao. Subito dopo, la guerra di Corea sancì una rottura culturale più ancora che politica. I Cinesi non diedero più alcuna fiducia a nessun occidentale, considerato opportunista, colonialista e guerrafondaio. In seguito Nixon aprì a Mao convinto che la Cina, arricchendosi, avrebbe accettato il sistema occidentale e la magnanima protezione a Stelle e Strisce. Fece quindi ammettere la PRC come rappresentante legale della Cina ed estromise Taiwan. Tutto ciò non è stato dimenticato e l’irredentismo cinese finirà solo quando il suolo patrio ritornerà alla sua integrità storica. I Cinesi non hanno fretta, il tempo gioca a loro favore.

Il secondo aspetto è culturale. La Cina, nel suo profondo, non è mai stata marxista, ed è un fatto abbastanza logico. Il Marxismo è una filosofia assolutamente Occidentale, una delle costole del pensiero del secolo precedente e che aveva trovato spazio in una società che si stava industrializzando (l’Europa centrale). La Cina, al momento della sua crisi (parliamo del secondo decennio del ‘900) trovò supporto soltanto nei Bolscevichi e ad essi chiese aiuto all’inizio della sua rinascita. Chi è stato in Cina a partire dagli anni ’70 sa bene che della Cina si può dire che è un Paese dirigista, classista anche, ma comunista no. E ciò diventò evidente quando Deng, tenuto all’angolo per qualche decennio e miracolosamente sopravvissuto grazie al supporto di Chu Enlai, concesse una piccola apertura all’iniziativa privata. Nell’arco di un paio di decenni il mondo assistette alla più grandiosa crescita economica della storia ed oggi le radici mai essiccate della cultura millenaria stano tornando. E’ un mondo diverso che deve essere accettato, come loro non hanno mai cercato di cambiare il nostro.

Tutto ciò, latente da sempre, è esploso fin dai primi giorni della presidenza Trump, anche se già se ne vedevano i segni durante l’amministrazione Obama. A quest’ultimo infatti risale la politica del “Pivot to China”  (vedi i miei articoli di cinque anni fa) volta a creare due linee di sostanziale attenzione militare, una più vicina alle coste del continente e che faceva leva sui Paesi che si affacciano sul Mar della Cina, e l’altra, più larga, di valenza strategica, che si allargava fino all’Australia e alle basi americane nel Pacifico.  L’esplosione della rivalità si rivelò brutalmente all’inizio dell’amministrazione Trump. Il presidente, in un suo libro “La strategia di negoziazione” aveva già illustrato il suo pensiero, in sintesi “usa la maggior forza possibile e tutte le armi a tua disposizione” e i risultati si videro subito. Tutti i problemi di oggi risalgono a quegli anni. E’ facile elencarli: Taiwan, Hong Kong, i dazi doganali e poi gli Uiguri, il Covid oltre naturalmente al Mar della Cina.

Partiamo da Taiwan. Essa costituisce l’anello finale della ricostruzione del territorio Cinese e la celebrazione della fine del colonialismo: ciò che rappresentavano Trento e Trieste nella storia italiana. Formosa (oggi Taiwan) ebbe una storia molto travagliata e diversi “padroni” fino a diventare (o tornare) stabilmente cinese nel 1683. Nel 1895 però fu occupata dal Giappone all’inizio della sua politica espansionista e ritornò alla Cina nel 1945 con il consenso dei vincitori.  Quando Chiang Kai-Shek fu sconfitto da Mao nel 1949 trovò rifugio a Taiwan e costituì la repubblica di Cina, proclamandosi l’unico legale rappresentante di tutta la Cina. Nessuno, sia da un lato che dall’altro dello stretto che li divide, aveva mai messo in dubbio il concetto di “una sola Cina”. Ricordo che una volta chiesi ad un’amica, nata a Taiwan, “di dove sei?”. Mi rispose pronta “Di Hangzhou” e notando il mio stupore perché sapevo che era nata nell’isola aggiunse “i miei genitori venivano da lì”. Esistevano però da sempre etnie diverse, la fascia più bassa della popolazione autoctona, che accettavano malvolentieri la supremazia cinese. Da un punto di vista storico quindi, a differenza di HK, l’appartenenza di Taiwan al mondo cinese è meno certa essendo passata “di padrone in padrone” per tutta la sua storia. Durante gli ani ’50 le due Cine continuarono a combattersi. La storia però andò diversamente: Nixon propose e ottenne che il seggio cinese fosse assegnato a Pechino come unico rappresentante della Cina, assicurando però protezione a Taiwan. Negli anni i Cinesi dalle due parti capirono che la convivenza faceva comodo a tutti, gli scambi commerciali crebbero di anno in anno e le imprese di Taiwan investirono enormemente dall’altro lato dello stretto (circa due terzi dei loro investimenti esteri). Esisteva un tacito accordo di non toccare il tasto dolente dell’indipendenza: il tempo avrebbe aggiustato tutto in qualche modo. Negli anni si adottarono diverse formule per identificarsi rispettivamente. Si arrivò persino ad un incontro a Nanchino (la vecchia capitale di Chang Kai-Shek) fra i due presidenti, successivamente ricambiato a Taipei. Poi arrivò Trump e tutto cambiò. Bisogna però chiarire che oggi Taiwan è ufficialmente riconosciuta solamente da 15 nazioni che è difficile anche trovare sulla carta geografica: : Belize, Guatemala, Haiti, Vaticano, Honduras, Isole Marshall, Nauru, Nicaragua, Palau, Paraguay, St Lucia, St Kitts e Nevis, St Vincent e Grenadine, Swatini e Tuvalu. Ovviamente esistono a Taipei le “quasi ambasciate” di tutti i Paesi del mondo che così garantiscono all’isola i normali rapporti commerciali, turistici etc. Non sto a rifarvi la storia della strategia di Trump verso la Cina che ho trattato ampiamente per quattro anni. Chi è interessato può ancora trovarla nel mio sito. E’ importante però ricordare che Trump considerò subito Taiwan molto funzionale alla sua strategia di confronto/scontro con la Cina. Appena vinte le elezioni, prima ancora dell’”inauguration” parlò al telefono con la Presidente di Taiwan e cominciò a intessere relazioni politiche che andavano ben oltre il normale scambio di cortesie Fu l’inizio dello scontro.

