IL MONDO VISTO DALLA LUNA 

14 ottobre 2020

PARTE seconda /B

 

Democrazia: potere del popolo, dal popolo e per il popolo

 

Nel secondo articolo sul vivere civile e le strutture organizzative dei popoli pubblicato il 6 settembre scorso e distribuito gradualmente nei venti giorni successivi, vi ho delineato le mie opinioni su alcuni principi fondanti del nostro mondo. In poche parole ho detto quanto segue.

  • Esistono due diritti fondamentali di tutti gli abitanti del mondo: il diritto alla vita e il diritto al lavoro. Essi includono ovviamente il diritto alle cure mediche, a un’alimentazione sufficiente, ad un posto in cui abitare e ad un certo livello di istruzione. Sono secondo me diritti universali che attraversano le frontiere e a cui corrispondono altrettanti doveri da parte di tutti gli abitanti del mondo.
  • Esistono poi, una volta garantiti questi diritti primordiali, tutta un’altra serie di diritti, successivi ai primi. Essi sono la libertà di pensiero e di poterlo esprimere, la libertà di associazione, la libertà di stampa, la libertà di movimento, una magistratura indipendente e via di seguito.
  • Esiste poi un terzo  livello che noi indichiamo con la parola democrazia, e qui il discorso si fa più complesso. Spesso si considera la parola democrazia come sinonimo di libertà, mentre sono concetti molto diversi e vi ho fatto l’esempio di Hong Kong nel periodo coloniale in cui esisteva forse più libertà che in molti paesi europei, senza però un briciolo di democrazia. Di più, oggi si identifica la democrazia con la “democrazia elettorale”. Il principio di “una persona, un voto” viene spesso considerato come la soluzione di tutti i problemi del mondo. Ho cercato di spiegare che in fondo la democrazia è sostanzialmente un mezzo per ottenere tutte quelle libertà di cui ho parlato prima. E’ il mezzo migliore che il nostro mondo occidentale è riuscito a trovare fino ad ora per garantirci per quanto possibile quelle libertà, ma non è detto che sia il migliore in maniera assiomatica e soprattutto che i principi identificati all’inizio del secolo scorso e messi in pratica dopo la seconda guerra mondiale siano ancora attuali in un mondo che è profondamente cambiato.

Oggi parto proprio da questo punto proponendovi alcune considerazioni pratiche sulla maniera in cui noi applichiamo i principi di cui sopra.

Partiamo dalla considerazione più evidente e banale che nasce da una domanda: “Come mai in Italia la legge elettorale cambia con una frequenza incredibile?” Addirittura meno di un anno fa la maggioranza oggi al potere aveva concordato (ma non ancora approvato) un sistema proporzionale con una soglia di sbarramento al 5%. Oggi, al momento in cui esso dovrebbe essere formalizzato con una legge, questo schema non va più bene. Il motivo è semplice, alcuni piccoli partiti che ritenevano di poter superare quella soglia e quindi di diventare l’ago della bilancia di una nuova maggioranza oggi hanno una prospettiva diversa e, rischiando di restare fuori dal Parlamento, propongono (assieme alle attuali opposizioni) un metodo diverso che in sostanza favorisca un sistema maggioritario. Non entro nel merito di quale sistema sia più giusto e più adatto al nostro Paese, ma è evidente che il sistema elettorale può influenzare pesantemente la maggioranza che governerà un Paese. E’ quindi secondo me una negazione della democrazia il fatto che la legge elettorale possa essere cambiata a ogni piè sospinto. Essa dovrebbe essere concordata da una maggioranza amplissima e inserita fra i principi fondamentali della costituzione in modo da essere cristallizzata e non a disposizione dell’interesse momentaneo di un qualunque partito temporaneamente al potere. Si ribatte spesso che bisogna garantire la governabilità: è vero, ma, visto che qualunque sistema si adotti, esso si configura come una manipolazione più o meno profonda della volontà popolare, il sistema elettorale dovrebbe essere deciso una volta per tutte in un’ottica secolare o almeno pluridecennale. Qualche cosa di analogo vale per l’età in cui si acquisisce il diritto di voto. Nel dopoguerra, e per molti anni ancora, si iniziava a votare a 21 anni per la Camera e a 25 per il Senato. Oggi si vota a 18 anni e si pensa di concedere il diritto di voto a 16 anni. Siamo veramente convinti che giovani che avevano visto la guerra ed avevano partecipato alla Resistenza fossero meno maturi dei ragazzi di oggi a 18 anni che spesso non sanno chi li governa e qual è il ruolo del governo e del Parlamento? O piuttosto è ipotizzabile che l’anticipo della maggiore età venga supportato o osteggiato in funzione dei famosi “sondaggi” e delle previsioni che l’ampliamento dell’elettorato favorisca questo o quel partito politico?

Vi ho fatto due esempi di quanto la parola “democrazia” venga spesso tradita ed usata solo come uno slogan ignorandone il significato. Essa infatti vuol dire “potere del popolo, dal popolo e per il popolo” con le parole che il Presidente Lincoln pronunziò il 19 novembre 1863 a Gettysburg, commemorando i morti di quella carneficina durante la Guerra Civile americana.

Sulla base della definizione che ho appena riportato, possiamo assumere che da noi, entro certi limiti, il potere derivi dal popolo. E’ il popolo infatti che, con varie limitazioni che dipendono dalla legge elettorale, sceglie i suoi rappresentanti. Che sia del popoloè discutibile perché ad esempio non esiste l’obbligo di mandato, e questo era giusto quando i nostri padri costituenti lo stabilirono. Siamo però davvero convinti che i nostri rappresentanti agiscano in maniera consequenziale (almeno nei principi generali), rispetto a ciò che ci avevano promesso? I frequentissimi cambi di casacca (con operazioni di “compravendita” più o meno nascoste) vi sembrano giusti e “democratici”? o non sarebbe più corretto che un parlamentare che ha cambiato idea e non ritiene più giusto supportare ciò che ci aveva proposto in caso di vittoria elettorale si dimettesse? So bene che la nostra Costituzione lo permette ma non era certamente questo lo spirito.

Negli anni ’50 e ’60 del ‘900 la partecipazione del popolo alla vita politica era, paradossalmente, molto maggiore di ora. Oggi infatti l’unica cinghia di trasmissione fra popolo e classe dirigente è il giorno del voto; e anche questo in maniera molto ridotta. A parte ciò, in quegli anni la famosa cinghia di trasmissione fra la base e il vertice era continua. Esistevano i comizi, affollatissimi, in cui spesso approvazione e disapprovazione finivano in maniera abbastanza violenta. Esistevano le sezioni di partito, dove deputati e attivisti dibattevano con i cittadini della propria parte politica i problemi del giorno. Esistevano le associazioni cattoliche sparse sul territorio in maniera capillare. Esistevano poi i sindacati a contatto ogni giorno da un lato con i lavoratori e dall’altro con le organizzazioni datoriali. Esistevano infine la Confindustria e le altre organizzazioni imprenditoriali anche loro in contatto continuo con piccoli e grandi imprenditori di cui rappresentavano gli interessi. Tutti noi più anziani ricordiamo bene gli scioperi di quegli anni e i “picchetti duri” davanti ai cancelli.

Oggi abbiamo il voto, i social inondati spesso di falsità ed i “talk show” dove ci si da sulla voce senza che si possa capire ciò che dicono gli interlocutori. Peggio, ognuno accusa l’altro di bugie nel citare dati che dovrebbero essere oggettivi. Anche su questo voglio darvi un esempio, recente, fra i tanti che saltano agli occhi ogni giorno. Si dibatte di uno studio fatto all’inizio della pandemia dal Comitato Tecnico Scientifico, consulente del governo. Tale studio non è stato reso pubblico perché avrebbe potuto creare panico ingiustificato. L’on. Salvini in una lettera al Corriere ha accusato violentemente il governo di non aver informato neanche le autorità locali. Il ministro Speranza ha reagito dicendo di aver ricevuto il rapporto direttamente dal rappresentante della Lombardia. Quest’ultimo dopo qualche giorno ha dichiarato di averlo effettivamente ricevuto, ma nella qualità di rappresentante di tutte le regioni e di avere ritenuto opportuno non informare nessuno perché vincolato al segreto. Qual è la verità “vera”? Ancora peggio succede quando nei dibattiti si citano dati statistici o economici che dovrebbero essere univoci. Niente da fare: ci si accusa l’un l’altro di mentire e il cittadino non riesce in alcun modo a conoscere la verità. Dov’è quindi il governo del popolo?

Infine per il popolo. Anzitutto una domanda: chi è il popolo? Gli aventi diritti al voto? Tutti i cittadini nati al momento del voto anche se ancora non possono votare? E gli individui ancora nel grembo della loro madre, che sono già soggetti di diritto? E le generazioni future? Noi ancora in questi giorni ci stiamo caricando (come e in misura molto maggiore di quanto è successo negli ultimi decenni) di un debito enorme. La mia generazione sarà esentata, per questioni anagrafiche, dal dover ripagare questo debito. Quella immediatamente successiva (i cinquantenni di oggi) sarà per la gran parte molto anziana e titolare di una serie di diritti acquisiti per cui potrà in qualche modo cavarsela.  Ma quella successiva? La generazione dei miei nipoti, quella che non ha alcuna responsabilità di questa situazione derivante in gran parte da decisioni prese a cavallo fra la fine del ventesimo e la prima parte del ventunesimo secolo dovrà trovare il modo di ripagare questo enorme debito per il quale non ha alcuna responsabilità. Tutti danno ormai per scontato che la pensione sarà per loro un sogno, probabilmente anche la proprietà di una casa, il sogno per lo più realizzato delle generazioni del Novecento. Avranno una sanità pubblica adeguata e sostanzialmente gratuita come fino ad oggi? Avranno un’istruzione pubblica e pressoché gratuita come noi e i nostri figli? Una cosa è certa: avranno una vita molto più grama di quella che abbiamo avuto noi.

Un problema analogo è quello dell’inquinamento e del riscaldamento globale. Siamo tutti d’accordo che, qualunque ne sia la causa prima, nel 2050 si arriverà a una situazione gravissima e difficilmente reversibile.  Federico Fubini ha scritto tempo fa un articolo, che vi ho citato in passato, dimostrando che, dati alla mano, la gran maggioranza di chi oggi vota (quindi è nato dopo il 2002) non sarà ragionevolmente in vita nella seconda metà di questo secolo. Su questo argomento ho voluto fare un mio piccolo sondaggio fra persone oltre i 50 anni. Prima domanda: Chi era d’accordo che fosse necessario fare qualcosa? Quasi tutti. Seconda domanda: chi era favorevole a una tassa specifica per diminuire l’inquinamento o bloccare l’aumento della temperatura globale? Sostanzialmente nessuno. E allora, sostiene Fubini, perché i nostri parlamentari dovrebbero perdere consensi deliberando azioni serie e quindi costose? In conclusione l’ultima parte della definizione “per il popolo” è molto limitata ed intrinsecamente egoistica. Nessuno tutela realmente gli interessi, la volontà, i bisogni di chi non è ammesso al voto, dei nostri figli e dei nostri nipoti il cui futuro però dipenderà largamente dalle decisioni di oggi. E chi si occupa veramente dei disoccupati, dei lavoratori costretti al  nero, etc.? Ed infine chi tutela gli interessi delle generazioni future?

Il vero problema del nostro modo di intendere la democrazia è purtroppo il seguente ed è la radice di tutto. Fortunatamente ciò che sto per dire è, a mio avviso, pienamente valido negli Stati Uniti, molto meno in Europa e specialmente in Italia, dove, da questo punto di vista siamo ancora in un’isola felice.

La nostra democrazia elettorale è concepita in modo che i vari Partiti che si contendono il potere sono portatori di interessi della propria parte. In un sistema bipartitico, la parte vincente porterà avanti il suo programma e quella perdente dovrà aspettare e cercare di vincere le elezioni successive. Normalmente il rapporto fra vincitore e soccombente sarà nell’ordine del 52-53% contro il 47-48% (anche se, grazie a taluni sistemi elettorali, in USA per esempio, il vincitore può ricevere meno voti del perdente). Bene, circa la metà dei cittadini vedrà le proprie idee quanto meno ignorate. A puro titolo di esempio e con una semplificazione estrema, in caso di vittoria di un partito “di destra” verranno privilegiate le idee di chi ritiene necessario favorire l’imprenditoria,  la finanza e un liberismo più o meno sfrenato a scapito di istruzione pubblica, sanità sostanzialmente gratuita, cassa integrazione (o equivalente) per chi perde il lavoro etc. In caso di vittoria di un partito “di sinistra” avverrà più o meno l’opposto: maggiore progressività delle tasse sul reddito e sui capitali, sovvenzioni per le case popolari, l’istruzione e la sanità pubbliche. Cosa vuol dire tutto ciò? Che quella parte di popolo, circa la metà, che ha perso le elezioni non avrà sostanzialmente voce in capitolo per un certo numero di anni. Ma allora che vuol dire “per il popolo”? Sulla base di quanto ho detto negli ultimi due paragrafi sarebbe più appropriato dire “per quella parte degli elettori che ha vinto le elezioni, escludendo anche chi, non avendo diritto al voto, non ha voce in capitolo. E’ una definizione ben strana di “popolo”, non vi pare? Il Governo dovrebbe occuparsi di TUTTO il popolo, vale a dire del BENE COMUNE che invece è sostanzialmente ignorato. Purtroppo questa è la realtà e, se guardate gli USA con occhi disincantati, risulta del tutto evidente. Trump ha cancellato tutte le riforme che Obama era riuscito a fare, a partire dalle leggi contro l’inquinamento e finendo con quel minimo di sanità pubblica che si era riusciti a creare. In Italia per fortuna esiste una maggiore coscienza del “bene comune”, ma se è vero il detto che ciò che si verifica oggi in America sarà il nostro futuro fra dieci anni, non c’è da ben sperare.

Questi siamo noi oggi. Chiediamoci “C’era più democrazia 60 fa oppure oggi”?Cerchiamo di riflettere quindi su ciò che siamo veramente, su quali problemi gravissimi affliggono la nostra società e su come possiamo curarli. Soprattutto non facciamo spallucce nascondendoci dietro la frase “Sono d’accordo ma non posso influire in alcun modo sulla società”. Ciò vuol dire l’accettazione implicita e assoluta che la democrazia non esiste più nel nostro Paese e nel nostro mondo. E allora smettiamo di fingere!

Se poi allarghiamo lo sguardo all’occidente in generale, voglio fare un’ultima notazione. In un mio articolo recente vi ho fatto una brevissima storia di tutte le leggi che si sono susseguite negli Stati Uniti per eliminare la discriminazione razziale. Sono passati circa 150 anni. Vi sembra che il razzismo sia scomparso in America? Rileggete il mio articolo alla luce di ciò che sto dicendo oggi e chiedetevi se quello si può veramente chiamare un governo “per il popolo” per tutto il popolo!  

Concludo questa seconda parte della mia nota con alcune domande.

  • Esiste oggi una vera partecipazione del popolo al potere?
  •  Il sistema di suffragio universale attuale, con una legge elettorale modificabile con facilità, è adeguato a esprimere un sistema di governo democratico?
  • Un sistema che permetta l’elettorato attivo e (soprattutto) passivo solamente in base all’età, è ancora adeguato alle complessità del mondo moderno?
  • In ultimo, il nostro è un sistema democratico secondo la definizione “potere del popolo, dal popolo e per il popolo” oppure la nostra democrazia ha bisogno di un grande ripensamento?
  • Sia chiaro, non intendo mettere in dubbio che il nostro sistema, le nostre libertà, siano le uniche compatibili con la nostra storia e la nostra cultura. Non dobbiamo però cadere nell’errore di pensare  che le metodologie che adoperiamo oggi siano un dogma immodificabile in un mondo che cambia.

 

 

IL MONDO VISTO DALLA LUNA 3

IL MONDO VISTO DALLA LUNA 

14 ottobre 2020

PARTE seconda /B

 

Democrazia: potere del popolo, dal popolo e per il popolo

 

Nel secondo articolo sul vivere civile e le strutture organizzative dei popoli pubblicato il 6 settembre scorso e distribuito gradualmente nei venti giorni successivi, vi ho delineato le mie opinioni su alcuni principi fondanti del nostro mondo. In poche parole ho detto quanto segue.

  • Esistono due diritti fondamentali di tutti gli abitanti del mondo: il diritto alla vita e il diritto al lavoro. Essi includono ovviamente il diritto alle cure mediche, a un’alimentazione sufficiente, ad un posto in cui abitare e ad un certo livello di istruzione. Sono secondo me diritti universali che attraversano le frontiere e a cui corrispondono altrettanti doveri da parte di tutti gli abitanti del mondo.
  • Esistono poi, una volta garantiti questi diritti primordiali, tutta un’altra serie di diritti, successivi ai primi. Essi sono la libertà di pensiero e di poterlo esprimere, la libertà di associazione, la libertà di stampa, la libertà di movimento, una magistratura indipendente e via di seguito.
  • Esiste poi un terzo  livello che noi indichiamo con la parola democrazia, e qui il discorso si fa più complesso. Spesso si considera la parola democrazia come sinonimo di libertà, mentre sono concetti molto diversi e vi ho fatto l’esempio di Hong Kong nel periodo coloniale in cui esisteva forse più libertà che in molti paesi europei, senza però un briciolo di democrazia. Di più, oggi si identifica la democrazia con la “democrazia elettorale”. Il principio di “una persona, un voto” viene spesso considerato come la soluzione di tutti i problemi del mondo. Ho cercato di spiegare che in fondo la democrazia è sostanzialmente un mezzo per ottenere tutte quelle libertà di cui ho parlato prima. E’ il mezzo migliore che il nostro mondo occidentale è riuscito a trovare fino ad ora per garantirci per quanto possibile quelle libertà, ma non è detto che sia il migliore in maniera assiomatica e soprattutto che i principi identificati all’inizio del secolo scorso e messi in pratica dopo la seconda guerra mondiale siano ancora attuali in un mondo che è profondamente cambiato.

Oggi parto proprio da questo punto proponendovi alcune considerazioni pratiche sulla maniera in cui noi applichiamo i principi di cui sopra.

Partiamo dalla considerazione più evidente e banale che nasce da una domanda: “Come mai in Italia la legge elettorale cambia con una frequenza incredibile?” Addirittura meno di un anno fa la maggioranza oggi al potere aveva concordato (ma non ancora approvato) un sistema proporzionale con una soglia di sbarramento al 5%. Oggi, al momento in cui esso dovrebbe essere formalizzato con una legge, questo schema non va più bene. Il motivo è semplice, alcuni piccoli partiti che ritenevano di poter superare quella soglia e quindi di diventare l’ago della bilancia di una nuova maggioranza oggi hanno una prospettiva diversa e, rischiando di restare fuori dal Parlamento, propongono (assieme alle attuali opposizioni) un metodo diverso che in sostanza favorisca un sistema maggioritario. Non entro nel merito di quale sistema sia più giusto e più adatto al nostro Paese, ma è evidente che il sistema elettorale può influenzare pesantemente la maggioranza che governerà un Paese. E’ quindi secondo me una negazione della democrazia il fatto che la legge elettorale possa essere cambiata a ogni piè sospinto. Essa dovrebbe essere concordata da una maggioranza amplissima e inserita fra i principi fondamentali della costituzione in modo da essere cristallizzata e non a disposizione dell’interesse momentaneo di un qualunque partito temporaneamente al potere. Si ribatte spesso che bisogna garantire la governabilità: è vero, ma, visto che qualunque sistema si adotti, esso si configura come una manipolazione più o meno profonda della volontà popolare, il sistema elettorale dovrebbe essere deciso una volta per tutte in un’ottica secolare o almeno pluridecennale. Qualche cosa di analogo vale per l’età in cui si acquisisce il diritto di voto. Nel dopoguerra, e per molti anni ancora, si iniziava a votare a 21 anni per la Camera e a 25 per il Senato. Oggi si vota a 18 anni e si pensa di concedere il diritto di voto a 16 anni. Siamo veramente convinti che giovani che avevano visto la guerra ed avevano partecipato alla Resistenza fossero meno maturi dei ragazzi di oggi a 18 anni che spesso non sanno chi li governa e qual è il ruolo del governo e del Parlamento? O piuttosto è ipotizzabile che l’anticipo della maggiore età venga supportato o osteggiato in funzione dei famosi “sondaggi” e delle previsioni che l’ampliamento dell’elettorato favorisca questo o quel partito politico?

Vi ho fatto due esempi di quanto la parola “democrazia” venga spesso tradita ed usata solo come uno slogan ignorandone il significato. Essa infatti vuol dire “potere del popolo, dal popolo e per il popolo” con le parole che il Presidente Lincoln pronunziò il 19 novembre 1863 a Gettysburg, commemorando i morti di quella carneficina durante la Guerra Civile americana.

Sulla base della definizione che ho appena riportato, possiamo assumere che da noi, entro certi limiti, il potere derivi dal popolo. E’ il popolo infatti che, con varie limitazioni che dipendono dalla legge elettorale, sceglie i suoi rappresentanti. Che sia del popoloè discutibile perché ad esempio non esiste l’obbligo di mandato, e questo era giusto quando i nostri padri costituenti lo stabilirono. Siamo però davvero convinti che i nostri rappresentanti agiscano in maniera consequenziale (almeno nei principi generali), rispetto a ciò che ci avevano promesso? I frequentissimi cambi di casacca (con operazioni di “compravendita” più o meno nascoste) vi sembrano giusti e “democratici”? o non sarebbe più corretto che un parlamentare che ha cambiato idea e non ritiene più giusto supportare ciò che ci aveva proposto in caso di vittoria elettorale si dimettesse? So bene che la nostra Costituzione lo permette ma non era certamente questo lo spirito.

Negli anni ’50 e ’60 del ‘900 la partecipazione del popolo alla vita politica era, paradossalmente, molto maggiore di ora. Oggi infatti l’unica cinghia di trasmissione fra popolo e classe dirigente è il giorno del voto; e anche questo in maniera molto ridotta. A parte ciò, in quegli anni la famosa cinghia di trasmissione fra la base e il vertice era continua. Esistevano i comizi, affollatissimi, in cui spesso approvazione e disapprovazione finivano in maniera abbastanza violenta. Esistevano le sezioni di partito, dove deputati e attivisti dibattevano con i cittadini della propria parte politica i problemi del giorno. Esistevano le associazioni cattoliche sparse sul territorio in maniera capillare. Esistevano poi i sindacati a contatto ogni giorno da un lato con i lavoratori e dall’altro con le organizzazioni datoriali. Esistevano infine la Confindustria e le altre organizzazioni imprenditoriali anche loro in contatto continuo con piccoli e grandi imprenditori di cui rappresentavano gli interessi. Tutti noi più anziani ricordiamo bene gli scioperi di quegli anni e i “picchetti duri” davanti ai cancelli.

Oggi abbiamo il voto, i social inondati spesso di falsità ed i “talk show” dove ci si da sulla voce senza che si possa capire ciò che dicono gli interlocutori. Peggio, ognuno accusa l’altro di bugie nel citare dati che dovrebbero essere oggettivi. Anche su questo voglio darvi un esempio, recente, fra i tanti che saltano agli occhi ogni giorno. Si dibatte di uno studio fatto all’inizio della pandemia dal Comitato Tecnico Scientifico, consulente del governo. Tale studio non è stato reso pubblico perché avrebbe potuto creare panico ingiustificato. L’on. Salvini in una lettera al Corriere ha accusato violentemente il governo di non aver informato neanche le autorità locali. Il ministro Speranza ha reagito dicendo di aver ricevuto il rapporto direttamente dal rappresentante della Lombardia. Quest’ultimo dopo qualche giorno ha dichiarato di averlo effettivamente ricevuto, ma nella qualità di rappresentante di tutte le regioni e di avere ritenuto opportuno non informare nessuno perché vincolato al segreto. Qual è la verità “vera”? Ancora peggio succede quando nei dibattiti si citano dati statistici o economici che dovrebbero essere univoci. Niente da fare: ci si accusa l’un l’altro di mentire e il cittadino non riesce in alcun modo a conoscere la verità. Dov’è quindi il governo del popolo?

Infine per il popolo. Anzitutto una domanda: chi è il popolo? Gli aventi diritti al voto? Tutti i cittadini nati al momento del voto anche se ancora non possono votare? E gli individui ancora nel grembo della loro madre, che sono già soggetti di diritto? E le generazioni future? Noi ancora in questi giorni ci stiamo caricando (come e in misura molto maggiore di quanto è successo negli ultimi decenni) di un debito enorme. La mia generazione sarà esentata, per questioni anagrafiche, dal dover ripagare questo debito. Quella immediatamente successiva (i cinquantenni di oggi) sarà per la gran parte molto anziana e titolare di una serie di diritti acquisiti per cui potrà in qualche modo cavarsela.  Ma quella successiva? La generazione dei miei nipoti, quella che non ha alcuna responsabilità di questa situazione derivante in gran parte da decisioni prese a cavallo fra la fine del ventesimo e la prima parte del ventunesimo secolo dovrà trovare il modo di ripagare questo enorme debito per il quale non ha alcuna responsabilità. Tutti danno ormai per scontato che la pensione sarà per loro un sogno, probabilmente anche la proprietà di una casa, il sogno per lo più realizzato delle generazioni del Novecento. Avranno una sanità pubblica adeguata e sostanzialmente gratuita come fino ad oggi? Avranno un’istruzione pubblica e pressoché gratuita come noi e i nostri figli? Una cosa è certa: avranno una vita molto più grama di quella che abbiamo avuto noi.

Un problema analogo è quello dell’inquinamento e del riscaldamento globale. Siamo tutti d’accordo che, qualunque ne sia la causa prima, nel 2050 si arriverà a una situazione gravissima e difficilmente reversibile.  Federico Fubini ha scritto tempo fa un articolo, che vi ho citato in passato, dimostrando che, dati alla mano, la gran maggioranza di chi oggi vota (quindi è nato dopo il 2002) non sarà ragionevolmente in vita nella seconda metà di questo secolo. Su questo argomento ho voluto fare un mio piccolo sondaggio fra persone oltre i 50 anni. Prima domanda: Chi era d’accordo che fosse necessario fare qualcosa? Quasi tutti. Seconda domanda: chi era favorevole a una tassa specifica per diminuire l’inquinamento o bloccare l’aumento della temperatura globale? Sostanzialmente nessuno. E allora, sostiene Fubini, perché i nostri parlamentari dovrebbero perdere consensi deliberando azioni serie e quindi costose? In conclusione l’ultima parte della definizione “per il popolo” è molto limitata ed intrinsecamente egoistica. Nessuno tutela realmente gli interessi, la volontà, i bisogni di chi non è ammesso al voto, dei nostri figli e dei nostri nipoti il cui futuro però dipenderà largamente dalle decisioni di oggi. E chi si occupa veramente dei disoccupati, dei lavoratori costretti al  nero, etc.? Ed infine chi tutela gli interessi delle generazioni future?

Il vero problema del nostro modo di intendere la democrazia è purtroppo il seguente ed è la radice di tutto. Fortunatamente ciò che sto per dire è, a mio avviso, pienamente valido negli Stati Uniti, molto meno in Europa e specialmente in Italia, dove, da questo punto di vista siamo ancora in un’isola felice.

La nostra democrazia elettorale è concepita in modo che i vari Partiti che si contendono il potere sono portatori di interessi della propria parte. In un sistema bipartitico, la parte vincente porterà avanti il suo programma e quella perdente dovrà aspettare e cercare di vincere le elezioni successive. Normalmente il rapporto fra vincitore e soccombente sarà nell’ordine del 52-53% contro il 47-48% (anche se, grazie a taluni sistemi elettorali, in USA per esempio, il vincitore può ricevere meno voti del perdente). Bene, circa la metà dei cittadini vedrà le proprie idee quanto meno ignorate. A puro titolo di esempio e con una semplificazione estrema, in caso di vittoria di un partito “di destra” verranno privilegiate le idee di chi ritiene necessario favorire l’imprenditoria,  la finanza e un liberismo più o meno sfrenato a scapito di istruzione pubblica, sanità sostanzialmente gratuita, cassa integrazione (o equivalente) per chi perde il lavoro etc. In caso di vittoria di un partito “di sinistra” avverrà più o meno l’opposto: maggiore progressività delle tasse sul reddito e sui capitali, sovvenzioni per le case popolari, l’istruzione e la sanità pubbliche. Cosa vuol dire tutto ciò? Che quella parte di popolo, circa la metà, che ha perso le elezioni non avrà sostanzialmente voce in capitolo per un certo numero di anni. Ma allora che vuol dire “per il popolo”? Sulla base di quanto ho detto negli ultimi due paragrafi sarebbe più appropriato dire “per quella parte degli elettori che ha vinto le elezioni, escludendo anche chi, non avendo diritto al voto, non ha voce in capitolo. E’ una definizione ben strana di “popolo”, non vi pare? Il Governo dovrebbe occuparsi di TUTTO il popolo, vale a dire del BENE COMUNE che invece è sostanzialmente ignorato. Purtroppo questa è la realtà e, se guardate gli USA con occhi disincantati, risulta del tutto evidente. Trump ha cancellato tutte le riforme che Obama era riuscito a fare, a partire dalle leggi contro l’inquinamento e finendo con quel minimo di sanità pubblica che si era riusciti a creare. In Italia per fortuna esiste una maggiore coscienza del “bene comune”, ma se è vero il detto che ciò che si verifica oggi in America sarà il nostro futuro fra dieci anni, non c’è da ben sperare.