Ma che ha detto? Non capisco perché dobbiamo rimanere legati alla politica di una Cina senza contropartite in altri campi come il commercio”. La reazione cinese è invece stata violentissima sia da parte delle istituzioni con dichiarazioni pacate ma molto ferme, sia dalla stampa ufficiale del partito. L’ambasciatore cinese a Washington ha dichiarato “Le norme fondamentali degli accordi internazionali non possono essere ignorate e certamente non devono essere viste come merce di scambio. E certamente la sovranità nazionale e l’integrità territoriale non sono oggetto di trattativa. Mi auguro che questo sia chiaro a tutti”. E la stampa cinese“La politica di una-Cina non è in vendita. Trump pensa che ogni cosa abbia un prezzo, e, nel momento in cui si possieda una leva opportuna, possa essere comprata o venduta. Se si desse un prezzo alla Costituzione americana, gli Americani sarebbero disposti a “venderla” ed attuare un sistema politico analogo a quello dell’Arabia Saudita o di Singapore? Trump deve imparare a trattare la politica internazionale con modestia, specie le relazioni Cino-Americane…Se Trump abbandonasse la politica di una-Cina, supportasse pubblicamente l’indipendenza di Taiwan e vendesse ufficialmente armi a Taiwan la Cina non avrebbe alcun terreno di collaborazione con Washington nella politica internazionale e nessuna possibilità di contenere le forze ostili agli Stati Uniti . In risposta alle provocazioni di Trump, Pechino potrebbe offrire supporto ed anche assistenza militare ai nemici degli USA. La politica di una-Cina ha mantenuto pace e prosperità a Taiwan, e, se si cambiasse sistema, si creerebbe una reale tempesta attraverso gli Stretti… La Cina potrebbe non dare più priorità ad una unificazione pacifica rispetto ad una presa del potere militare. Gli USA non hanno alcun controllo sugli Stretti e Trump è “naïve” se pensa di farne un’arma di scambio per ottenere benefici economici……. ha un’esperienza minima in campo diplomatico. Non capisce quanto possa essere pericoloso il coinvolgimento degli USA in un argomento così esplosivo”. Ed in un altro articolo lo stesso giorno “ La verità è che questo inesperto Presidente-eletto probabilmente non capisce di cosa parli. Egli ha sovrastimato la capacità americana di dominare il mondo e non si rende conto della limitatezza della forza americana nel mondo di oggi………La Cina deve guadagnarsi il rispetto del team di Trump altrimenti sarà duro interagire con Trump nei prossimi quattro anni. Fantasticare di una politica di “appeasement” non è un’opzione da considerare. Un’altra partita sarà necessaria fra i due Paesi per verificare quanto essi possano rispettarsi reciprocamente, sulla base della loro forza……….Se Trump vuole giocare duro, la Cina non si tirerà indietro. Pechino dovrebbe cominciare da una punizione severa delle forze indipendentiste Taiwanesi, valutando la possibilità di ristabilire l’ordine con mezzi non pacifici, e far uso della forza militare per ottenere la riunificazione. Pechino non accetterà mai un’esistenza ignobile sottostando all’ombrello di protezione del “racket” americano.  Il divario di potenza fra Usa e Cina non è mai stato così basso. Perché dovremmo accettare questo accordo così sleale ed umiliante da parte di Trump. Ed infine la sfida finale “del resto se attaccassimo Taiwan cosa farebbero gli Sati Uniti? Farebbero guerra alla Cina con tutte le conseguenze a livello mondiale per proteggere Taiwan? E chi si schiererebbe dal loro lato?”

Questa è la nascita del “problema di Taiwan” e mi pare chiaro chi ne sia il responsabile e chi dovrebbe porre fine a questa escalation. La Cina non aveva, e non ha, interesse a mostrare alcuna aggressività nei confronti dell’isola. Non ne ha motivo: i rapporti commerciali sono ottimi da qualche decennio, i “compatrioti di Taiwan” non hanno bisogno di visto per entrare nella “Mainland China”, e viceversa i Cinesi che vogliono andare nell’isola per riallacciare i rapporti familiari possono farlo con relativa facilità. Perché quindi turbare questi rapporti “decenti” gli unici per altro possibili? Per la Cina continentale il tempo e la storia giocavano a loro favore, basta non avere fretta. Per gli abitanti dell’isola la situazione era ideale: potevano viaggiare e commerciare liberamente in tutto il mondo, i rapporti con tutti i Paesi erano stabili con rappresentanze “ufficiose” di fatto delle “quasi ambasciate” con le quali intrattenere rapporti. Bisognava solamente evitare le parole “repubblica di Taiwan”. In questi anni invece i rapporti USA-Taiwan sono diventati sempre più stretti, ci sono state parecchie visite di stato ad alto livello etc. In parallelo gli USA hanno cominciato a pattugliare con una flotta militare le acque del mar della Cina e dello stretto di Taiwan, proclamando il loro diritto di garantire la libertà di navigazione e di essere pronti a difendere Taiwan in caso di guerra. Navi militari di altre nazioni affiancano la flotta americana. L’insieme delle due cose costituisce una miscela esplosiva. E la Cina ha cominciato a reagire. Per rendersi credibili di fronte ad un Occidente incredulo che Taiwan possa valere una guerra hanno iniziato a fare ciò che la stampa di Pechino aveva dichiarato già a gennaio 2016 quando Trump iniziò i suoi discorsi intimidatori (che vi ho appena ricordato): effettuare una serie di azioni dimostrative sempre più pesanti: sorvoli militari nelle aree di identificazione (non nei cieli del territorio di Taiwan) dimostrazioni navali all’intorno delle sue coste, ed infine esercitazioni di sbarco anfibio. Non c’è alcun dubbio che, in caso di proclamazione dell’indipendenza, la Cina invaderebbe Taiwan nell’arco di qualche ora. Costi quel che costi. Purtroppo le cancellerie occidentali non lo capiscono: non si rendono conto che se l’Inghilterra della Thatcher mandò una flotta dall’altro lato dell’oceano a far guerra all’Argentina per dimostrare la sua sovranità sulle Falkland (o Malvinas), tanto più facilmente la Cina potrebbe fare altrettanto in un isola di fronte alle proprie coste. E gli USA in questo caso si metterebbero in trappola da soli. Non difendere Taiwan dopo tante dichiarazioni contrarie vorrebbe dire perdere la fiducia dei popoli asiatici che oggi si barcamenano fra le due grandi potenze. Reagire con un bombardamento del territorio cinese scatenerebbe una guerra senza quartiere fra potenze nucleari. Se gli USA decidono di contrastare la Cina possono confrontarsi su una serie di argomenti, ma non devono toccare Taiwan, pena una catastrofe planetaria. E’ questo il frutto avvelenato lasciato in eredità da Trump e che anche il Presidente Biden mostra di non capire a giudicare anche dalle sue ultime dichiarazioni che non esiterebbe a fare la guerra alla Cina per difendere Taiwan. Purtroppo la storia americana dimostra che sono bravissimi a fare le guerre ma la loro capacità diplomatica è pari a zero.

I vari punti di attrito che vi ho elencato sono purtroppo tutti concatenati fra loro e vorrei darvene una certa evidenza. Gli atti dimostrativi del mar della Cina sventolano la bandiera della “garanzia della libertà di navigazione”, Gli scogli e gli isolotti sparsi in quel mare sono infatti rivendicati da tutti gli stati rivieraschi. Non entro nel merito delle varie ragioni di ciascuno, ma una cosa è certa: gli Americani non hanno alcuna rivendicazione da fare e non hanno alcun titolo per intromettersi in queste diatribe, anche perché nessuno dei Paesi coinvolti ha chiesto il supporto USA. Questo deve già creare qualche dubbio su quanto la loro presenza sia ben vista. Anche in questo caso, se fosse l’ONU a interporsi potrebbe avere una qualche ragione, ma, di nuovo, nessuno lo ha chiesto. Che pensereste se la Cina mandasse una flotta armata di fronte alle coste della Florida per garantire la libertà di navigazione nel canale che la divide da Cuba e dalle altre repubbliche Caraibiche. Sarebbe considerata una gravissima provocazione. E allora perché gli USA pattugliano quel mare con rischi continui di incidenti come il sottomarino nucleare che giorni fa ha urtato un “ostacolo sommerso” con una decina di feriti e danni significativi?  La risposta è evidente. Gli stretti all’ingresso di quei mari sono vitali per gli approvvigionamenti petroliferi e alimentari della Cina. Un blocco navale la metterebbe rapidamente in ginocchio. Questo è il motivo reale per cui gli Americani vogliono poterli bloccare a loro piacimento e in tempi rapidi. Si tratta di mantenere il governo del mondo come stanno facendo da quasi cento anni. La Cina a sua volta cerca di reagire e da qui nasce l’accordo con la Russia, un nemico storico che però può fornire prodotti petroliferi via terra in cambio di finanziamenti. La Russia può reagire all’embargo americano e la Cina avere un’alternativa. Per lo stesso motivo la Cina sta realizzando nell’ambito della BRI l’asse di comunicazione rapida con Gwadar in Pakistan sulle coste del mar Arabico, che le permette di ricevere per quella via le forniture mediorientali senza passare per gli stretti ed ha realizzato una base militare a Gibuti, l’unica al di fuori del proprio territorio rispetto alle centinaia di basi americane nel mondo che, cito Limes, “come una collana di perle”  esistono per  “impedire l’emersione di rivali assumendo una postura militare avanzata che impedisca agli avversari di uscire di casa”. E sempre per questo motivo la Cina ha deciso di ignorare l’embargo contro l’Iran che gli americani hanno decretato uscendo unilateralmente e senza alcun diritto dall’accordo contro la proliferazione nucleare stipulato dai Pesi occidentali. Tale embargo è stato imposto all’Europa che ancora una volta ha accettato (sia pur brontolando) ma la Cina si è rifiutata. Per questo motivo gli USA stanno studiando ulteriori sanzioni “punitive”. Purtroppo in tutte queste storie non esistono “ideali” se non uno, la prosecuzione di un imperialismo unilaterale che è l’opposto del multilateralismo richiesto dall’ONU . Di Hong Kong vi ho parlato più volte ed è inutile ritornarci. Resta un fatto da rimarcare: Non si parla più di HK, come non si è mai parlato di Macao: non serve più alla politica internazionale.

C’è infine un argomento ridicolo, se non avesse fatto presa sull’opinione pubblica occidentale: il coronavirus “creato in laboratorio.” Nel mese di gennaio 2020 Trump dichiarava di essere in contatto continuo con la Cina che si stava mostrando estremamente collaborativa e “stava facendo un buon lavoro”. Poi improvvisamente in una conferenza stampa cominciò a chiamare il coronavirus “virus cinese” e alla richiesta di un chiarimento rispose “ è nato a Wuhan, quindi è cinese”. Successivamente fece un passo avanti: “E’ stato prodotto in laboratorio, ne ho le prove e le mostrerò al momento opportuno” A questo punto cominciò la “guerra del virus”, l’ennesima arma di attacco conto la Cina. Inutile dire che le prove non furono mai mostrate. Non basta; in piena epidemia e lasciando basita la comunità internazionale, Trump ha sferrato un violento attacco all’OMS accusandolo di avere aiutato la Cina a coprire sia l’origine che la pericolosità del virus. e poi ha deciso di sospendere i finanziamenti all’organizzazione.

Concludo questa lunga nota per dimostrare come le due posizioni, americana e cinese sono state chiarite senza ombra di dubbio nei rispettivi discorsi di Biden e Xi Jinping all’ONU. Il primo continua a vedere il mondo come quello che vedemmo dal 1945 al 1982: due blocchi contrapposti e in lotta fra loro: La situazione però era molto diversa: gli Americani erano molto più forti e più ricchi di chiunque altro; l’Europa, all’inizio in macerie e successivamente incapace di avere un ruolo autonomo, grata agli USA per averli aiutati a distruggere il nazi-fascismo, era psicologicamente e praticamente succube del grande alleato; l’URSS, già scricchiolante al suo interno, non riuscì ad adeguarsi alla corsa al riarmo lanciata da Reagan e crollò come un castello di carte. Non esistevano altri giocatori al tavolo del mondo. Oggi le economie sono interconnesse, i problemi del clima e delle pandemie non possono essere risolti senza l’accordo fra tutti i Paesi del mondo. Soprattutto i players sono molteplici e nessuno di essi ha la forza morale o economica per imporsi agli altri. Restano solo due opzioni un effettivo multilateralismo sotto l’egida di una nuova associazione internazionale capace di sostituire l’ONU come questo sostituì la Società delle Nazioni, oppure la guerra. Non credo più che la nostra generazione sia capace in alcun Paese del mondo di avere una visione lungimirante dei disastri a cui andiamo incontro. Abbiamo fatto il nostro tempo, siamo ancora ancorati a un’ottica degli anni ’50 e definitivamente superati dalla storia. Mi auguro solo che i giovani, gli unici a dover pagare il conto di tutte le problematiche che abbiamo provocato noi, siano in grado di ribellarsi a noi e prendere il potere.

Appendice 1 – Abstract dallo statuto dell’ONU

L’art. 1 esplicita meglio i fini dell’ONU “Mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ed a questo fine: prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace…” Successivamente l’art. 4 “i membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini dell’ONU”. Art 10 “L’assemblea generale può discutere qualsiasi questione o argomento che rientri nei fini del presente statuto….” E passiamo al punto cruciale, il Consiglio di sicurezza, unico organo dotato di poteri reali. Art. 12 “Durante l’esercizio da parte del consiglio di sicurezza delle funzioni assegnatagli dal presente statuto, nei riguardi di una controversia o situazione qualsiasi, l’assemblea generale non deve fare alcuna raccomandazione riguardo a tale controversia o situazione, a meno che non ne sia richiesta dal consiglio di Sicurezza” . Art. 23 “Il consiglio di sicurezza si compone di 15 membri dell’ONU. La repubblica di Cina, la Francia, l’URSS, l’UK, e gli USA sono membri permanenti del consiglio di sicurezza. L’assemblea generale elegge altri 10 membri dell’ONU quali membri non permanenti del consiglio di sicurezza,…”Art 24 I membri conferiscono al consiglio di sicurezza la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, e riconoscono che il consiglio di sicurezza, nell’adempiere i suoi compiti inerenti a tale responsabilità, agisce in loro nome” Art. 27/1 “Le decisioni del consiglio di sicurezza su questioni di procedura sono prese con un voto favorevole di nove membri”. Art 27/2 “Le decisioni del consiglio di sicurezza su ogni altra questione sono prese con un voto favorevole di nove membri nel quale siano compresi i voti dei membri permanenti…” Art. 33 “la parti di una controversia….. devono…perseguirne una soluzione mediante negoziati….”. Art 37/2 “Se il consiglio di sicurezza ritiene che la continuazione della controversia sia in fatto suscettibile di mettere in pericolo il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, esso decide se agire a norma dell’art.36, o raccomandare quella soluzione che ritenga adeguata” Art. 39 “Il consiglio di sicurezza, accerta l’esistenza di una minaccia alla pace, di una violazione della pace, o di un atto di aggressione, e fa raccomandazione o decide quali misure debbano essere prese… per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale”. Art. 41 Il consiglio di sicurezza può decidere quali misure, non implicanti l’impiego della forza armata, debbano essere adottate per dare effetto alle sue decisioni….” Art. 42 “se il consiglio di sicurezza ritiene che le misure previste nell’art. 41 siano inadeguate o si siano dimostrate inadeguate, esso può intraprendere, con forze aeree, navali o terrestri, ogni azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Tale azione può comprendere dimostrazioni, blocchi ed altre operazioni mediante forze aeree, navali o terrestri …” ed infine art.51 “ Nessuna disposizione… pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un membro dell’ONU, fintantoché il consiglio di sicurezza non abbia preso le misure necessarie….”  Come potete vedere in linea di principio è tutto perfetto: i membri dell’ONU si impegnano a non usare mai la forza per la risoluzione di conflitti salvo, temporaneamente, in caso di aggressione fino a che il CS abbia modo di agire direttamente. Il CS ha invece il potere di risolvere, anche con l’uso della forza, i conflitti che nion siano stati risolti in maniera pacifica e quando esso si sia  (o stia per essere) trasformato in scontro armato.Il diritto di veto rende tutto ciò puramente teorico ed inutile

Appendice 2 – L’atteggiamento imperiale di Trump nei confronti delle relazioni internazionali.

Vi elenco alcuni accordi da cui gli USA sono usciti durante il quadriennio Trump.