Questi siamo noi oggi. Chiediamoci “C’era più democrazia 60 fa oppure oggi”?Cerchiamo di riflettere quindi su ciò che siamo veramente, su quali problemi gravissimi affliggono la nostra società e su come possiamo curarli. Soprattutto non facciamo spallucce nascondendoci dietro la frase “Sono d’accordo ma non posso influire in alcun modo sulla società”. Ciò vuol dire l’accettazione implicita e assoluta che la democrazia non esiste più nel nostro Paese e nel nostro mondo. E allora smettiamo di fingere!

Se poi allarghiamo lo sguardo all’occidente in generale, voglio fare un’ultima notazione. In un mio articolo recente vi ho fatto una brevissima storia di tutte le leggi che si sono susseguite negli Stati Uniti per eliminare la discriminazione razziale. Sono passati circa 150 anni. Vi sembra che il razzismo sia scomparso in America? Rileggete il mio articolo alla luce di ciò che sto dicendo oggi e chiedetevi se quello si può veramente chiamare un governo “per il popolo” per tutto il popolo!  

Concludo questa seconda parte della mia nota con alcune domande.

  • Esiste oggi una vera partecipazione del popolo al potere?
  •  Il sistema di suffragio universale attuale, con una legge elettorale modificabile con facilità, è adeguato a esprimere un sistema di governo democratico?
  • Un sistema che permetta l’elettorato attivo e (soprattutto) passivo solamente in base all’età, è ancora adeguato alle complessità del mondo moderno?
  • In ultimo, il nostro è un sistema democratico secondo la definizione “potere del popolo, dal popolo e per il popolo” oppure la nostra democrazia ha bisogno di un grande ripensamento?
  • Sia chiaro, non intendo mettere in dubbio che il nostro sistema, le nostre libertà, siano le uniche compatibili con la nostra storia e la nostra cultura. Non dobbiamo però cadere nell’errore di pensare  che le metodologie che adoperiamo oggi siano un dogma immodificabile in un mondo che cambia.

 

 

IL MONDO VISTO DALLA LUNA - 2

22 giugno 2020

I HAVE A DREAM

… Cento anni fa un grande americano, alla cui ombra ci leviamo oggi, firmò il Proclama sull’Emancipazione. Questo fondamentale decreto venne come un grande faro di speranza per milioni di schiavi negri che erano stati bruciati sul fuoco dell’avida ingiustizia. Venne come un’alba radiosa a porre termine alla lunga notte di cattività. Ma cento anni dopo il negro ancora non è libero; cento anni dopo, la vita del negro è ancora purtroppo paralizzata dai ceppi della segregazione e dalle catene della discriminazione…… cento anni dopo il negro langue ancora ai margini della società americana e si trova esiliato nella sua stessa terra……. Io ho un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione dove non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per ciò che la loro persona contiene. Io ho un sogno oggi.

Martin Luther King pronunciò questo discorso, considerato uno dei più belli dell’oratoria americana di tutti i tempi, il 28 agosto 1963  davanti al Lincoln Memorial di Washington, al termine di una imponente marcia di protesta per i diritti civili. Invito tutti voi a leggere il testo completo di cui vi invio il link.

https://www.dropbox.com/s/ynzhikzqez8s56h/Martin%20Luther%20King%20-%20I%20have%20a%20dream.pdf?dl=0

 Ci tengo a dire che il termine spregiativo “Negro” appare nel testo originale in inglese.

Il tre aprile 1968 MLK si recò a Memphis dove aveva già ricevuto parecchie minacce di morte e disse “Well, I don’t know what will happen now. We’ve got some difficult days ahead. But doesn’t matter with me now. Because I’ve been to the mountaintop. And I don’t mind. Like anybody. I would like to live a long life. Longevity has its place. But I’m not concerned about that now. I just want to do God’s will. And he’s allowed to me to go up to the mountain. And I’ve looked over. And I’ve seen the promised land. And so I’m happy, tonight. I am not worried about anything. I’m not fearing any man. My eyes have seen the glory of the coming of the Lord.

Riassumo <Non so cosa mi succederà ora, ma non mi importa. Mi piacerebbe avere una lunga vita, ma sia fatta la volontà di Dio. Egli mi ha consentito di arrivare in cima alla montagna ed ho guardato al di là, ed ho visto la terra promessa. Sono così felice stasera, e non ho paura di niente, di nessuno. I miei occhi hanno visto la gloria del Signore>

La mattina dopo, mentre era affacciato al balcone della sua camera d’albergo MLK fu assassinato con un solo colpo sparato da un fucile di precisione. 52 anni dopo, e dopo vari omicidi perpetrati su basi razziali  sembra che niente sia cambiato. L’America, e in particolare i Neri d’America, sono ben lontani dalla terra promessa. Tutti voi sapete cosa è successo: esiste una tragica e drammatica simmetria fra le manifestazioni in tutta l’America subito dopo l’assassinio di MLK e quelle che hanno fatto seguito all’omicidio di George Floyd. In entrambi i casi le proteste arrivarono a lambire la stessa Casa Bianca, considerata dal popolo come il sacro tempio della loro democrazia. Lo stesso giorno dell’assassinio di MLK, Robert Kennedy in un discorso improvvisato disse “In questa giornata difficile, in questo momento difficile per gli Stati Uniti è forse il caso di chiederci che tipo di nazione siamo, ed in che direzione vogliamo procedere. Per quelli di voi che sono neri … potreste ritrovarvi pieni di amarezza, di odio, di desiderio di vendetta. Potremmo andare in questa direzione come Paese …. Oppure possiamo fare uno sforzo, come ha fatto MLK, per capire e per comprendere e rimpiazzare questa violenza… con uno sforzo per capire, con compassione e amore….. vi posso solo dire che io stesso posso sentire nel mio cuore quel tipo di sentimenti: qualcuno nella mia famiglia è stato ucciso, e anche lui per mano di un bianco….. Il 6 giugno 1968, solo qualche mese dopo, anche Bob Kennedy moriva assassinato per le sue idee come era successo al fratello, il Presidente John Fitzgerald Kennedy.

Purtroppo oggi non abbiamo un Kennedy a riportare la pace in America, ma abbiamo il Presidente Donald Trump che è quanto di più divisivo si possa immaginare.

 

Questa nota si divide in due parti. La prima è una breve analisi della situazione di oggi, mentre la seconda esamina, anch’essa brevemente, la storia del razzismo in America. Quest’ultima richiederebbe un lungo saggio ma la mia nota può servire di stimolo per approfondire una contraddizione importantissima, e più diffusa di quanto si immagini, della civiltà occidentale.

 

Che cosa è successo e perché la rivolta non si placa

Come tutti voi sapete George Perry Floyd è morto il 25 maggio 2020 a Minneapolis, Minnesota. Chi era GPF? Originario di Houston, Texas, aveva dei precedenti penali per reati contro il patrimonio, ma era generalmente considerato un brav’uomo. Quella sera venne fermato dalla Polizia per aver cercato di pagare con 20 Dollari falsi. E’ quindi morto per 18 Euro (ammesso che lo abbia fatto di proposito)! Ma il punto non è questo. Se non ci fosse stato quel brevissimo filmato che ha fatto rapidamente il giro del mondo, la sua morte sarebbe stata una delle tante di un “Nero”, non semplicemente di un “uomo”. Invece tutti hanno visto quell’uomo steso a terra con un poliziotto che gli schiacciava il collo con il ginocchio mentre lo guardava con indifferenza e la mano in tasca. In pochi hanno sentito che la sua ultima parola è statan “mamma”: implorava la madre morta due anni prima. Ripeto, tutto ciò per 18 Euro! La prima autopsia dichiarò che era morto perché aveva contratto il Corona virus. Di nuovo tutto sarebbe finito se non ci fosse stata un’altra autopsia, sotto la pressione del mondo, che dichiarò il rapporto di causa-effetto fra la pressione del ginocchio sul collo e la sua morte. L’uccisore è stato arrestato in attesa del processo? Neanche per sogno; è libero di camminare perché è accusato di omicidio di secondo grado. Durante il suo funerale l’avvocato incaricato dalla famiglia disse “ George non è morto di corona virus, ma di una pandemia ben peggiore , il razzismo”. GPF si era mosso dal Texas in Minnesota, parte di una grande migrazione che nel ventesimo secolo ha visto sette milioni di Afro-Americani cercare di scappare dal razzismo diffuso prevalentemente nel sud degli USA in cerca di migliori condizioni di vita negli Stati del Nord. Non sapeva che in Minnesota i Neri hanno 13 volte maggiori probabilità di essere uccisi dalla polizia rispetto ai Bianchi. Tutti delinquenti? Guardiamo qualche altro dato. I neri rappresentano il 6.8% della popolazione dello stato ma rappresentano il 16% dei 25000 morti di corona virus, più del doppio dei bianchi. GPF aveva due figli, era uno dei 30 milioni di americani che avevano perso il lavoro in questa epidemia, ma secondo il proprietario del Conga latin Bistro era un “dipendente modello”. Al contrario, il poliziotto aveva collezionato negli anni numerose denunzie per uso eccessivo della forza ed era stato implicato in numerose sparatorie mortali ai danni di sospetti, che però non avevano mai portato a provvedimenti disciplinari nei suoi confronti. Di che vi stupite? Titola un articolo del Guardian “George Floyd happens every day”. E questa è purtroppo la verità.

Tutta l’America si è infiammata, manifestazioni hanno invaso le strade di tutte le città ed anche molti “Bianchi” si sono unite ad esse. I loro manifesti spiegavano che un Nero può oggi essere ucciso per i motivi più vari. Purtroppo, durante queste manifestazioni ci sono stati ulteriori esempi documentati da altri filmati. Ve ne cito uno solo, perché probabilmente avete assistito anche voi a questi orrori. Atlanta, Georgia, un’altra capitale storica del razzismo in America, sede dell’ultima battaglia del Nord contro il Sud, finita con l’incendio della città, che costituisce una delle scene più famose del film “Via col vento”. Qualcuno chiama la polizia indicando che c’è una macchina sospetta in sosta in maniera irregolare nel parcheggio di un ristorante. Un uomo, un afro-americano di 27 anni palesemente ubriaco stava dormendo nell’auto. Questa parte della scena non si vede nel filmato ma risulta dal verbale della polizia, secondo cui i due poliziotti chiedono all’uomo di sottoporsi alla prova del palloncino. L’uomo si rifiuta e i poliziotti lo tirano fuori dall’auto per ammanettarlo. A questo punto inizia il filmato e Giuseppe Sarcina sul Corriere ce ne da il resoconto. Si vedono tre uomini aggrovigliati a terra, Brooks tenta di strappare il taser ad uno degli agenti; sembra che ci riesca e scappa. I poliziotti lo inseguono. Non si riesce a vedere il seguito; secondo gli inquirenti Brooks minaccia con il taser uno degli agenti; si sentono diversi colpi di pistola; Brooks crolla a terra. Arriva l’ambulanza ma Brooks muore in ospedale. Si viene a sapere in seguito che era stato colpito da tre proiettili alla schiena di cui due mortali. Una  persona che non stava guidando in stato di ubriachezza creando quindi un pericolo per se e per gli altri, ma che dormiva nella sua macchina in un parcheggio!

Ci sono stati disordini, altri morti e tutto ciò non accenna a fermarsi. Ma cosa ha fatto Donald Trump, il Presidente di tutti gli Americani, bianchi, neri, latinos, ricchi e poveri, democratici e repubblicani? Ha cercato di invocare la pace? Niente di tutto ciò. Ha inalberato il vessillo di “law and order” di Nixoniana memoria, ha criticato i sindaci e i governatori “incapaci di imporre l’ordine” minacciandoli di pensarci lui.

Durante la grande e pacifica manifestazione a Washington, con una marea di persone di tutte le razze che circondava la Casa Bianca, protetta da grandi barriere, dalla polizia e dalle forze speciali che sono sempre a protezione del Presidente, cosa ha fatto Trump? Ha minacciato di utilizzare cani feroci e di chiamare l’esercito che aveva già fatto arrivare a Washington. Dopo di che, per dimostrare la sua forza e il suo disprezzo (non esiste altra spiegazione) è uscito dal Palazzo, circondato dalla polizia a cavallo e dai servizi di sicurezza che aprivano un varco fra la folla, e si è diretto fino a una chiesa episcopale poco distante. Arrivato lì, si è fermato, ha brandito una Bibbia (nota comica, era capovolta), l’ha mostrata alla folla ed è tornato indietro. Conoscevamo tutti l’imprevedibilità di Trump, ma mai fio a questo punto!

E’ forse stato, questo, il punto di svolta. Il Washington Post, nella sua edizione del quattro giugno riporta una dichiarazione del Segretario alla Difesa Mark T. Esper secondo cui l’uso di forze militari per sedare i disordini nel Paese non è assolutamente necessario. Lo stesso giorno infatti, come vi ho detto, il Pentagono aveva cominciato a dislocare forze militari a Washington (non dispiegate sul campo) secondo l’ordine di Trump che stava preparando la provocazione di cui vi ho appena parlato. Nelle stesse ore  Jimm Mattis, che era stato ministro di Trump fino agli ultimi mesi del 2018 ha dichiarato “Stiamo assistendo alle conseguenze di questo sforzo deliberato negli ultimi tre anni. Stiamo assistendo alle conseguenze di tre anni senza una leadership matura”  “Tutti noi sappiamo di essere migliori degli abusi di potere esecutivo che abbiamo visto in Lafayette Square. Dobbiamo respingere e condannare le persone che si fanno beffe della nostra Costituzione.” Il giorno dopo lo stesso quotidiano ha pubblicato una durissima lettera firmata da 89 ex segretari alla difesa e militari di altissimo grado con un attacco senza precedenti al Presidente. Vi riassumo le parti essenziali della lettera. Altri Presidenti nel passato hanno adoperato militari in servizio attivo in occasione di crisi nazionali. Essi però adoperarono i militari per proteggere i diritti degli americani, non per violarli. Tutti noi abbiamo giurato di difendere la Costituzione degli Stati Uniti, come ha fatto il Presidente. Siamo preoccupati di come il Presidente stia violando questo giuramento con la minaccia di ordinare a forze militari di violare i diritti dei loro compatrioti. E’ vero, “l’Insurrection Act”  conferisce al Presidente il potere legale di farlo, ma questo potere è stato utilizzato solo in casi estremi quando lo stato o i poteri locali erano stati sopraffatti ed incapaci di salvaguardare lo stato di diritto. Noi chiediamo al Presidente di porre immediatamente termine ai suoi piani di utilizzare militari in servizio attivo nelle città come agenti per imporre l’ordine pubblico, o per minacciare i diritti costituzionali degli Americani. Le forze militari sono sempre pronte alla difesa della nostra nazione. Esse però non devono essere mai utilizzate per violare i diritti che hanno giurato di proteggere.