In piena pandemia Trump ha deciso di sospendere i finanziamenti all’OMS. E inoltre ha smesso di finanziare il fondo delle Nazioni Unite per la popolazione con la scusa che sosteneva gli aborti forzati in Cina (prontamente smentito dall’organizzazione stessa), ha tagliato i fondi all’agenzia dell’ONU per i rifugiati palestinesi, ha tagliato i fondi di aiuti per Gaza, ha sospeso i pagamenti all’organizzazione dell’aviazione civile internazionale, ha portato fuori gli USA dall’UNESCO e dal consiglio ONU per i diritti umani, ha annunziato di voler rivedere i fondi versati all’ONU, non ha nominato il suo rappresentante alla APPEAL COURT del WTO a cui ha minacciato di tagliare i forni, bloccandone i questo modo le decisioni più importanti. E’ uscito in maniera unilaterale dall’accordo con l’Iran firmato anche da alcuni Paesi europei senza che ci sia stata alcuna violazione E’ uscito dagli accordi per il clima; in seguito Biden ha invertito la rotta e, come se niente fosse successo, si è autonominato leader delle iniziative da intraprendere. E quale sarà la posizione americana fra tre anni, dopo le prossime elezioni?

Joe Biden vs. Xi Jinping. Come andrà a finire

14  ottobre 2021

Biden vs. Xi: cambierà qualcosa? E in che direzione?

INTRODUZIONE

Il 21 settembre il Segretario generale Antonio Guterres ha aperto la 76a sessione dell’assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il suo discorso è stato uno dei più accorati e drammatici che mi sia mai capitato di ascoltare e ho voluto conservarlo. Cercherò di trasmettervi il senso profondo delle sue parole anche se non sarà semplice.

“Siamo sull’orlo di un abisso e ci muoviamo nella direzione sbagliata… Il nostro mondo non è mai stato più minacciato o più diviso…Affrontiamo la più grande cascata di crisi della nostra vita…La pandemia di Covid-19 ha evidenziato enormi disuguaglianze…La crisi climatica sta aggredendo il pianeta…Gli sconvolgimenti, dall’Afghanistan, all’Etiopia, allo Yemen e oltre hanno ostacolato la pace… Un’ondata di sfiducia e disinformazione sta polarizzando le persone e paralizzando le società…I diritti umani sono sotto tiro… Da un lato vediamo i vaccini sviluppati a tempo di record, e dall’altro vediamo quel trionfo della scienza annullato dalla tragedia della mancanza di volontà politica, dall’egoismo e dalla sfiducia. Un surplus in alcuni Paesi. Scaffali vuoti in altri. La maggioranza del mondo più ricco si è vaccinata. Oltre il 90% degli Africani sta ancora aspettando la prima dose. Questo è un atto d’accusa morale contro lo stato del nostro mondo. E’ un’oscenità” Dopo questo drammatico incipit Guterres ha cercato di essere più positivo e propositivo. “L’umanità ha dimostrato che siamo capaci di grandi cose quando lavoriamo insieme… Questa è la ragion d’essere delle Nazioni Unite... Ma siamo franchi. Il sistema multilaterale odierno è troppo limitato nei suoi strumenti e capacità rispetto a quanto necessario per un’efficace governance della gestione dei beni pubblici globali. Dobbiamo concentrarci sul futuro. Bisogna rinnovare il contratto sociale. Dobbiamo garantire che le Nazioni Unite siano adatte a una nuova era... Ma per raggiungere la terra delle nostre promesse, dobbiamo superare i Grandi Divari” “Eccellenze, vedo 6 grandi divari – sei grandi Canyons che dobbiamo colmare ora.

In primo luogo, dobbiamo colmare il divario della pace. Per troppi, in tutto il mondo, la pace e la stabilità rimangono un sogno lontano. In Afghanistan, in Etiopia, in Myanmar, nel Sahel, in luoghi come Yemen, Libia e Siria, in Israele e Palestina, ad Haiti e in tanti altri luoghi lasciati alle spalle… stiamo assistendo a un'esplosione di prese di potere con la forza. Tornano i colpi di stato militari. La mancanza di unità nella comunità internazionale non aiuta. Le divisioni geopolitiche minano la cooperazione internazionale e limitano la capacità del Consiglio di sicurezza di prendere le decisioni necessarie. Allo stesso tempo, sarà impossibile affrontare drammatiche sfide economiche e di sviluppo mentre le due maggiori economie del mondo sono in contrasto tra loro. Eppure temo che il nostro mondo stia strisciando verso due diversi insiemi di regole economiche, commerciali, finanziarie e tecnologiche, due approcci divergenti nello sviluppo dell'intelligenza artificiale e, in definitiva, il rischio di due diverse strategie militari e geopolitiche. Questa è una ricetta per i guai. Sarebbe molto meno prevedibile della Guerra Fredda. Per ripristinare la fiducia e ispirare speranza abbiamo bisogno di cooperazione. Abbiamo bisogno di dialogo. Abbiamo bisogno di comprensione. In secondo luogo, dobbiamo colmare il divario climatico. Ciò richiede un ponte di fiducia tra Nord e Sud. Abbiamo bisogno di più ambizioni da parte di tutti i Paesi in tre aree chiave: mitigazione, finanza e adattamento. Più ambizione sulla mitigazione, significa Paesi che si impegnano per la neutralità del carbonio entro la metà del secolo. Più ambizione sulla finanza, significa che le nazioni in via di sviluppo vedano finalmente i promessi $ 100 miliardi di dollari all'anno per le azioni necessarie per il clima, mobilitando pienamente le risorse sia delle istituzioni finanziarie internazionali che del settore privato. Più ambizione sull'adattamento, significa che i paesi sviluppati mantengano la promessa di un sostegno credibile ai Paesi in via di sviluppo per costruire la resilienza per salvare vite e mezzi di sussistenza.Terzo, dobbiamo colmare il divario tra ricchi e poveri, all'interno e tra i Paesi. Questo inizia ponendo fine alla pandemia per tutti, ovunque. Abbiamo urgente bisogno di un piano di vaccinazione globale per almeno raddoppiare la produzione di vaccini e garantire che i vaccini raggiungano il settanta per cento della popolazione mondiale nella prima metà del 2022. Quarto, dobbiamo colmare il divario di genere. Il COVID-19 ha esposto e amplificato l'ingiustizia più duratura del mondo: lo squilibrio di potere tra uomini e donne. Quando la pandemia ha colpito, le donne sono state la maggior parte dei lavoratori in prima linea, le prime a perdere il lavoro e le prime a sospendere la carriera per prendersi cura di coloro a loro vicini. Le ragazze sono state colpite in modo sproporzionato dalla chiusura delle scuole che ne limita lo sviluppo e aumenta il rischio di abusi, violenze e matrimoni precoci. Colmare il divario di genere non è solo una questione di giustizia per donne e ragazze. È un punto di svolta per l'umanità. Quinto, ripristinare la fiducia e ispirare speranza significa colmare il divario digitale. Metà dell'umanità non ha accesso a Internet. Dobbiamo connettere tutti entro il 2030. Uno dei maggiori pericoli che dobbiamo affrontare è la crescente portata delle piattaforme digitali e l'uso e l'abuso dei dati. Una vasta libreria di informazioni è stata assemblata su ognuno di noi. Eppure non abbiamo nemmeno le chiavi di quella biblioteca. Non sappiamo come queste informazioni siano state raccolte, da chi o per quali scopi. Ma sappiamo che i nostri dati vengono utilizzati a fini commerciali, per aumentare i profitti aziendali. I nostri modelli di comportamento vengono mercificati e venduti come contratti futures. I nostri dati vengono utilizzati anche per influenzare le nostre percezioni e opinioni. I governi e altri possono sfruttarli per controllare o manipolare il comportamento delle persone, violando i diritti umani di individui o gruppi e minando la democrazia. Questa non è fantascienza. Questa è la realtà di oggi.Sesto, dobbiamo colmare il divario tra le generazioni. I giovani erediteranno le conseguenze delle nostre decisioni, buone e cattive. Allo stesso tempo, ci aspettiamo che nascano 10,9 miliardi di persone entro la fine del secolo. Abbiamo bisogno dei loro talenti, idee ed energie. La nostra agenda comune propone un vertice sulla trasformazione dell'istruzione il prossimo anno per affrontare la crisi dell'apprendimento e ampliare le opportunità per gli 1,8 miliardi di giovani di oggi. Ma i giovani hanno bisogno di più del supporto. Hanno bisogno di un posto a tavola. I giovani hanno bisogno di una visione di speranza per il futuro. Circa il 60 percento dei vostri futuri elettori si sente tradito dai propri governi. Dobbiamo dimostrare ai bambini e ai giovani che, nonostante la gravità della situazione, il mondo ha un piano e i governi si impegnano a metterlo in atto. Con un vero impegno, possiamo essere all'altezza della promessa di un mondo migliore e più pacifico. L'interdipendenza è la logica del 21° secolo. Ed è la stella polare delle Nazioni Unite. Questo è il nostro tempo. Un momento di trasformazione. Un'era per riaccendere il multilateralismo. Un'era di possibilità. Ristabiliamo la fiducia. Ispiriamo speranza. E cominciamo subito.”