Infine il segretario alla difesa Esper ed il Capo di Stato Maggiore Generale, Milley, che avevano partecipato alla “parata” dalla Casa Bianca alla chiesa, hanno dichiarato di non sapere dove il gruppo guidato da Trump sarebbe andato. Vero? Forse no. Ma comunque, anche se in ritardo, la dissociazione dei due personaggi più alti in grado della Difesa Americana è un fatto gravissimo. La semplice lettura di questi fatti ha portato qualcuno a pensare che siamo alle soglie di un colpo di stato del Presidente o contro di lui. Non credo assolutamente che sia così. Dopo la guerra civile del Nord contro il Sud, anche se le ragioni sono sostanzialmente le stesse la popolazione, le forze militari, il governo ed il Parlamento sono ben lontani dall’ipotizzare o dal permettere possibilità di questo genere, ma la situazione è per me gravissima, molto di più di quanto i nostri media ci mostrano.

 

Breve storia del razzismo in America

Non voglio scrivere qui un saggio sul problema del razzismo in America, anche perché non sarebbe giusto ignorare che lo stesso problema, anche se in maniera meno evidente esiste in molti Paesi del mondo. Di recente vi ho parlato della “Città sulla collina”, dei Padri Pellegrini e della spiegazione storica per cui gli Americani si ritengono di avere il mandato, quasi divino se non assolutamente divino, di portare e imporre nel mondo ciò che ritengono il bene e la giustizia, realizzati, anche se non compiutamente, nel loro Paese. Questa convinzione ha contribuito, nel bene e nel male, sia al sostanziale genocidio degli Indiani d’America, sia al grande sacrificio in termini di vite umane, sofferto durante la seconda guerra mondiale specialmente nel Pacifico.

Vorrei solo parlarvi del problema degli Afro-Americani in America. Si tratta infatti di un’epidemia da cui non sono mai guariti che si inabissa di tanto intanto per poi riemergere all’improvviso. Parto da una sentenza della Corte Suprema, il massimo organo giudiziario degli Stati Uniti, del 1856. Non mi dite che era un altro mondo, perché noi, nel bene e nel male ne siamo figli, e infatti ciò che accade oggi è diretta conseguenza di ciò che succedeva nel passato.

Allora, questa vertenza che andava avanti e indietro fra le corti dei  vari stati americani fu infine risolta dalla Corte Suprema. Più che il verdetto (richiesta respinta) a noi interessa capire la cultura che c’era dietro e di cui vi cito solo alcuni passaggi perché è ovviamente molto lunga.

“Il ricorrente era uno schiavo negro, legittima proprietà del convenuto…” “nel 1836, il ricorrente, con il consenso del convenuto che dichiarò di esserne il proprietario <sposò Harriet, schiava di un altro bianco>”

“Il punto è questo: Può un Nero, i cui antenati sono stati importati in questo Paese e venduti come schiavi, diventare un membro della comunità politica formata e posta in essere dalla Costituzione degli Stati Uniti, e di conseguenza avere titolo a tutti i diritti, i privilegi e le immunità garantite da essa ai cittadini? “

“Essi da oltre cento anni sono stati considerati come esseri di un ordine inferiore, e quindi non adatti ad associarsi alla razza bianca, sia nelle relazioni sociali che in quelle politiche, ed in quanto inferiori non hanno diritti che i bianchi devono rispettare; e che il nero può giustamente e legittimamente essere ridotto in schiavitù per il suo bene. Egli fu comprato e venduto, e trattato come una normale merce che si può scambiare ogni volta che se ne possa trarre un profitto. Questa opinione era definita ed universale all’interno della razza bianca. Essa era considerata un assioma sia da un punto di vista morale che politico, che nessuno metteva in dubbio, o sulla quale avrebbe iniziato una disputa.”

Una serie di legislazioni “mostrano che esiste una barriera perpetua e insuperabile fra la razza bianca e quella che essa ha ridotto in schiavitù… il matrimonio fra bianchi e neri o mulatti è stato considerato come innaturale e immorale, e punito come un crimine”

“Facciamo riferimento a questi fatti avvenuti in passato per dimostrare l’opinione prevalente circa la razza”

La Dichiarazione di Indipendenza sostiene “tutti gli uomini sono creati uguali; essi hanno ricevuto dal Creatore alcuni diritti inalienabili; fra essi la vita, la libertà, ed il perseguimento della felicità”

“Sembrerebbe che queste parole dovrebbero abbracciare l’intera famiglia umana… ma è chiaro che ai nostri fini gli schiavi di razza africana non sono inclusi e non fanno parte delle popolazione a cui questa dichiarazione si applica”

“Le persone che hanno scritto la nostra dichiarazione erano grandi uomini, colti, con grande senso dell’onore, ed incapaci di asserire principi inconsistenti con quelli nei quali agivano…. Ed essi sapevano che in nessuna parte del mondo civile si poteva pensare di includere la razza nera, che per un senso comune era esclusa dai governi civili e dalla famiglia delle nazioni e condannata alla schiavitù”

Chi fosse interessato ad approfondire la sentenza può fare riferimento a Dred Scott, Plaintiff in Error, v. John F. A. Dandford. Sipreme Court 60 U.S. 393. 19 How 393, oppure chiedermi una copia (ovviamente in inglese) della sentenza completa.

Pochi anni dopo ci fu la guerra di secessione e nel 1862 il Presidente Lincoln annunciò la liberazione di tutti gli schiavi degli Stati della Confederazione. Il proclama entrò in vigore il primo gennaio 1863.

Vi ho citato alcune frasi di questa lunga sentenza per darvi evidenza che essa rappresentava una cultura profondamente radicata all’interno degli Stati Uniti, al punto di dare un’interpretazione distorta e palesemente forzata della Costituzione stessa. Non era pensabile quindi che una legge, per di più imposta dal vincitore e che sostanzialmente modificava una cultura consolidata specialmente negli stati degli sconfitti avrebbe cambiato le cose. Penso però che Lincoln sperasse (e pagò con la vita) che nell’ambito di una generazione le cose si sarebbero aggiustate. Invece non fu così, ci vollero leggi su leggi, rivolte su rivolte, morti su morti per cercare di modificarle, ma ancora oggi poco è cambiato, almeno da un punto di vista pratico e culturale. Vi cito solo qualcuno degli avvenimenti successivi.

-          1863 L’esercito nordista arruola soldati afroamericani e li inquadra nelle United States Colored troops. Allo stesso tempo un’insurrezione civile contro la coscrizione sfocia in rivolta contro i neri e viene repressa nel sangue.

-          1865 Il XIII emendamento alla Costituzione abolisce la schiavitù

-          1865 Tutti gli stati del sud approvano leggi che limitano i diritti dei neri

-          1866 nasce il Ku Klux Klan, associazione paramilitare razzista formata prevalentemente da veterani della guerra di secessione. Questa organizzazione esiste ed è attiva ancora oggi

-          1868 Viene ratificato il XIV emendamento che introduce il giusto processo e la clausola di uguale protezione

-          1875 Viene approvata una legge federale  “Civil Rights Act”che garantisce a ciascuno, indipendentemente dal colore della pelle o dalla precedente condizione di schiavitù, il diritto al medesimo trattamento nei luoghi pubblici

-          1876 Una disputa per il libero passaggio su una strada diventa uno scontro razzista che si conclude con la morte di sette uomini

-          1879 Migliaia di afroamericani rifiutano di vivere negli stati segregazionisti del sud ed emigrano in Kansas

-          1883 la Corte Suprema dichiara incostituzionale il Civil Rights Act

-          1896 La Corte Suprema emana una sentenza che sancisce la legittimità della segregazione razziale, avvalorando la dottrina del “separate but equal”

-          In Texas scoppiano tensioni a sfondo razziale nei confronti di una guarnigione di soldati afroamericani, i cui componenti vengono accusati di un omicidio. Pur senza prove 167 soldati vengono accusati di omertà e congedati con disonore.

-          1914 Il Presidente Wilson, appena eletto, sancisce il ritorno della segregazione fisica sul lavoro dopo quasi 50 anni

-          1916 Inizia la grande migrazione che fino al 1970 porterà quasi sette milioni di afroamericani a emigrare dagli stati del sud

-          1917 Scoppia una rivolta a sfondo razzista con il pretesto di un incontro di alcuni afroamericani con delle donne bianche. Esse si concludono con la morte di 150 afroamericani.

-          1919 Diverse rivolte a sfondo razzista provocano fra 200 e 300 morti

-          1921 A Tulsa na rivolta razzista si trasforma in un massacro. Trump il 21 giugno ha fatto qui il primo comizio dopo la pandemia

-          Il racial Integrity Act in Virginia impone la registrazione di una descrizione razziale di ogni persona alla sua nascita e vieta I matrimoni misti tra bianchi e non bianchi. Rimarrà in vigore fino al 1967. Sono già passatin 60 anni, due generazioni dal proclama di Lincoln.

-          1925  35.000 affiliati al Ku Klux Klan fanno una manifestazione a Washington per dimostrare la  propria forza

-          1940 In applicazione del principio del giusto processo la Corte Suprema libera tre afroamericani che erano stati costretti a confessare un omicidio

-          1941 Il presidente Roosevelt emana un atto che proibisce la discriminazione razziale nell’industria militare. E’ la prima legge federale che promuove le pari opportunità lavorative degli afroamericani

-          1946 La Corte Suprema decide l’incostituzionalità della legge statale che prevede la separazione di bianchi e neri sugli autobus dedicati ai trasporti interstatali.

-          1948 Il viaggio della riconciliazione fu un tentativo di azione non violenta di un gruppo di otto neri e otto bianchi, diretto a contrastare la segregazione sugli autobus interstatali. Essa era stata dichiarata incostituzionale due anni prima ma rimasta inapplicata. I protagonisti furono arrestati per aver infranto le leggi statali sulla segregazione razziale. Erano passati oltre 80 anni dal proclama di Lincoln e gli Americani, finita la seconda guerra mondiale venivano acclamati come liberatori e portatori della democrazia in tutto il mondo. Le cose però a casa loro andavano in modo diverso

-          1948 Il presidente Truman emana un atto che decreta la fine della segregazione nelle forze armate.

-          1951 Harry ed Harriette Moore sono uccisi da una bomba di un gruppo del Ku klux Klan

-          1954 La Corte suprema dichiara incostituzionale la segregazione razziale nelle scuole pubbliche

-          1955 Il bambino americano Bobo Till (14 anni) viene brutalmente ucciso per essersi rivolto ad una donna bianca in modo giudicato irriguardoso.

-          1955 La Commissione Commercio Interstatale rinuncia alla dottrina dei “separati ma uguali” e afferma il bando della segregazione sugli autobus interstatali. Essa era stata dichiarata incostituzionale dalla Corte Suprema dieci anni prima

-          1955 Rosa Parks rifiuta di lasciare il proprio post a sedere a un bianco sull’autobus cittadino

-          1956 19 Senatori e 81 Deputati firmano un documento contro le politiche desegrazioniste nella scuola pubblica. Fra essi le intere delegazioni parlamentari di Alabama, Arkansas, Georgia, Louisiana, Mississipi, S. Carolina e Virginia.

-          1957 Il governatore dell’Arkansas mobilita la Guardia nazionale per impedire a 9 studenti afroamericani di accedere alla Central High school. Il Presidente Eisenhower la obbliga a scortare i nove ragazzi a scuola

-          1961 Il primo gruppo di attivisti contro la segregazione sugli autobus parte dalla capitale federale. Lungo il tragitto sono aggrediti violentemente e arrestati. E’ passato un secolo dal proclama di Lincoln

-          1961 su pressione del Presidente Kennedy vengono varate nuove regole per il trasporto pubblico. Su ogni autobus interstatale compare un avviso per cui nessun posto a sedere è riservato in base al colore della pelle, credo religioso o origine nazionale.  Ogni stato però al suo interno continua a legiferare liberamente

-          1963 Il nuovo governatore dell’Alabama George Wallace nel suo discorso di insediamento invoca “segregation now, segregation tomorrow, segregation forever”.

-          1963 Al termine della Marcia per lavoro e libertà a Washington Martin Luther King pronuncia il discorso I have a dream.

-          1963 15 giorni dopo il discorso di MLK il Ku Klux Klan fa esplodere una bomba in una chiesa di Birmingham durante la Messa. Muoiono quattro bambine.

-          1964 In Mississipi tre attivisti del movimento per i diritti civili degli afroamericani vengono uccisi

-          1964 Una legge federale proibisce la discriminazione in tutti i luoghi pubblici

-          1965 Una marcia di attivisti per i diritti civili viene bloccata dalle forze dell’ordine che attaccano i manifestanti provocando diversi feriti e un morto

-          1965 Sommossa a sfondo razziale a Los Angeles. Dura 6 giorni con un bilancio di 34 morti e 1032 feriti

-          1967 La Corte Suprema dichiara incostituzionale una legge della Virginia il “Racial Integrity Act” che pone restrizioni ai matrimoni misti

-          1967 La notizia di 4 Afroamericani uccisi provoca disordini a Newark (23 morti e 700 feriti) e a Detroit

-          1968 A Orangeburg la polizia apre il fuoco contro 200 manifestanti antisegregazionisti. 3 morti e 27 feriti per lo più colpiti alla schiena

-          1968. Assassinio di Martin Luther King

-          1968 Nuovo Civil Right act. Contro ogni discriminazione nella vendita e locazione di edifici

-          1978 La Corte Suprema bandisce il sistema delle quote razziali nell’ammissione ai college statunitensi

-          1991 Un videoamatore riprende il violento pestaggio subito da un tassista Afroamericano fermato per eccesso di velocità ad opera di 4 agenti della polizia di Los Angeles. Questo filmato genera proteste in tutto il mondo

-          1992 Scoppia di nuovo una rivolta a Los Angeles che dura sei giorni con saccheggi, omicidi a sfondo razziale, missioni punitive e atti vandalici

-          1998 In Texas tre uomini uccidono un Afroamericano legandolo al proprio pick up e trascinandolo per tre miglia

-          2009 Barak Obama eletto Presidente degli Stati Uniti

-          OGGI  Sembrava che il primo Presidente nero fosse un segnale di cambiamento, ma in realtà tutto è come prima

Vi ho riportato solo una parte di una lunghissima cronologia di eventi. E’ lunga ma credo che niente più di questa semplice lista possa dare un’idea di quanto il problema razziale attraversi tutta la storia degli Stati Uniti. Esso ha una sua continuità intrinseca che di tanto in tanto affiora in manifestazioni violente. Non si tratta di fatti sporadici ma della punta di un gigantesco iceberg da cui quel Paese non è si mai liberato fino ad ora.