Di fronte ad una tale drammaticità ho letto anche molti fra i discorsi pronunziati nell’annuale passerella. Ve ne riassumo tre (Biden, Xi Jinping, e Macron). Angela Merkel purtroppo, a mandato finito, ha preferito cedere il passo al Presidente tedesco. Francamente, di tutti questi discorsi, l’unico veramente all’altezza della situazione mi è parso quello del Presidente francese. Comunque lascio a voi le conclusioni.

Il discorso di Biden è molto diverso dal precedente, non si distacca molto dalla linea politica iniziata in maniera felpata da Obama e urlata da Trump con la sua politica di “America first”. Nel discorso inaugurale, Biden proclamava “America is back” e queste parole alla luce dei primi mesi di presidenza sintetizzano il concetto: cambiano i toni, ma la direttrice americana in politica estera non ha mai scossoni, com’è sempre stato, a differenza della politica interna. Vediamolo. L’esordio è sulla linea di Guterres. Concorda che “siamo a un punto di svolta della storia e sono qui per condividere con voi come gli Stati Uniti intendono lavorare con partner e alleati per rispondere a queste domande”. Un richiamo all’uscita dall’Afghanistan “Invece di continuare a combattere le guerre del passato, stiamo fissando i nostri occhi e dedicando le nostre risorse alle sfide che detengono le chiavi del nostro futuro collettivo” la pandemia, la crisi climatica, “gestire i cambiamenti nelle dinamiche del potere globale, plasmare le regole del mondo su questioni vitali come il commercio, la cibernetica e le tecnologie emergenti e affrontare la minaccia del terrorismo come è oggi”. Segue la prima affermazione “E mentre rivolgeremo la nostra attenzione alle priorità e alle regioni del mondo, come l’Indo-Pacifico, che sono più importanti oggi e domani, lo faremo con i nostri alleati e partner, attraverso la cooperazione presso istituzioni multilaterali come le Nazioni Unite”. Biden riassume quindi la sua attività all’inizio del suo mandato: rinnovare l’impegno con la NATO, con l’Unione Europea “un partner fondamentale”, la partnership QUAD tra Australia India, Giappone e USA, e annunzia che “Siamo tornati al tavolo dei forum internazionali, in particolare delle Nazioni Unite…. Siamo nuovamente impegnati presso l’Organizzazione mondiale della Sanità… abbiamo aderito all’accordo di Parigi sul clima. E stiamo correndo per riprendere un seggio al Consiglio per i diritti umani” In sostanza, mentrecerchiamo di radunare il mondo all’azione, noi guideremo non solo con l’esempio del nostro potere ma, se Dio vuole, con il potere del nostro esempio” “Noi continueremo a difendere noi stessi, i nostri alleati e i nostri interessi dagli attacchi…. Mentre ci prepariamo a usare la forza se necessario … ma la missione deve essere chiara e realizzabile, intrapresa con il consenso informato del popolo americano e, quando possibile, in collaborazione con i nostri alleati. Il potere militare degli USA deve essere il nostro strumento di ultima istanza, non il nostro primo, e non dovrebbe essere usato come risposta a tutti i problemi che vediamo nel mondo”. Si sofferma poi su alcune minacce di oggi e di domani come le epidemie per le quali chiede “un consiglio per le minacce alla salute globale, dotato degli strumenti di cui abbiamo bisogno per monitorare e identificare le pandemie emergenti in modo da poterle affrontare con un'azione immediata <ma non c’è l’OMS per questo?>” “Gli eventi metereologici estremi che abbiamo visto in ogni parte del mondo rappresentano ciò che il Segretario Generale ha giustamente chiamato codice rosso per l’umanità... ogni nazione deve portare le proprie ambizioni più alte possibili quando ci si incontra per il COP26” “Stiamo entrando in una nuova era. Un’era di nuove tecnologie e possibilità che hanno il potenziale per rimodellare ogni aspetto dell’esistenza umana. E sta a tutti noi determinare se queste tecnologie sono una forza per dare potere alle persone o per approfondire la repressione… lavoreremo insieme ai nostri partner democratici per garantire che i nuovi progressi vengano utilizzati per sollevare le persone, risolvere i problemi e far progredire la libertà umana, non sopprimere il dissenso o prendere di mira le comunità minoritarie”. E poi prosegue nel suo elenco dicendoPerseguiremo nuove regole del commercio globale e della crescita economica che si sforzino di livellare il campo di gioco in modo che non sia artificialmente ribaltato a favore di un paese a spese degli altri e ogni nazione abbia il diritto e l’opportunità di competere in modo equo <questa volta nel mirino c’è il WTO>” “Ci adopreremo per garantire che i diritti fondamentali del lavoro e le tutele ambientali e la proprietà intellettuale siano protetti e che i benefici della globalizzazione siano ampiamente condivisi in tutte le nostre società <ora è la Cina nel mirino senza essere nominata>” “Continueremo a sostenere… impegni fondamentali come la libertà di navigazione, l’adesione a leggi e trattati internazionali, supporto per misure di controllo degli armamenti che riducano il rischio e aumentino la trasparenza” “Gli Stati Uniti competeranno, e competeranno vigorosamente, e guideremo con i nostri valori e la nostra forza. Sosterremo i nostri alleati e i nostri amici e ci opporremo ai tentativi dei paesi più forti di dominare quelli più deboli, sia attraverso cambiamenti di territorio con la forza, coercizione economica, sfruttamento tecnologico o disinformazione. Ma non stiamo cercando, lo ripeto, non stiamo cercando una nuova guerra fredda o un mondo diviso in blocchi rigidiFin qui non nomina nessuno direttamente, poi va in qualche dettaglio “Gli USA restano impegnati a impedire all’Iran di ottenere un’arma nucleare. Stiamo lavorando con il PS5+1 per convincere l’Iran e cercare un ritorno al JCPOA. <Qui non è proprio sincero perché Trump, ossia gli USA, uscì unilateralmente dall’accordo, smentendo anche l’agenzia internazionale di controllo. Sperava di tirarsi dietro tutti i firmatari dell’accordo ma non ci è riuscito. Ora sta facendo marcia indietro e vuole salvare la faccia ma l’Iran sta cercando di impedirlo>” “Allo stesso modo cerchiamo una diplomazia seria e sostenuta per perseguire la completa denuclearizzazione della penisola coreana  <anche qui gli altri attori non sono d’accordo e chiedono che in parallelo anche le truppe americane abbandonino la penisola coreana>" ”Uno dei modi più importanti in cui possiamo migliorare efficacemente la sicurezza e ridurre la violenza è cercare di migliorare la vita delle persone in tutto il mondo che vedono che i loro governi non stanno servendo i loro bisogni” “Dobbiamo tutti denunciare e condannare il targetting e l’oppressione delle minoranze razziali, etniche e religiose quando si verificano, sia nello Xinjiang che nell’Etiopia settentrionale o in qualsiasi parte del mondo” “La verità è: il mondo democratico è ovunque. Vive negli attivisti anticorruzione, nei difensori dei diritti umani, nei giornalisti, nei manifestanti per la pace in prima linea in questa lotta in Bielorussia, Birmania, Siria, Cuba, Venezuela e ovunque nel mezzo” <Anche dal suo punto di vista, giustizia vorrebbe che fossero elencati anche altri Paesi che invece ha platealmente ignorati come ad esempio l’Arabia Saudita.. Come sempre gli ideali sono solo un pretesto da parte di chiunque>. E chiude così “Io so questo: mentre guardiamo avanti, saremo i leader. Condurremo tutte le più grandi sfide del nostro tempo, dal Covid al clima, alla pace e alla sicurezza, alla dignità umana e ai diritti umani.”