Una buona notizia per noi Europei. Il Parlamento Europeo ha deciso di prendere posizione contro questa barbarie, indegna di un Paese democratico, che si sta diffondendo anche in Europa, ed ha approvato il 19 giugno scorso con 493 voti favorevoli, 104 contrari e 67 astenuti una mozione  che vi invito a leggere  https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-9-2020-0173_IT.pdf . Essa rappresenta un manifesto degli ideali Europei che deve essere di esempio a tutti i Paesi del Mondo. E’ una dimostrazione ulteriore che l’Europa, quando smette di focalizzarsi su piccolezze e torna ad essere se stessa, può degnamente proporsi al mondo come faro di civiltà e maestra di equilibrio. Spero che la stessa fermezza verrà dimostrata quando arriveranno le inevitabili ritorsioni americane. Purtroppo LA LEGA E FRATELLI D’ITALIA HANNO VOTATO CONTRO.

iL MONDO VISTO DALLA LUNA - 1

22 giugno 2020

I HAVE A DREAM

… Cento anni fa un grande americano, alla cui ombra ci leviamo oggi, firmò il Proclama sull’Emancipazione. Questo fondamentale decreto venne come un grande faro di speranza per milioni di schiavi negri che erano stati bruciati sul fuoco dell’avida ingiustizia. Venne come un’alba radiosa a porre termine alla lunga notte di cattività. Ma cento anni dopo il negro ancora non è libero; cento anni dopo, la vita del negro è ancora purtroppo paralizzata dai ceppi della segregazione e dalle catene della discriminazione…… cento anni dopo il negro langue ancora ai margini della società americana e si trova esiliato nella sua stessa terra……. Io ho un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione dove non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per ciò che la loro persona contiene. Io ho un sogno oggi.

Martin Luther King pronunciò questo discorso, considerato uno dei più belli dell’oratoria americana di tutti i tempi, il 28 agosto 1963  davanti al Lincoln Memorial di Washington, al termine di una imponente marcia di protesta per i diritti civili. Invito tutti voi a leggere il testo completo di cui vi invio il link.

https://www.dropbox.com/s/ynzhikzqez8s56h/Martin%20Luther%20King%20-%20I%20have%20a%20dream.pdf?dl=0

 Ci tengo a dire che il termine spregiativo “Negro” appare nel testo originale in inglese.

Il tre aprile 1968 MLK si recò a Memphis dove aveva già ricevuto parecchie minacce di morte e disse “Well, I don’t know what will happen now. We’ve got some difficult days ahead. But doesn’t matter with me now. Because I’ve been to the mountaintop. And I don’t mind. Like anybody. I would like to live a long life. Longevity has its place. But I’m not concerned about that now. I just want to do God’s will. And he’s allowed to me to go up to the mountain. And I’ve looked over. And I’ve seen the promised land. And so I’m happy, tonight. I am not worried about anything. I’m not fearing any man. My eyes have seen the glory of the coming of the Lord.

Riassumo <Non so cosa mi succederà ora, ma non mi importa. Mi piacerebbe avere una lunga vita, ma sia fatta la volontà di Dio. Egli mi ha consentito di arrivare in cima alla montagna ed ho guardato al di là, ed ho visto la terra promessa. Sono così felice stasera, e non ho paura di niente, di nessuno. I miei occhi hanno visto la gloria del Signore>

La mattina dopo, mentre era affacciato al balcone della sua camera d’albergo MLK fu assassinato con un solo colpo sparato da un fucile di precisione. 52 anni dopo, e dopo vari omicidi perpetrati su basi razziali  sembra che niente sia cambiato. L’America, e in particolare i Neri d’America, sono ben lontani dalla terra promessa. Tutti voi sapete cosa è successo: esiste una tragica e drammatica simmetria fra le manifestazioni in tutta l’America subito dopo l’assassinio di MLK e quelle che hanno fatto seguito all’omicidio di George Floyd. In entrambi i casi le proteste arrivarono a lambire la stessa Casa Bianca, considerata dal popolo come il sacro tempio della loro democrazia. Lo stesso giorno dell’assassinio di MLK, Robert Kennedy in un discorso improvvisato disse “In questa giornata difficile, in questo momento difficile per gli Stati Uniti è forse il caso di chiederci che tipo di nazione siamo, ed in che direzione vogliamo procedere. Per quelli di voi che sono neri … potreste ritrovarvi pieni di amarezza, di odio, di desiderio di vendetta. Potremmo andare in questa direzione come Paese …. Oppure possiamo fare uno sforzo, come ha fatto MLK, per capire e per comprendere e rimpiazzare questa violenza… con uno sforzo per capire, con compassione e amore….. vi posso solo dire che io stesso posso sentire nel mio cuore quel tipo di sentimenti: qualcuno nella mia famiglia è stato ucciso, e anche lui per mano di un bianco….. Il 6 giugno 1968, solo qualche mese dopo, anche Bob Kennedy moriva assassinato per le sue idee come era successo al fratello, il Presidente John Fitzgerald Kennedy.

Purtroppo oggi non abbiamo un Kennedy a riportare la pace in America, ma abbiamo il Presidente Donald Trump che è quanto di più divisivo si possa immaginare.

 

Questa nota si divide in due parti. La prima è una breve analisi della situazione di oggi, mentre la seconda esamina, anch’essa brevemente, la storia del razzismo in America. Quest’ultima richiederebbe un lungo saggio ma la mia nota può servire di stimolo per approfondire una contraddizione importantissima, e più diffusa di quanto si immagini, della civiltà occidentale.

 

Che cosa è successo e perché la rivolta non si placa

Come tutti voi sapete George Perry Floyd è morto il 25 maggio 2020 a Minneapolis, Minnesota. Chi era GPF? Originario di Houston, Texas, aveva dei precedenti penali per reati contro il patrimonio, ma era generalmente considerato un brav’uomo. Quella sera venne fermato dalla Polizia per aver cercato di pagare con 20 Dollari falsi. E’ quindi morto per 18 Euro (ammesso che lo abbia fatto di proposito)! Ma il punto non è questo. Se non ci fosse stato quel brevissimo filmato che ha fatto rapidamente il giro del mondo, la sua morte sarebbe stata una delle tante di un “Nero”, non semplicemente di un “uomo”. Invece tutti hanno visto quell’uomo steso a terra con un poliziotto che gli schiacciava il collo con il ginocchio mentre lo guardava con indifferenza e la mano in tasca. In pochi hanno sentito che la sua ultima parola è statan “mamma”: implorava la madre morta due anni prima. Ripeto, tutto ciò per 18 Euro! La prima autopsia dichiarò che era morto perché aveva contratto il Corona virus. Di nuovo tutto sarebbe finito se non ci fosse stata un’altra autopsia, sotto la pressione del mondo, che dichiarò il rapporto di causa-effetto fra la pressione del ginocchio sul collo e la sua morte. L’uccisore è stato arrestato in attesa del processo? Neanche per sogno; è libero di camminare perché è accusato di omicidio di secondo grado. Durante il suo funerale l’avvocato incaricato dalla famiglia disse “ George non è morto di corona virus, ma di una pandemia ben peggiore , il razzismo”. GPF si era mosso dal Texas in Minnesota, parte di una grande migrazione che nel ventesimo secolo ha visto sette milioni di Afro-Americani cercare di scappare dal razzismo diffuso prevalentemente nel sud degli USA in cerca di migliori condizioni di vita negli Stati del Nord. Non sapeva che in Minnesota i Neri hanno 13 volte maggiori probabilità di essere uccisi dalla polizia rispetto ai Bianchi. Tutti delinquenti? Guardiamo qualche altro dato. I neri rappresentano il 6.8% della popolazione dello stato ma rappresentano il 16% dei 25000 morti di corona virus, più del doppio dei bianchi. GPF aveva due figli, era uno dei 30 milioni di americani che avevano perso il lavoro in questa epidemia, ma secondo il proprietario del Conga latin Bistro era un “dipendente modello”. Al contrario, il poliziotto aveva collezionato negli anni numerose denunzie per uso eccessivo della forza ed era stato implicato in numerose sparatorie mortali ai danni di sospetti, che però non avevano mai portato a provvedimenti disciplinari nei suoi confronti. Di che vi stupite? Titola un articolo del Guardian “George Floyd happens every day”. E questa è purtroppo la verità.

Tutta l’America si è infiammata, manifestazioni hanno invaso le strade di tutte le città ed anche molti “Bianchi” si sono unite ad esse. I loro manifesti spiegavano che un Nero può oggi essere ucciso per i motivi più vari. Purtroppo, durante queste manifestazioni ci sono stati ulteriori esempi documentati da altri filmati. Ve ne cito uno solo, perché probabilmente avete assistito anche voi a questi orrori. Atlanta, Georgia, un’altra capitale storica del razzismo in America, sede dell’ultima battaglia del Nord contro il Sud, finita con l’incendio della città, che costituisce una delle scene più famose del film “Via col vento”. Qualcuno chiama la polizia indicando che c’è una macchina sospetta in sosta in maniera irregolare nel parcheggio di un ristorante. Un uomo, un afro-americano di 27 anni palesemente ubriaco stava dormendo nell’auto. Questa parte della scena non si vede nel filmato ma risulta dal verbale della polizia, secondo cui i due poliziotti chiedono all’uomo di sottoporsi alla prova del palloncino. L’uomo si rifiuta e i poliziotti lo tirano fuori dall’auto per ammanettarlo. A questo punto inizia il filmato e Giuseppe Sarcina sul Corriere ce ne da il resoconto. Si vedono tre uomini aggrovigliati a terra, Brooks tenta di strappare il taser ad uno degli agenti; sembra che ci riesca e scappa. I poliziotti lo inseguono. Non si riesce a vedere il seguito; secondo gli inquirenti Brooks minaccia con il taser uno degli agenti; si sentono diversi colpi di pistola; Brooks crolla a terra. Arriva l’ambulanza ma Brooks muore in ospedale. Si viene a sapere in seguito che era stato colpito da tre proiettili alla schiena di cui due mortali. Una  persona che non stava guidando in stato di ubriachezza creando quindi un pericolo per se e per gli altri, ma che dormiva nella sua macchina in un parcheggio!

Ci sono stati disordini, altri morti e tutto ciò non accenna a fermarsi. Ma cosa ha fatto Donald Trump, il Presidente di tutti gli Americani, bianchi, neri, latinos, ricchi e poveri, democratici e repubblicani? Ha cercato di invocare la pace? Niente di tutto ciò. Ha inalberato il vessillo di “law and order” di Nixoniana memoria, ha criticato i sindaci e i governatori “incapaci di imporre l’ordine” minacciandoli di pensarci lui.

Durante la grande e pacifica manifestazione a Washington, con una marea di persone di tutte le razze che circondava la Casa Bianca, protetta da grandi barriere, dalla polizia e dalle forze speciali che sono sempre a protezione del Presidente, cosa ha fatto Trump? Ha minacciato di utilizzare cani feroci e di chiamare l’esercito che aveva già fatto arrivare a Washington. Dopo di che, per dimostrare la sua forza e il suo disprezzo (non esiste altra spiegazione) è uscito dal Palazzo, circondato dalla polizia a cavallo e dai servizi di sicurezza che aprivano un varco fra la folla, e si è diretto fino a una chiesa episcopale poco distante. Arrivato lì, si è fermato, ha brandito una Bibbia (nota comica, era capovolta), l’ha mostrata alla folla ed è tornato indietro. Conoscevamo tutti l’imprevedibilità di Trump, ma mai fio a questo punto!

E’ forse stato, questo, il punto di svolta. Il Washington Post, nella sua edizione del quattro giugno riporta una dichiarazione del Segretario alla Difesa Mark T. Esper secondo cui l’uso di forze militari per sedare i disordini nel Paese non è assolutamente necessario. Lo stesso giorno infatti, come vi ho detto, il Pentagono aveva cominciato a dislocare forze militari a Washington (non dispiegate sul campo) secondo l’ordine di Trump che stava preparando la provocazione di cui vi ho appena parlato. Nelle stesse ore  Jimm Mattis, che era stato ministro di Trump fino agli ultimi mesi del 2018 ha dichiarato “Stiamo assistendo alle conseguenze di questo sforzo deliberato negli ultimi tre anni. Stiamo assistendo alle conseguenze di tre anni senza una leadership matura”  “Tutti noi sappiamo di essere migliori degli abusi di potere esecutivo che abbiamo visto in Lafayette Square. Dobbiamo respingere e condannare le persone che si fanno beffe della nostra Costituzione.” Il giorno dopo lo stesso quotidiano ha pubblicato una durissima lettera firmata da 89 ex segretari alla difesa e militari di altissimo grado con un attacco senza precedenti al Presidente. Vi riassumo le parti essenziali della lettera. Altri Presidenti nel passato hanno adoperato militari in servizio attivo in occasione di crisi nazionali. Essi però adoperarono i militari per proteggere i diritti degli americani, non per violarli. Tutti noi abbiamo giurato di difendere la Costituzione degli Stati Uniti, come ha fatto il Presidente. Siamo preoccupati di come il Presidente stia violando questo giuramento con la minaccia di ordinare a forze militari di violare i diritti dei loro compatrioti. E’ vero, “l’Insurrection Act”  conferisce al Presidente il potere legale di farlo, ma questo potere è stato utilizzato solo in casi estremi quando lo stato o i poteri locali erano stati sopraffatti ed incapaci di salvaguardare lo stato di diritto. Noi chiediamo al Presidente di porre immediatamente termine ai suoi piani di utilizzare militari in servizio attivo nelle città come agenti per imporre l’ordine pubblico, o per minacciare i diritti costituzionali degli Americani. Le forze militari sono sempre pronte alla difesa della nostra nazione. Esse però non devono essere mai utilizzate per violare i diritti che hanno giurato di proteggere.

Infine il segretario alla difesa Esper ed il Capo di Stato Maggiore Generale, Milley, che avevano partecipato alla “parata” dalla Casa Bianca alla chiesa, hanno dichiarato di non sapere dove il gruppo guidato da Trump sarebbe andato. Vero? Forse no. Ma comunque, anche se in ritardo, la dissociazione dei due personaggi più alti in grado della Difesa Americana è un fatto gravissimo. La semplice lettura di questi fatti ha portato qualcuno a pensare che siamo alle soglie di un colpo di stato del Presidente o contro di lui. Non credo assolutamente che sia così. Dopo la guerra civile del Nord contro il Sud, anche se le ragioni sono sostanzialmente le stesse la popolazione, le forze militari, il governo ed il Parlamento sono ben lontani dall’ipotizzare o dal permettere possibilità di questo genere, ma la situazione è per me gravissima, molto di più di quanto i nostri media ci mostrano.

 

Breve storia del razzismo in America

Non voglio scrivere qui un saggio sul problema del razzismo in America, anche perché non sarebbe giusto ignorare che lo stesso problema, anche se in maniera meno evidente esiste in molti Paesi del mondo. Di recente vi ho parlato della “Città sulla collina”, dei Padri Pellegrini e della spiegazione storica per cui gli Americani si ritengono di avere il mandato, quasi divino se non assolutamente divino, di portare e imporre nel mondo ciò che ritengono il bene e la giustizia, realizzati, anche se non compiutamente, nel loro Paese. Questa convinzione ha contribuito, nel bene e nel male, sia al sostanziale genocidio degli Indiani d’America, sia al grande sacrificio in termini di vite umane, sofferto durante la seconda guerra mondiale specialmente nel Pacifico.

Vorrei solo parlarvi del problema degli Afro-Americani in America. Si tratta infatti di un’epidemia da cui non sono mai guariti che si inabissa di tanto intanto per poi riemergere all’improvviso. Parto da una sentenza della Corte Suprema, il massimo organo giudiziario degli Stati Uniti, del 1856. Non mi dite che era un altro mondo, perché noi, nel bene e nel male ne siamo figli, e infatti ciò che accade oggi è diretta conseguenza di ciò che succedeva nel passato.

Allora, questa vertenza che andava avanti e indietro fra le corti dei  vari stati americani fu infine risolta dalla Corte Suprema. Più che il verdetto (richiesta respinta) a noi interessa capire la cultura che c’era dietro e di cui vi cito solo alcuni passaggi perché è ovviamente molto lunga.

“Il ricorrente era uno schiavo negro, legittima proprietà del convenuto…” “nel 1836, il ricorrente, con il consenso del convenuto che dichiarò di esserne il proprietario <sposò Harriet, schiava di un altro bianco>”

“Il punto è questo: Può un Nero, i cui antenati sono stati importati in questo Paese e venduti come schiavi, diventare un membro della comunità politica formata e posta in essere dalla Costituzione degli Stati Uniti, e di conseguenza avere titolo a tutti i diritti, i privilegi e le immunità garantite da essa ai cittadini? “

“Essi da oltre cento anni sono stati considerati come esseri di un ordine inferiore, e quindi non adatti ad associarsi alla razza bianca, sia nelle relazioni sociali che in quelle politiche, ed in quanto inferiori non hanno diritti che i bianchi devono rispettare; e che il nero può giustamente e legittimamente essere ridotto in schiavitù per il suo bene. Egli fu comprato e venduto, e trattato come una normale merce che si può scambiare ogni volta che se ne possa trarre un profitto. Questa opinione era definita ed universale all’interno della razza bianca. Essa era considerata un assioma sia da un punto di vista morale che politico, che nessuno metteva in dubbio, o sulla quale avrebbe iniziato una disputa.”

Una serie di legislazioni “mostrano che esiste una barriera perpetua e insuperabile fra la razza bianca e quella che essa ha ridotto in schiavitù… il matrimonio fra bianchi e neri o mulatti è stato considerato come innaturale e immorale, e punito come un crimine”

“Facciamo riferimento a questi fatti avvenuti in passato per dimostrare l’opinione prevalente circa la razza”

La Dichiarazione di Indipendenza sostiene “tutti gli uomini sono creati uguali; essi hanno ricevuto dal Creatore alcuni diritti inalienabili; fra essi la vita, la libertà, ed il perseguimento della felicità”

“Sembrerebbe che queste parole dovrebbero abbracciare l’intera famiglia umana… ma è chiaro che ai nostri fini gli schiavi di razza africana non sono inclusi e non fanno parte delle popolazione a cui questa dichiarazione si applica”

“Le persone che hanno scritto la nostra dichiarazione erano grandi uomini, colti, con grande senso dell’onore, ed incapaci di asserire principi inconsistenti con quelli nei quali agivano…. Ed essi sapevano che in nessuna parte del mondo civile si poteva pensare di includere la razza nera, che per un senso comune era esclusa dai governi civili e dalla famiglia delle nazioni e condannata alla schiavitù”

Chi fosse interessato ad approfondire la sentenza può fare riferimento a Dred Scott, Plaintiff in Error, v. John F. A. Dandford. Sipreme Court 60 U.S. 393. 19 How 393, oppure chiedermi una copia (ovviamente in inglese) della sentenza completa.

Pochi anni dopo ci fu la guerra di secessione e nel 1862 il Presidente Lincoln annunciò la liberazione di tutti gli schiavi degli Stati della Confederazione. Il proclama entrò in vigore il primo gennaio 1863.

Vi ho citato alcune frasi di questa lunga sentenza per darvi evidenza che essa rappresentava una cultura profondamente radicata all’interno degli Stati Uniti, al punto di dare un’interpretazione distorta e palesemente forzata della Costituzione stessa. Non era pensabile quindi che una legge, per di più imposta dal vincitore e che sostanzialmente modificava una cultura consolidata specialmente negli stati degli sconfitti avrebbe cambiato le cose. Penso però che Lincoln sperasse (e pagò con la vita) che nell’ambito di una generazione le cose si sarebbero aggiustate. Invece non fu così, ci vollero leggi su leggi, rivolte su rivolte, morti su morti per cercare di modificarle, ma ancora oggi poco è cambiato, almeno da un punto di vista pratico e culturale. Vi cito solo qualcuno degli avvenimenti successivi.

-          1863 L’esercito nordista arruola soldati afroamericani e li inquadra nelle United States Colored troops. Allo stesso tempo un’insurrezione civile contro la coscrizione sfocia in rivolta contro i neri e viene repressa nel sangue.

-          1865 Il XIII emendamento alla Costituzione abolisce la schiavitù

-          1865 Tutti gli stati del sud approvano leggi che limitano i diritti dei neri

-          1866 nasce il Ku Klux Klan, associazione paramilitare razzista formata prevalentemente da veterani della guerra di secessione. Questa organizzazione esiste ed è attiva ancora oggi

-          1868 Viene ratificato il XIV emendamento che introduce il giusto processo e la clausola di uguale protezione

-          1875 Viene approvata una legge federale  “Civil Rights Act”che garantisce a ciascuno, indipendentemente dal colore della pelle o dalla precedente condizione di schiavitù, il diritto al medesimo trattamento nei luoghi pubblici

-          1876 Una disputa per il libero passaggio su una strada diventa uno scontro razzista che si conclude con la morte di sette uomini

-          1879 Migliaia di afroamericani rifiutano di vivere negli stati segregazionisti del sud ed emigrano in Kansas

-          1883 la Corte Suprema dichiara incostituzionale il Civil Rights Act

-          1896 La Corte Suprema emana una sentenza che sancisce la legittimità della segregazione razziale, avvalorando la dottrina del “separate but equal”

-          In Texas scoppiano tensioni a sfondo razziale nei confronti di una guarnigione di soldati afroamericani, i cui componenti vengono accusati di un omicidio. Pur senza prove 167 soldati vengono accusati di omertà e congedati con disonore.

-          1914 Il Presidente Wilson, appena eletto, sancisce il ritorno della segregazione fisica sul lavoro dopo quasi 50 anni

-          1916 Inizia la grande migrazione che fino al 1970 porterà quasi sette milioni di afroamericani a emigrare dagli stati del sud

-          1917 Scoppia una rivolta a sfondo razzista con il pretesto di un incontro di alcuni afroamericani con delle donne bianche. Esse si concludono con la morte di 150 afroamericani.

-          1919 Diverse rivolte a sfondo razzista provocano fra 200 e 300 morti

-          1921 A Tulsa na rivolta razzista si trasforma in un massacro. Trump il 21 giugno ha fatto qui il primo comizio dopo la pandemia

-          Il racial Integrity Act in Virginia impone la registrazione di una descrizione razziale di ogni persona alla sua nascita e vieta I matrimoni misti tra bianchi e non bianchi. Rimarrà in vigore fino al 1967. Sono già passatin 60 anni, due generazioni dal proclama di Lincoln.

-          1925  35.000 affiliati al Ku Klux Klan fanno una manifestazione a Washington per dimostrare la  propria forza

-          1940 In applicazione del principio del giusto processo la Corte Suprema libera tre afroamericani che erano stati costretti a confessare un omicidio

-          1941 Il presidente Roosevelt emana un atto che proibisce la discriminazione razziale nell’industria militare. E’ la prima legge federale che promuove le pari opportunità lavorative degli afroamericani

-          1946 La Corte Suprema decide l’incostituzionalità della legge statale che prevede la separazione di bianchi e neri sugli autobus dedicati ai trasporti interstatali.

-          1948 Il viaggio della riconciliazione fu un tentativo di azione non violenta di un gruppo di otto neri e otto bianchi, diretto a contrastare la segregazione sugli autobus interstatali. Essa era stata dichiarata incostituzionale due anni prima ma rimasta inapplicata. I protagonisti furono arrestati per aver infranto le leggi statali sulla segregazione razziale. Erano passati oltre 80 anni dal proclama di Lincoln e gli Americani, finita la seconda guerra mondiale venivano acclamati come liberatori e portatori della democrazia in tutto il mondo. Le cose però a casa loro andavano in modo diverso

-          1948 Il presidente Truman emana un atto che decreta la fine della segregazione nelle forze armate.

-          1951 Harry ed Harriette Moore sono uccisi da una bomba di un gruppo del Ku klux Klan

-          1954 La Corte suprema dichiara incostituzionale la segregazione razziale nelle scuole pubbliche

-          1955 Il bambino americano Bobo Till (14 anni) viene brutalmente ucciso per essersi rivolto ad una donna bianca in modo giudicato irriguardoso.

-          1955 La Commissione Commercio Interstatale rinuncia alla dottrina dei “separati ma uguali” e afferma il bando della segregazione sugli autobus interstatali. Essa era stata dichiarata incostituzionale dalla Corte Suprema dieci anni prima

-          1955 Rosa Parks rifiuta di lasciare il proprio post a sedere a un bianco sull’autobus cittadino

-          1956 19 Senatori e 81 Deputati firmano un documento contro le politiche desegrazioniste nella scuola pubblica. Fra essi le intere delegazioni parlamentari di Alabama, Arkansas, Georgia, Louisiana, Mississipi, S. Carolina e Virginia.

-          1957 Il governatore dell’Arkansas mobilita la Guardia nazionale per impedire a 9 studenti afroamericani di accedere alla Central High school. Il Presidente Eisenhower la obbliga a scortare i nove ragazzi a scuola

-          1961 Il primo gruppo di attivisti contro la segregazione sugli autobus parte dalla capitale federale. Lungo il tragitto sono aggrediti violentemente e arrestati. E’ passato un secolo dal proclama di Lincoln

-          1961 su pressione del Presidente Kennedy vengono varate nuove regole per il trasporto pubblico. Su ogni autobus interstatale compare un avviso per cui nessun posto a sedere è riservato in base al colore della pelle, credo religioso o origine nazionale.  Ogni stato però al suo interno continua a legiferare liberamente

-          1963 Il nuovo governatore dell’Alabama George Wallace nel suo discorso di insediamento invoca “segregation now, segregation tomorrow, segregation forever”.

-          1963 Al termine della Marcia per lavoro e libertà a Washington Martin Luther King pronuncia il discorso I have a dream.

-          1963 15 giorni dopo il discorso di MLK il Ku Klux Klan fa esplodere una bomba in una chiesa di Birmingham durante la Messa. Muoiono quattro bambine.

-          1964 In Mississipi tre attivisti del movimento per i diritti civili degli afroamericani vengono uccisi

-          1964 Una legge federale proibisce la discriminazione in tutti i luoghi pubblici

-          1965 Una marcia di attivisti per i diritti civili viene bloccata dalle forze dell’ordine che attaccano i manifestanti provocando diversi feriti e un morto

-          1965 Sommossa a sfondo razziale a Los Angeles. Dura 6 giorni con un bilancio di 34 morti e 1032 feriti

-          1967 La Corte Suprema dichiara incostituzionale una legge della Virginia il “Racial Integrity Act” che pone restrizioni ai matrimoni misti

-          1967 La notizia di 4 Afroamericani uccisi provoca disordini a Newark (23 morti e 700 feriti) e a Detroit

-          1968 A Orangeburg la polizia apre il fuoco contro 200 manifestanti antisegregazionisti. 3 morti e 27 feriti per lo più colpiti alla schiena

-          1968. Assassinio di Martin Luther King

-          1968 Nuovo Civil Right act. Contro ogni discriminazione nella vendita e locazione di edifici

-          1978 La Corte Suprema bandisce il sistema delle quote razziali nell’ammissione ai college statunitensi

-          1991 Un videoamatore riprende il violento pestaggio subito da un tassista Afroamericano fermato per eccesso di velocità ad opera di 4 agenti della polizia di Los Angeles. Questo filmato genera proteste in tutto il mondo

-          1992 Scoppia di nuovo una rivolta a Los Angeles che dura sei giorni con saccheggi, omicidi a sfondo razziale, missioni punitive e atti vandalici

-          1998 In Texas tre uomini uccidono un Afroamericano legandolo al proprio pick up e trascinandolo per tre miglia

-          2009 Barak Obama eletto Presidente degli Stati Uniti

-          OGGI  Sembrava che il primo Presidente nero fosse un segnale di cambiamento, ma in realtà tutto è come prima

Vi ho riportato solo una parte di una lunghissima cronologia di eventi. E’ lunga ma credo che niente più di questa semplice lista possa dare un’idea di quanto il problema razziale attraversi tutta la storia degli Stati Uniti. Esso ha una sua continuità intrinseca che di tanto in tanto affiora in manifestazioni violente. Non si tratta di fatti sporadici ma della punta di un gigantesco iceberg da cui quel Paese non è si mai liberato fino ad ora.

Una buona notizia per noi Europei. Il Parlamento Europeo ha deciso di prendere posizione contro questa barbarie, indegna di un Paese democratico, che si sta diffondendo anche in Europa, ed ha approvato il 19 giugno scorso con 493 voti favorevoli, 104 contrari e 67 astenuti una mozione  che vi invito a leggere  https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-9-2020-0173_IT.pdf . Essa rappresenta un manifesto degli ideali Europei che deve essere di esempio a tutti i Paesi del Mondo. E’ una dimostrazione ulteriore che l’Europa, quando smette di focalizzarsi su piccolezze e torna ad essere se stessa, può degnamente proporsi al mondo come faro di civiltà e maestra di equilibrio. Spero che la stessa fermezza verrà dimostrata quando arriveranno le inevitabili ritorsioni americane. Purtroppo LA LEGA E FRATELLI D’ITALIA HANNO VOTATO CONTRO.