Che dire: in apparenza è un discorso di grandi principi e sono certo che ne sia convinto in buona fede. Ma è mille miglia lontano da quanto detto dal Segretario Generale. Guterres ha chiaramente indicato che per salvare il mondo dobbiamo abbandonare i litigi fra USA e Cina, non esserne schiavi, e collaborare TUTTI. Biden parla solo di USA e dei suoi alleati, che lui può scegliere “à la carte”, può essere la NATO oppure il QUAD, o anche l’AUKUS formato da USA, UK, e Australia oppure le altre organizzazioni che ha creato nel continente americano. Gli altri sono i cattivi. Non è questa la visione di Guterres. Inoltre Biden proclama di essere rientrato nelle varie organizzazioni internazionali (quasi tutte) dalle quali Trump era orgogliosamente uscito, ma con l’obiettivo di riformarle perché, come giustamente sostiene Rampini, esse sono state penetrate dalla diplomazia cinese <ma non c’è niente di strano, esse devono essere un luogo di confronto libero fra tutti i Paesi, non assemblee controllate dagli USA perché appartengono in maniera democratica a tutti i Paesi aderenti all’ONU>. In sostanza Biden vede il mondo fatto a blocchi in cui uno deve sottomettere l’altro, non accetta per principio il multilateralismo e chiunque se ne faccia paladino. E’ questa la differenza essenziale e l’esempio massimo della continuità della politica estera americana che muta solo nella forma da un Presidente all’altro fin da quando Eisenhower si ritrovò a capo di un impero mondiale. Oggi tale impero vacilla, non può essere presente contemporaneamente in tutti gli scacchieri del mondo e per questo cerca “vassalli fidati” con cui possa presidiarlo. Ma passiamo agli altri.

Il discorso di Xi nella sua parte iniziale enuncia le stesse urgenze del precedente. Egli dice “Il nostro mondo sta affrontando gli impatti combinati di cambiamenti mai visti in un secolo, e la pandemia di Covid. In tutti i Paesi le persone desiderano la pace e lo sviluppo più che mai, il loro appello all’equità e alla giustizia sta diventando più forte e sono più determinate nel perseguire una cooperazione vantaggiosa per tutti. Spetta a ogni statista responsabile rispondere alle domande dei nostri tempi e fare una scelta storica con fiducia, coraggio e senso della missione.” Poi entra in qualche dettaglio “innanzitutto dobbiamo sconfiggere il Covid e vincere questa battaglia decisiva…. La vaccinazione è la nostra arma contro il Covid… di assoluta priorità è garantire la distribuzione equa dei vaccini a livello globale…. La Cina continuerà a sostenere e impegnarsi nella ricerca globale delle origini basata sulla scienza e si oppone fermamente alle manovre politiche in qualsiasi forma <e qui lancia la prima stoccata alla politica di Trump, proseguita da Biden, di insistere sull’origine del Covid nel laboratorio di Wuhan>” “In secondo luogo dobbiamo rivitalizzare l’economia e perseguire uno sviluppo globale più solido, più verde e più equilibrato. Lo sviluppo è la chiave del benessere delle persone” ed a questo proposito suggerisce alcune iniziativeRimanere impegnati nello sviluppo come priorità…Dobbiamo promuovere partenariati per lo sviluppo globale più equi ed equilibrati, creare una maggiore sinergia tra i processi multilaterali di cooperazione allo sviluppo e accelerare l’attuazione dell’agenda 2030 dell’ONU. Rimanere impegnati in un approccio centrato sulle persone. Dovremmo salvaguardare e migliorare i mezzi di sussistenza delle persone e proteggere i diritti umani attraverso lo sviluppo, e assicurarci che lo sviluppo sia per le persone e dalle persone e che i suoi frutti siano condivisi fra le persone…Rimanere impegnati a benefici per tutti. Dovremmo preoccuparci dei bisogni speciali dei Paesi in via di sviluppo. Possiamo impiegare mezzi come la sospensione del debito e gli aiuti allo sviluppo…. Rimanere impegnati nello sviluppo guidato dall’innovazioneRimanere impegnati per l’armonia tra l’uomo e la natura… Dobbiamo accelerare la transizione verso un’economia verde e a basse emissioni di carbonio e ottenere una ripresa e uno sviluppo verde…. Rimanere impegnati in azioni orientate ai risultati… Dobbiamo aumentare il contributo allo sviluppo, promuovere in via prioritaria la cooperazione in maniera di riduzione della povertà, sicurezza alimentare…” Ripeto, a parte il concetto di multilateralismo, molto diverso dalle proposte di Biden, non esistono grandi differenze. Sono concetti comuni a tutti e abbastanza generici. Da qui in poi invece cambia “Dobbiamo rafforzare la solidarietà e promuovere il rispetto reciproco e la cooperazione vantaggiosa per tutti nella conduzione delle relazioni internazionali…. La democrazia non è un diritto speciale riservato a un singolo Paese, ma un diritto di cui godono i popoli di tutti i Paesi. I recenti sviluppi della situazione globale mostrano ancora una volta che l’intervento militare dall’esterno e la cosiddetta trasformazione democratica non comportano altro che danni. Dobbiamo difendere la pace, lo sviluppo, l’equità, la giustizia, la democrazia e la libertà, che sono i valori comuni dell’umanità e rifiutare la pratica di formare piccoli circoli, giochi a somma zero. Differenze e problemi tra Paesi, difficilmente evitabili, devono essere affrontati attraverso il dialogo e la cooperazione sulla base dell’uguaglianza e del rispetto reciproco. Il successo di un <paese> non deve significare il fallimento di un altro Paese e il mondo è abbastanza grande da accogliere lo sviluppo e il progresso comuni di tutti i Paesi…  La Cina non ha mai invaso o prevaricato gli altri e mai lo farà, né cercherà l’egemonia. La Cina è sempre un costruttore di pace mondiale, un contributore all sviluppo globale, difensore dell’ordine internazionale e fornitore di beni pubblici. La Cina continuerà a portare al mondo nuove opportunità attraverso il suo nuovo sviluppo”. Qui si può credere o non credere alle parole del Presidente cinese, ma esistono alcune verità storiche inoppugnabili. Già nel sedicesimo secolo Filippo II di Spagna, con il beneplacito del Papa, stava studiando l’invasione della Cina di cui conosceva la ricchezza e l’attitudine mite e non guerriera. Poi vi rinunziò. Nel 1842 l’Inghilterra mosse guerra alla Cina e si impadronì di Hong Kong. Poco dopo la stessa Inghilterra, la Francia la Germania, la Russia, gli USA, l’Italia e il Giappone si spartirono sostanzialmente il territorio Cinese. Alla fine della Prima guerra mondiale la Cina, che vi aveva partecipato dal lato dei vincitori, chiese che le fossero restituiti i territori occupati, ma intere province rimasero agli invasori giapponesi che invece avevano perso la guerra. Ce ne è abbastanza senza bisogno di andare più indietro nel tempo, ma è innegabile che l’intero Occidente è sempre stato una civiltà di guerrieri mentre non si può dire lo stesso per l’Impero Cinese.. ContinuiamoDobbiamo migliorare la governance globale e praticare un vero multilateralismo. Nel mondo esioste un solo sistema internazionale, ovvero il sistema internazionale con al centro le Nazioni Unite. C’è un solo ordine internazionale, cioè quello sostenuto dal diritto internazionale. E c’è un solo insieme di regole, cioè le norme di base che regolano le relazioni internazionali sostenute dagli scopi e dai principi della Carta delle Nazioni Unite. L’ONU dovrebbe tenere alta la bandiera del vero multilateralismo e fungere da piattaforma centrale per i Paesi per salvaguardare congiuntamente la sicurezza universale, condividere i risultati dello sviluppo e tracciare la rotta per il futuro del Mondo. Le Nazioni Unite dovrebbero rimanere impegnate a garantire un ordine internazionale stabile, aumentando la rappresentanza e l’opinione dei Paesi in via di sviluppo negli affari internazionali e assumendo un ruolo guida nel progresso della democrazia e dello stato di diritto nelle relazioni internazionali. L’ONU dovrebbe portare avanti, in modo equilibrato, il lavoro in tutte e tre le aree della sicurezza, dello sviluppo  e dei diritti umani. Dovrebbe stabilire un’agenda comune, evidenziare questioni urgenti e concentrarsi su azioni reali, e fare in modo che gli impegni assunti da tutte le parti a favore del multilateralismo siano veramente rispettati.”