I HAVE A DREAM

22 giugno 2020

I HAVE A DREAM

… Cento anni fa un grande americano, alla cui ombra ci leviamo oggi, firmò il Proclama sull’Emancipazione. Questo fondamentale decreto venne come un grande faro di speranza per milioni di schiavi negri che erano stati bruciati sul fuoco dell’avida ingiustizia. Venne come un’alba radiosa a porre termine alla lunga notte di cattività. Ma cento anni dopo il negro ancora non è libero; cento anni dopo, la vita del negro è ancora purtroppo paralizzata dai ceppi della segregazione e dalle catene della discriminazione…… cento anni dopo il negro langue ancora ai margini della società americana e si trova esiliato nella sua stessa terra……. Io ho un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione dove non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per ciò che la loro persona contiene. Io ho un sogno oggi.

Martin Luther King pronunciò questo discorso, considerato uno dei più belli dell’oratoria americana di tutti i tempi, il 28 agosto 1963  davanti al Lincoln Memorial di Washington, al termine di una imponente marcia di protesta per i diritti civili. Invito tutti voi a leggere il testo completo di cui vi invio il link.

https://www.dropbox.com/s/ynzhikzqez8s56h/Martin%20Luther%20King%20-%20I%20have%20a%20dream.pdf?dl=0

 Ci tengo a dire che il termine spregiativo “Negro” appare nel testo originale in inglese.

Il tre aprile 1968 MLK si recò a Memphis dove aveva già ricevuto parecchie minacce di morte e disse “Well, I don’t know what will happen now. We’ve got some difficult days ahead. But doesn’t matter with me now. Because I’ve been to the mountaintop. And I don’t mind. Like anybody. I would like to live a long life. Longevity has its place. But I’m not concerned about that now. I just want to do God’s will. And he’s allowed to me to go up to the mountain. And I’ve looked over. And I’ve seen the promised land. And so I’m happy, tonight. I am not worried about anything. I’m not fearing any man. My eyes have seen the glory of the coming of the Lord.

Riassumo <Non so cosa mi succederà ora, ma non mi importa. Mi piacerebbe avere una lunga vita, ma sia fatta la volontà di Dio. Egli mi ha consentito di arrivare in cima alla montagna ed ho guardato al di là, ed ho visto la terra promessa. Sono così felice stasera, e non ho paura di niente, di nessuno. I miei occhi hanno visto la gloria del Signore>

La mattina dopo, mentre era affacciato al balcone della sua camera d’albergo MLK fu assassinato con un solo colpo sparato da un fucile di precisione. 52 anni dopo, e dopo vari omicidi perpetrati su basi razziali  sembra che niente sia cambiato. L’America, e in particolare i Neri d’America, sono ben lontani dalla terra promessa. Tutti voi sapete cosa è successo: esiste una tragica e drammatica simmetria fra le manifestazioni in tutta l’America subito dopo l’assassinio di MLK e quelle che hanno fatto seguito all’omicidio di George Floyd. In entrambi i casi le proteste arrivarono a lambire la stessa Casa Bianca, considerata dal popolo come il sacro tempio della loro democrazia. Lo stesso giorno dell’assassinio di MLK, Robert Kennedy in un discorso improvvisato disse “In questa giornata difficile, in questo momento difficile per gli Stati Uniti è forse il caso di chiederci che tipo di nazione siamo, ed in che direzione vogliamo procedere. Per quelli di voi che sono neri … potreste ritrovarvi pieni di amarezza, di odio, di desiderio di vendetta. Potremmo andare in questa direzione come Paese …. Oppure possiamo fare uno sforzo, come ha fatto MLK, per capire e per comprendere e rimpiazzare questa violenza… con uno sforzo per capire, con compassione e amore….. vi posso solo dire che io stesso posso sentire nel mio cuore quel tipo di sentimenti: qualcuno nella mia famiglia è stato ucciso, e anche lui per mano di un bianco….. Il 6 giugno 1968, solo qualche mese dopo, anche Bob Kennedy moriva assassinato per le sue idee come era successo al fratello, il Presidente John Fitzgerald Kennedy.

Purtroppo oggi non abbiamo un Kennedy a riportare la pace in America, ma abbiamo il Presidente Donald Trump che è quanto di più divisivo si possa immaginare.

 

Questa nota si divide in due parti. La prima è una breve analisi della situazione di oggi, mentre la seconda esamina, anch’essa brevemente, la storia del razzismo in America. Quest’ultima richiederebbe un lungo saggio ma la mia nota può servire di stimolo per approfondire una contraddizione importantissima, e più diffusa di quanto si immagini, della civiltà occidentale.

 

Che cosa è successo e perché la rivolta non si placa

Come tutti voi sapete George Perry Floyd è morto il 25 maggio 2020 a Minneapolis, Minnesota. Chi era GPF? Originario di Houston, Texas, aveva dei precedenti penali per reati contro il patrimonio, ma era generalmente considerato un brav’uomo. Quella sera venne fermato dalla Polizia per aver cercato di pagare con 20 Dollari falsi. E’ quindi morto per 18 Euro (ammesso che lo abbia fatto di proposito)! Ma il punto non è questo. Se non ci fosse stato quel brevissimo filmato che ha fatto rapidamente il giro del mondo, la sua morte sarebbe stata una delle tante di un “Nero”, non semplicemente di un “uomo”. Invece tutti hanno visto quell’uomo steso a terra con un poliziotto che gli schiacciava il collo con il ginocchio mentre lo guardava con indifferenza e la mano in tasca. In pochi hanno sentito che la sua ultima parola è statan “mamma”: implorava la madre morta due anni prima. Ripeto, tutto ciò per 18 Euro! La prima autopsia dichiarò che era morto perché aveva contratto il Corona virus. Di nuovo tutto sarebbe finito se non ci fosse stata un’altra autopsia, sotto la pressione del mondo, che dichiarò il rapporto di causa-effetto fra la pressione del ginocchio sul collo e la sua morte. L’uccisore è stato arrestato in attesa del processo? Neanche per sogno; è libero di camminare perché è accusato di omicidio di secondo grado. Durante il suo funerale l’avvocato incaricato dalla famiglia disse “ George non è morto di corona virus, ma di una pandemia ben peggiore , il razzismo”. GPF si era mosso dal Texas in Minnesota, parte di una grande migrazione che nel ventesimo secolo ha visto sette milioni di Afro-Americani cercare di scappare dal razzismo diffuso prevalentemente nel sud degli USA in cerca di migliori condizioni di vita negli Stati del Nord. Non sapeva che in Minnesota i Neri hanno 13 volte maggiori probabilità di essere uccisi dalla polizia rispetto ai Bianchi. Tutti delinquenti? Guardiamo qualche altro dato. I neri rappresentano il 6.8% della popolazione dello stato ma rappresentano il 16% dei 25000 morti di corona virus, più del doppio dei bianchi. GPF aveva due figli, era uno dei 30 milioni di americani che avevano perso il lavoro in questa epidemia, ma secondo il proprietario del Conga latin Bistro era un “dipendente modello”. Al contrario, il poliziotto aveva collezionato negli anni numerose denunzie per uso eccessivo della forza ed era stato implicato in numerose sparatorie mortali ai danni di sospetti, che però non avevano mai portato a provvedimenti disciplinari nei suoi confronti. Di che vi stupite? Titola un articolo del Guardian “George Floyd happens every day”. E questa è purtroppo la verità.

Tutta l’America si è infiammata, manifestazioni hanno invaso le strade di tutte le città ed anche molti “Bianchi” si sono unite ad esse. I loro manifesti spiegavano che un Nero può oggi essere ucciso per i motivi più vari. Purtroppo, durante queste manifestazioni ci sono stati ulteriori esempi documentati da altri filmati. Ve ne cito uno solo, perché probabilmente avete assistito anche voi a questi orrori. Atlanta, Georgia, un’altra capitale storica del razzismo in America, sede dell’ultima battaglia del Nord contro il Sud, finita con l’incendio della città, che costituisce una delle scene più famose del film “Via col vento”. Qualcuno chiama la polizia indicando che c’è una macchina sospetta in sosta in maniera irregolare nel parcheggio di un ristorante. Un uomo, un afro-americano di 27 anni palesemente ubriaco stava dormendo nell’auto. Questa parte della scena non si vede nel filmato ma risulta dal verbale della polizia, secondo cui i due poliziotti chiedono all’uomo di sottoporsi alla prova del palloncino. L’uomo si rifiuta e i poliziotti lo tirano fuori dall’auto per ammanettarlo. A questo punto inizia il filmato e Giuseppe Sarcina sul Corriere ce ne da il resoconto. Si vedono tre uomini aggrovigliati a terra, Brooks tenta di strappare il taser ad uno degli agenti; sembra che ci riesca e scappa. I poliziotti lo inseguono. Non si riesce a vedere il seguito; secondo gli inquirenti Brooks minaccia con il taser uno degli agenti; si sentono diversi colpi di pistola; Brooks crolla a terra. Arriva l’ambulanza ma Brooks muore in ospedale. Si viene a sapere in seguito che era stato colpito da tre proiettili alla schiena di cui due mortali. Una  persona che non stava guidando in stato di ubriachezza creando quindi un pericolo per se e per gli altri, ma che dormiva nella sua macchina in un parcheggio!

Ci sono stati disordini, altri morti e tutto ciò non accenna a fermarsi. Ma cosa ha fatto Donald Trump, il Presidente di tutti gli Americani, bianchi, neri, latinos, ricchi e poveri, democratici e repubblicani? Ha cercato di invocare la pace? Niente di tutto ciò. Ha inalberato il vessillo di “law and order” di Nixoniana memoria, ha criticato i sindaci e i governatori “incapaci di imporre l’ordine” minacciandoli di pensarci lui.

Durante la grande e pacifica manifestazione a Washington, con una marea di persone di tutte le razze che circondava la Casa Bianca, protetta da grandi barriere, dalla polizia e dalle forze speciali che sono sempre a protezione del Presidente, cosa ha fatto Trump? Ha minacciato di utilizzare cani feroci e di chiamare l’esercito che aveva già fatto arrivare a Washington. Dopo di che, per dimostrare la sua forza e il suo disprezzo (non esiste altra spiegazione) è uscito dal Palazzo, circondato dalla polizia a cavallo e dai servizi di sicurezza che aprivano un varco fra la folla, e si è diretto fino a una chiesa episcopale poco distante. Arrivato lì, si è fermato, ha brandito una Bibbia (nota comica, era capovolta), l’ha mostrata alla folla ed è tornato indietro. Conoscevamo tutti l’imprevedibilità di Trump, ma mai fio a questo punto!

E’ forse stato, questo, il punto di svolta. Il Washington Post, nella sua edizione del quattro giugno riporta una dichiarazione del Segretario alla Difesa Mark T. Esper secondo cui l’uso di forze militari per sedare i disordini nel Paese non è assolutamente necessario. Lo stesso giorno infatti, come vi ho detto, il Pentagono aveva cominciato a dislocare forze militari a Washington (non dispiegate sul campo) secondo l’ordine di Trump che stava preparando la provocazione di cui vi ho appena parlato. Nelle stesse ore  Jimm Mattis, che era stato ministro di Trump fino agli ultimi mesi del 2018 ha dichiarato “Stiamo assistendo alle conseguenze di questo sforzo deliberato negli ultimi tre anni. Stiamo assistendo alle conseguenze di tre anni senza una leadership matura”  “Tutti noi sappiamo di essere migliori degli abusi di potere esecutivo che abbiamo visto in Lafayette Square. Dobbiamo respingere e condannare le persone che si fanno beffe della nostra Costituzione.” Il giorno dopo lo stesso quotidiano ha pubblicato una durissima lettera firmata da 89 ex segretari alla difesa e militari di altissimo grado con un attacco senza precedenti al Presidente. Vi riassumo le parti essenziali della lettera. Altri Presidenti nel passato hanno adoperato militari in servizio attivo in occasione di crisi nazionali. Essi però adoperarono i militari per proteggere i diritti degli americani, non per violarli. Tutti noi abbiamo giurato di difendere la Costituzione degli Stati Uniti, come ha fatto il Presidente. Siamo preoccupati di come il Presidente stia violando questo giuramento con la minaccia di ordinare a forze militari di violare i diritti dei loro compatrioti. E’ vero, “l’Insurrection Act”  conferisce al Presidente il potere legale di farlo, ma questo potere è stato utilizzato solo in casi estremi quando lo stato o i poteri locali erano stati sopraffatti ed incapaci di salvaguardare lo stato di diritto. Noi chiediamo al Presidente di porre immediatamente termine ai suoi piani di utilizzare militari in servizio attivo nelle città come agenti per imporre l’ordine pubblico, o per minacciare i diritti costituzionali degli Americani. Le forze militari sono sempre pronte alla difesa della nostra nazione. Esse però non devono essere mai utilizzate per violare i diritti che hanno giurato di proteggere.

Infine il segretario alla difesa Esper ed il Capo di Stato Maggiore Generale, Milley, che avevano partecipato alla “parata” dalla Casa Bianca alla chiesa, hanno dichiarato di non sapere dove il gruppo guidato da Trump sarebbe andato. Vero? Forse no. Ma comunque, anche se in ritardo, la dissociazione dei due personaggi più alti in grado della Difesa Americana è un fatto gravissimo. La semplice lettura di questi fatti ha portato qualcuno a pensare che siamo alle soglie di un colpo di stato del Presidente o contro di lui. Non credo assolutamente che sia così. Dopo la guerra civile del Nord contro il Sud, anche se le ragioni sono sostanzialmente le stesse la popolazione, le forze militari, il governo ed il Parlamento sono ben lontani dall’ipotizzare o dal permettere possibilità di questo genere, ma la situazione è per me gravissima, molto di più di quanto i nostri media ci mostrano.

 

Breve storia del razzismo in America

Non voglio scrivere qui un saggio sul problema del razzismo in America, anche perché non sarebbe giusto ignorare che lo stesso problema, anche se in maniera meno evidente esiste in molti Paesi del mondo. Di recente vi ho parlato della “Città sulla collina”, dei Padri Pellegrini e della spiegazione storica per cui gli Americani si ritengono di avere il mandato, quasi divino se non assolutamente divino, di portare e imporre nel mondo ciò che ritengono il bene e la giustizia, realizzati, anche se non compiutamente, nel loro Paese. Questa convinzione ha contribuito, nel bene e nel male, sia al sostanziale genocidio degli Indiani d’America, sia al grande sacrificio in termini di vite umane, sofferto durante la seconda guerra mondiale specialmente nel Pacifico.