Si tratta di una visione diversa del mondo rispetto a quanto proposto da Biden. Se le parole distintive di Biden sono state “l’uso della forza come ultima istanza” e quelle di Xi Jinping “multilateralismo sotto l’egida dell’ONU”, il discorso di Macron, molto diverso può essere sintetizzato come “nuovo ruolo dell’Europa, multilateralismo e sovranità in una rinnovata globalizzazione”.  Vediamolo.

Anche Macron esordisce con le conseguenze del Covid che hanno creato una nuova crescita della povertà estrema dopo qualche decennio di miglioramenti, della poca diffusione dei vaccini a livello mondiale, e con inevitabili conseguenze sull’istruzione dei giovani, sostanzialmente bloccata in questi due anni. E aggiunge “Mentre l’unica soluzione sarà trovata attraverso la nostra cooperazione, le organizzazioni internazionali di cui abbiamo cruciale bisogno, come l’OMS, sono state accusate da alcuni di compiacenza, mentre altri le manipolano… le stesse Nazioni Unite hanno rischiato l’impotenza… Ma il membri permanenti <del consiglio di sicurezza> non hanno potuto, in circostanze così eccezionali, riunirsi come avremmo voluto, perché due di loro hanno preferito dichiarare la loro rivalità piuttosto che lavorare insieme efficacemente. .. L’Unione Europea, che molti prevedevano sarebbe rimasta divisa e impotente, ha compiuto grazie alla crisi un passo storico verso l’unità, la sovranità e la solidarietà, la scelta del futuro” E prosegueIl mondo così com’è oggi non può ridursi alla semplice rivalità tra Cina e Stati Uniti… l’Europa deve assumersi la sua parte di responsabilità.  Ciò significa sostenere i suoi valori…”. Nella seconda parte Macron passa ad indicare i cinque principi proposti dalla Francia: anzitutto la lotta contro la proliferazione delle armi di distruzione di massa e contro il terrorismo e qui menziona la serie lunghissima di Paesi in cui il suo Paese sta cercando azioni proattive, Siria, Iraq, lotta contro il Daesh (Isis) che non è stato distrutto, il Sahel in cui la Francia ha un ruolo determinante e in cui ha inviato truppe, ma solo perché le è stato richiesto dai singoli Paesi sovrani, ed è pronta a ritirale immediatamente non appena i singoli stati glielo richiederanno “Io credo nella sovranità dei popoli e penso che la nostra azione contro il terrorismo può essere utile e sostenibile solo se essa è combinata con il rispetto per la sovranità, una effettiva democrazia, ed un genuino sviluppo della politica”  “La seconda priorità è la costruzione della pace e della stabilità, assiema all’assicurazione della sovranità dei popoli. Le regole della pace e della stabilità devono essere ridefinite… Io non credo nella pace costruita sull’egemonismo o l’umiliazione. Anche se viene data una compensazione finanziaria. Sappiamo bene che il denaro non può compensare l’umiliazione di un popolo.” “Non posso rimanere silente circa il fatto che stiamo vivendo in una situazione nella quale la nostra sicurezza e stabilità dipendono in gran parte su accordi firmati in passato fra USA e USSR, e che sono stati gradualmente smantellati nello scorso decennio… Voglio essere molto chiaro quando dico che noi non delegheremo la nostra sicurezza collettiva a potenze diverse dall’Europa…”  “Il terzo obiettivo è la protezione dei beni comuni… la salute … il clima … la biodiversità … gli Oceani … i Poli e le foreste pluviali … la digitalizzazione … la creazione di un ordine pubblico mondiale per Internet, l’educazione su cui stiamo lavorando da molti anni e che è oggi in crisi anche per l’epidemia” La quarta priorità è la costruzione di una nuova era della globalizzazione “La prima era iniziò con i viaggi di Cristoforo Colombo e di Magellano. Fu quella della scoperta assieme alle prime invasioni. Un’era piena di tentativi ed errori, di una sorta di fascinazioni e allo stesso tempo di mutue incomprensioni. La seconda era fu quella degli imperi coloniali e della rivoluzione industriale del XIX secolo. Essa fu la globalizzazione attraverso il commercio, il primo sforzo di aprire le nostre economie ma anche le rotte della schiavitù, dello sfruttamento, lo sviluppo di alcuni e la schiavitù di altri, i primi movimenti di masse e una ricostituzione del mondo secondo le regole di questi poteri dominanti. La terza è iniziata nel 1989 con la caduta del muro di Berlino, l’apertura dei confini e la convinzione emergente che i movimenti di merci e persone e l’uso diffuso di internet avrebbero potuto portare a una convergenza di interessi, valori e idee… Questa terza fase fu accompagnata dall’idea che sarebbe stata una globalizzazione di pace, di condivisione di valori e universalizzazione, di rispetto per gli altri. Essa è stata però posta in discussione dalla crisi finanziaria, la trasformazione del mondo, il ritorno delle coscienze nazionali, e per ultima la pandemia. E’ stata anche messa in discussione dalla crisi della classe media in Occidente che ha cominciato a dubitare di che cosa questo nuovo ordine, la cosiddetta globalizzazione positiva, avrebbe portato a loro. Questa classe media che in tutto l’Occidente ha rappresentato spesso le variabili dei cambiamenti economici e culturali del mondo. Non ha senso però negare ciò che questo periodo ci ha portato in termini di progresso e prosperità. Ha portato fuori dall’estrema povertà milioni di persone proprio attraverso una redistribuzione del commercio e della produzione globali, e la facilità di spostamenti. E sarebbe pericoloso rifugiarsi in un protezionismo diffuso con dazi e guerre commerciali, in un dubbio foriero di isolazionismo e logica di potere. Ciò, infatti, comporterebbe il rischio di rispondere alla crisi della globalizzazione rifugiandosi nel nazionalismo, con la violenza del populismo o piuttosto nell’altro estremo delle logiche di potere. Però è chiaro che questa logica deve essere rivista, perché la crisi ha mostrato che la dipendenza in settori strategici come la salute, le tecnologie digitali, l’intelligenza artificiale, per non parlare del cibo, possono mettere in questione il libero esercizio della sovranità nel mondo di oggi. Esistono però “buone” dipendenze e dipendenze che ci indeboliscono. Dobbiamo mantenere l’apertura del commercio internazionale perché è utile socialmente ed economicamente, e perché in ogni caso non possiamo riportare tutte le produzioni all’interno dei nostri Paesi. La dipendenza totale però in certi settori come la tecnologia, l’industria alimentare crea vulnerabilità che non ci permettono di mantenere il bilanciamento che è parte dell’ordine globale…. E’ essenziale considerare le nuove realtà, in modo da creare le modalità di una cooperazione internazionale più bilanciata, che tenga conto della sovranità di ciascuno e il beneficio di tutti. Da questo punto di vista la guerra contro le disuguaglianze deve essere centrale nel ripensamento della globalizzazione…” L’ultimo obiettivo è infine il rispetto del diritto internazionale e dei diritti fondamentali di tutti. Ciò è essenziale per la sopravvivenza della nostra organizzazione <l’ONU> “Le Nazioni Unite non possono restare inattive… Abbiamo assistito a pratiche inaccettabili incluso da membri permanenti del Consiglio di sicurezza…” “Infine i diritti umani non sono un idea occidentale che possa essere tratta come un’interferenza dalle parti coinvolte. Questi sono i principi della nostra organizzazione, sanciti nei documenti di adesione all’ONU che tutti gli sati membri hanno liberamente accettato. Su questa base la Francia ha chiesto che una missione internazionale sotto gli auspici dell’ONU possa visitare lo Xinjiang per chiarire le preoccupazioni che condividiamo per quanto riguarda la situazione della minoranza Uigura.” “Questi sono i principi sui quali la Francia vuole rifondare con voi l’ordine internazionale…. Il multilateralismo non è un atto fede: è una necessità operativa. Nessun Paese può superare da solo queste problematiche. La cooperazione internazionale può essere difficile, ma è obiettivamente essenziale. Ciononostante non possiamo più accontentarci di un multilateralismo a parole che servano semplicemente a trovare un denominatore comune, una via per nascondere divisioni profonde dietro una facciata di consenso. Dobbiamo trovare un metodo nuovo, rovesciare i termini del contratto e assicurare che la nostra voce risuoni forte e chiara quando altri sono fieri di firmare alleanze, organizzazioni (ed i loro principi) solo per calpestarli nella realtà… Il moderno multilateralismo deve anche mettere insieme organizzazioni internazionali, “stakeholders” privati, il mondo degli affari, le ONG, ricercatori e cittadini, in maniera che ciascuno possa ricoprire un ruolo nelle azioni intraprese. Tutto ciò sarà basato su accordi concreti, che dovranno essere rispettati e verificati fra i partners, in buona fede, sulla base di regole e obiettivi chiari, e con meccanismi di chiara responsabilità. Per questo motivo nel Forum di Parigi in novembre, ci sforzeremo con i nostri partners europei e africani, e con tutti quelli che lo desidereranno in Asia, America e altrove, per consolidare le basi di questo nuovo accordo internazionale per il futuro di quest’organizzazione. Non credo che questo si potrà fare in un giorno. Penso invece a un lavoro determinato, metodico e rigoroso per costruire un ordine internazionale moderno che risparmierà alle future generazioni il flagello della guerra, sancirà i diritti umani e l’uguaglianza fra le nazioni e determinerà il progresso sociale con una maggiore libertà… Io credo nella forza della volontà e nel valore della sincerità e del coraggio… Conto su ognuno di voi. Grazie”

Lasciatemi dire che, fra i vari discorsi che ho letto con attenzione, questo è l’unico che guarda al futuro e non al passato. Che prende atto dell’esistenza di un nuovo mondo assolutamente interconnesso e interdipendente in maniera inestricabile e quindi ha bisogno di nuove regole. Esse devono garantire il rispetto dei diritti umani, a partire da quelli primari, la vita, la salute, l’istruzione, il lavoro, la dignità personale senza distinzione di lingua, razza, religione. Esse devono altresì rispettare le culture di tutti i Paesi, grandi e piccoli, e la loro indipendenza e sovranità, senza alcun tentativo di un colonialismo di tipo ottocentesco o di uno più subdolo basato su un vero ricatto economico.

Non è impossibile, il nostro mondo ha visto cambiamenti ben più profondi. Pensiamo al grande scossone costituito dalla rivoluzione industriale che cambiò il mondo del lavoro, la società e i rapporti fra le nazioni. Pensiamo alla prima guerra mondiale al cui termine furono poste le basi della Società delle Nazioni, alla seconda guerra mondiale, finita la quale nacque l’ONU che, con tutti i suoi limiti, è riuscito a garantire una certa stabilità a un mondo sempre più complesso e turbolento. Oggi è superato, ma non dobbiamo, non possiamo aspettare un altro conflitto mondiale per creare una nuova, più moderna, organizzazione.

L’ONU è oggi superato perché esso è legato alla fine della seconda GUERRA MONDIALE. Alcuni esempi ne danno evidenza. Innanzi tutto il Consiglio di Sicurezza, l’unico organo con un certo potere, ha cinque membri con diritto di veto, cioè di bloccare in maniera unilaterale ogni decisione, assieme ad altri minori che cambiano periodicamente e non hanno questo diritto. Essi sono USA, Russia, Cina, UK, Francia. Come mai? Perché esse sono le nazioni che hanno vinto la seconda guerra mondiale. Una specie di protettorato storico, oggi privo di alcun significato e di un minimo di uguaglianza e democrazia proprio in un’organizzazione che vorrebbe essere l’esempio di questi valori. Le altre assemblee non hanno sostanzialmente alcun valore perché le loro delibere sono totalmente disattese. Un  esempio è quello dell’embargo americano a Cuba di cui vi ho parlato di recente: una quantità di delibere pressoché all’unanimità per porvi termine, assolutamente ignorate. Multilateralità vuol dire anche questo, dare voce e diritti anche ai Paesi piccoli e in via di sviluppo, del Sud del mondo. Oggi purtroppo essi sono solo vittime dei giochi fra grandi potenze, essenzialmente due, USA e Cina con il mondo che assiste impotente, molto spesso non conoscendo cosa c’è dietro i loro conflitti fortunatamente non ancora armati. Non, non va bene. Guterres ha lanciato l’allarme, Biden ha dimostrato di essere ancorato al mondo com’era negli anni cinquanta del ‘900, Xi Jinping cerca di creare un sistema multipolare, ma non ha la credibilità per affermarlo. Tocca oggi all’Europa, l’unica che, se parla con una sola voce, può sperare di ritornare ad essere il vero leader del mondo di domani senza alcuna pretesa di egemonismo. Purtroppo Angela Merkel, la leader più lucida degli ultimi dieci anni è ormai fuori da ogni ruolo. Macron ha espresso concetti a mio avviso molto validi ma forse l’anno prossimo potrebbe essere anche lui fuori. I loro successori, per quanto si può capire oggi, avranno un ben altro peso internazionale. Non ne vedo altri che abbiano la stessa credibilità personale internazionale e che allo stesso tempo siano al vertice di Paesi stabili e credibili. Sono oggi molto pessimista. Come le due precedenti grandi guerre, esse non capitarono all’improvviso, erano ampiamente prevedibili e previste, ma nessuno si mosse. Oggi siamo in una situazione analoga. Egemonismi, enormi squilibri sociali fra i Paesi del nord e del sud del mondo e all’interno di ogni Paese, migrazioni sempre più imponenti e conflitti economici che stanno innalzando barriere fisiche ed economiche quali non si vedevano da moltissimo tempo, un’epidemia terribile a cui molti addirittura non credono, mettendone in dubbio la stessa esistenza e vedendo ovunque grandi complotti. Che Dio ci protegga. Ma di tutto ciò parleremo nella prossima nota.

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