Vorrei solo parlarvi del problema degli Afro-Americani in America. Si tratta infatti di un’epidemia da cui non sono mai guariti che si inabissa di tanto intanto per poi riemergere all’improvviso. Parto da una sentenza della Corte Suprema, il massimo organo giudiziario degli Stati Uniti, del 1856. Non mi dite che era un altro mondo, perché noi, nel bene e nel male ne siamo figli, e infatti ciò che accade oggi è diretta conseguenza di ciò che succedeva nel passato.

Allora, questa vertenza che andava avanti e indietro fra le corti dei  vari stati americani fu infine risolta dalla Corte Suprema. Più che il verdetto (richiesta respinta) a noi interessa capire la cultura che c’era dietro e di cui vi cito solo alcuni passaggi perché è ovviamente molto lunga.

“Il ricorrente era uno schiavo negro, legittima proprietà del convenuto…” “nel 1836, il ricorrente, con il consenso del convenuto che dichiarò di esserne il proprietario <sposò Harriet, schiava di un altro bianco>”

“Il punto è questo: Può un Nero, i cui antenati sono stati importati in questo Paese e venduti come schiavi, diventare un membro della comunità politica formata e posta in essere dalla Costituzione degli Stati Uniti, e di conseguenza avere titolo a tutti i diritti, i privilegi e le immunità garantite da essa ai cittadini? “

“Essi da oltre cento anni sono stati considerati come esseri di un ordine inferiore, e quindi non adatti ad associarsi alla razza bianca, sia nelle relazioni sociali che in quelle politiche, ed in quanto inferiori non hanno diritti che i bianchi devono rispettare; e che il nero può giustamente e legittimamente essere ridotto in schiavitù per il suo bene. Egli fu comprato e venduto, e trattato come una normale merce che si può scambiare ogni volta che se ne possa trarre un profitto. Questa opinione era definita ed universale all’interno della razza bianca. Essa era considerata un assioma sia da un punto di vista morale che politico, che nessuno metteva in dubbio, o sulla quale avrebbe iniziato una disputa.”

Una serie di legislazioni “mostrano che esiste una barriera perpetua e insuperabile fra la razza bianca e quella che essa ha ridotto in schiavitù… il matrimonio fra bianchi e neri o mulatti è stato considerato come innaturale e immorale, e punito come un crimine”

“Facciamo riferimento a questi fatti avvenuti in passato per dimostrare l’opinione prevalente circa la razza”

La Dichiarazione di Indipendenza sostiene “tutti gli uomini sono creati uguali; essi hanno ricevuto dal Creatore alcuni diritti inalienabili; fra essi la vita, la libertà, ed il perseguimento della felicità”

“Sembrerebbe che queste parole dovrebbero abbracciare l’intera famiglia umana… ma è chiaro che ai nostri fini gli schiavi di razza africana non sono inclusi e non fanno parte delle popolazione a cui questa dichiarazione si applica”

“Le persone che hanno scritto la nostra dichiarazione erano grandi uomini, colti, con grande senso dell’onore, ed incapaci di asserire principi inconsistenti con quelli nei quali agivano…. Ed essi sapevano che in nessuna parte del mondo civile si poteva pensare di includere la razza nera, che per un senso comune era esclusa dai governi civili e dalla famiglia delle nazioni e condannata alla schiavitù”

Chi fosse interessato ad approfondire la sentenza può fare riferimento a Dred Scott, Plaintiff in Error, v. John F. A. Dandford. Sipreme Court 60 U.S. 393. 19 How 393, oppure chiedermi una copia (ovviamente in inglese) della sentenza completa.

Pochi anni dopo ci fu la guerra di secessione e nel 1862 il Presidente Lincoln annunciò la liberazione di tutti gli schiavi degli Stati della Confederazione. Il proclama entrò in vigore il primo gennaio 1863.

Vi ho citato alcune frasi di questa lunga sentenza per darvi evidenza che essa rappresentava una cultura profondamente radicata all’interno degli Stati Uniti, al punto di dare un’interpretazione distorta e palesemente forzata della Costituzione stessa. Non era pensabile quindi che una legge, per di più imposta dal vincitore e che sostanzialmente modificava una cultura consolidata specialmente negli stati degli sconfitti avrebbe cambiato le cose. Penso però che Lincoln sperasse (e pagò con la vita) che nell’ambito di una generazione le cose si sarebbero aggiustate. Invece non fu così, ci vollero leggi su leggi, rivolte su rivolte, morti su morti per cercare di modificarle, ma ancora oggi poco è cambiato, almeno da un punto di vista pratico e culturale. Vi cito solo qualcuno degli avvenimenti successivi.

-          1863 L’esercito nordista arruola soldati afroamericani e li inquadra nelle United States Colored troops. Allo stesso tempo un’insurrezione civile contro la coscrizione sfocia in rivolta contro i neri e viene repressa nel sangue.

-          1865 Il XIII emendamento alla Costituzione abolisce la schiavitù

-          1865 Tutti gli stati del sud approvano leggi che limitano i diritti dei neri

-          1866 nasce il Ku Klux Klan, associazione paramilitare razzista formata prevalentemente da veterani della guerra di secessione. Questa organizzazione esiste ed è attiva ancora oggi

-          1868 Viene ratificato il XIV emendamento che introduce il giusto processo e la clausola di uguale protezione

-          1875 Viene approvata una legge federale  “Civil Rights Act”che garantisce a ciascuno, indipendentemente dal colore della pelle o dalla precedente condizione di schiavitù, il diritto al medesimo trattamento nei luoghi pubblici

-          1876 Una disputa per il libero passaggio su una strada diventa uno scontro razzista che si conclude con la morte di sette uomini

-          1879 Migliaia di afroamericani rifiutano di vivere negli stati segregazionisti del sud ed emigrano in Kansas

-          1883 la Corte Suprema dichiara incostituzionale il Civil Rights Act

-          1896 La Corte Suprema emana una sentenza che sancisce la legittimità della segregazione razziale, avvalorando la dottrina del “separate but equal”

-          In Texas scoppiano tensioni a sfondo razziale nei confronti di una guarnigione di soldati afroamericani, i cui componenti vengono accusati di un omicidio. Pur senza prove 167 soldati vengono accusati di omertà e congedati con disonore.

-          1914 Il Presidente Wilson, appena eletto, sancisce il ritorno della segregazione fisica sul lavoro dopo quasi 50 anni

-          1916 Inizia la grande migrazione che fino al 1970 porterà quasi sette milioni di afroamericani a emigrare dagli stati del sud

-          1917 Scoppia una rivolta a sfondo razzista con il pretesto di un incontro di alcuni afroamericani con delle donne bianche. Esse si concludono con la morte di 150 afroamericani.

-          1919 Diverse rivolte a sfondo razzista provocano fra 200 e 300 morti

-          1921 A Tulsa na rivolta razzista si trasforma in un massacro. Trump il 21 giugno ha fatto qui il primo comizio dopo la pandemia

-          Il racial Integrity Act in Virginia impone la registrazione di una descrizione razziale di ogni persona alla sua nascita e vieta I matrimoni misti tra bianchi e non bianchi. Rimarrà in vigore fino al 1967. Sono già passatin 60 anni, due generazioni dal proclama di Lincoln.

-          1925  35.000 affiliati al Ku Klux Klan fanno una manifestazione a Washington per dimostrare la  propria forza

-          1940 In applicazione del principio del giusto processo la Corte Suprema libera tre afroamericani che erano stati costretti a confessare un omicidio

-          1941 Il presidente Roosevelt emana un atto che proibisce la discriminazione razziale nell’industria militare. E’ la prima legge federale che promuove le pari opportunità lavorative degli afroamericani

-          1946 La Corte Suprema decide l’incostituzionalità della legge statale che prevede la separazione di bianchi e neri sugli autobus dedicati ai trasporti interstatali.

-          1948 Il viaggio della riconciliazione fu un tentativo di azione non violenta di un gruppo di otto neri e otto bianchi, diretto a contrastare la segregazione sugli autobus interstatali. Essa era stata dichiarata incostituzionale due anni prima ma rimasta inapplicata. I protagonisti furono arrestati per aver infranto le leggi statali sulla segregazione razziale. Erano passati oltre 80 anni dal proclama di Lincoln e gli Americani, finita la seconda guerra mondiale venivano acclamati come liberatori e portatori della democrazia in tutto il mondo. Le cose però a casa loro andavano in modo diverso

-          1948 Il presidente Truman emana un atto che decreta la fine della segregazione nelle forze armate.

-          1951 Harry ed Harriette Moore sono uccisi da una bomba di un gruppo del Ku klux Klan

-          1954 La Corte suprema dichiara incostituzionale la segregazione razziale nelle scuole pubbliche

-          1955 Il bambino americano Bobo Till (14 anni) viene brutalmente ucciso per essersi rivolto ad una donna bianca in modo giudicato irriguardoso.

-          1955 La Commissione Commercio Interstatale rinuncia alla dottrina dei “separati ma uguali” e afferma il bando della segregazione sugli autobus interstatali. Essa era stata dichiarata incostituzionale dalla Corte Suprema dieci anni prima

-          1955 Rosa Parks rifiuta di lasciare il proprio post a sedere a un bianco sull’autobus cittadino

-          1956 19 Senatori e 81 Deputati firmano un documento contro le politiche desegrazioniste nella scuola pubblica. Fra essi le intere delegazioni parlamentari di Alabama, Arkansas, Georgia, Louisiana, Mississipi, S. Carolina e Virginia.

-          1957 Il governatore dell’Arkansas mobilita la Guardia nazionale per impedire a 9 studenti afroamericani di accedere alla Central High school. Il Presidente Eisenhower la obbliga a scortare i nove ragazzi a scuola

-          1961 Il primo gruppo di attivisti contro la segregazione sugli autobus parte dalla capitale federale. Lungo il tragitto sono aggrediti violentemente e arrestati. E’ passato un secolo dal proclama di Lincoln

-          1961 su pressione del Presidente Kennedy vengono varate nuove regole per il trasporto pubblico. Su ogni autobus interstatale compare un avviso per cui nessun posto a sedere è riservato in base al colore della pelle, credo religioso o origine nazionale.  Ogni stato però al suo interno continua a legiferare liberamente

-          1963 Il nuovo governatore dell’Alabama George Wallace nel suo discorso di insediamento invoca “segregation now, segregation tomorrow, segregation forever”.

-          1963 Al termine della Marcia per lavoro e libertà a Washington Martin Luther King pronuncia il discorso I have a dream.

-          1963 15 giorni dopo il discorso di MLK il Ku Klux Klan fa esplodere una bomba in una chiesa di Birmingham durante la Messa. Muoiono quattro bambine.

-          1964 In Mississipi tre attivisti del movimento per i diritti civili degli afroamericani vengono uccisi

-          1964 Una legge federale proibisce la discriminazione in tutti i luoghi pubblici

-          1965 Una marcia di attivisti per i diritti civili viene bloccata dalle forze dell’ordine che attaccano i manifestanti provocando diversi feriti e un morto

-          1965 Sommossa a sfondo razziale a Los Angeles. Dura 6 giorni con un bilancio di 34 morti e 1032 feriti

-          1967 La Corte Suprema dichiara incostituzionale una legge della Virginia il “Racial Integrity Act” che pone restrizioni ai matrimoni misti

-          1967 La notizia di 4 Afroamericani uccisi provoca disordini a Newark (23 morti e 700 feriti) e a Detroit

-          1968 A Orangeburg la polizia apre il fuoco contro 200 manifestanti antisegregazionisti. 3 morti e 27 feriti per lo più colpiti alla schiena

-          1968. Assassinio di Martin Luther King

-          1968 Nuovo Civil Right act. Contro ogni discriminazione nella vendita e locazione di edifici

-          1978 La Corte Suprema bandisce il sistema delle quote razziali nell’ammissione ai college statunitensi

-          1991 Un videoamatore riprende il violento pestaggio subito da un tassista Afroamericano fermato per eccesso di velocità ad opera di 4 agenti della polizia di Los Angeles. Questo filmato genera proteste in tutto il mondo

-          1992 Scoppia di nuovo una rivolta a Los Angeles che dura sei giorni con saccheggi, omicidi a sfondo razziale, missioni punitive e atti vandalici

-          1998 In Texas tre uomini uccidono un Afroamericano legandolo al proprio pick up e trascinandolo per tre miglia

-          2009 Barak Obama eletto Presidente degli Stati Uniti

-          OGGI  Sembrava che il primo Presidente nero fosse un segnale di cambiamento, ma in realtà tutto è come prima

Vi ho riportato solo una parte di una lunghissima cronologia di eventi. E’ lunga ma credo che niente più di questa semplice lista possa dare un’idea di quanto il problema razziale attraversi tutta la storia degli Stati Uniti. Esso ha una sua continuità intrinseca che di tanto in tanto affiora in manifestazioni violente. Non si tratta di fatti sporadici ma della punta di un gigantesco iceberg da cui quel Paese non è si mai liberato fino ad ora.

Una buona notizia per noi Europei. Il Parlamento Europeo ha deciso di prendere posizione contro questa barbarie, indegna di un Paese democratico, che si sta diffondendo anche in Europa, ed ha approvato il 19 giugno scorso con 493 voti favorevoli, 104 contrari e 67 astenuti una mozione  che vi invito a leggere  https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-9-2020-0173_IT.pdf . Essa rappresenta un manifesto degli ideali Europei che deve essere di esempio a tutti i Paesi del Mondo. E’ una dimostrazione ulteriore che l’Europa, quando smette di focalizzarsi su piccolezze e torna ad essere se stessa, può degnamente proporsi al mondo come faro di civiltà e maestra di equilibrio. Spero che la stessa fermezza verrà dimostrata quando arriveranno le inevitabili ritorsioni americane. Purtroppo LA LEGA E FRATELLI D’ITALIA HANNO VOTATO CONTRO.

LA GRANDE EPIDEMIA ULTIMA PARTE

 

20 aprile 2020

Le prime reazioni dell’Europa

Un prologo è necessario. Vi ho parlato più volte dello “spirito di Ventotene” e del suo ideale “Mai più guerre in Europa”. Questo spirito oggi si è tradotto in ben poca cosa, ma soprattutto in una struttura intrinsecamente instabile e pronta a franare al sopravvenire di una grande crisi. Ma come mai tutto questo, come mai statisti “veri” con ideali di lungo termine hanno realizzato “questa” Europa? Sull’argomento si sono scritti decine di libri, sono stati fatti decine o centinaia di convegni ed il solo elencare l’andamento oscillante delle istituzioni europee e delle proposte impantanatesi in mezzo al guado richiederebbe un lungo saggio. Mi limiterò a qualche nota, inevitabilmente lacunosa, ma spero utile a dare un’idea. Di ideale europeo, sotto varie forme, ne parla Dante nel “De monarchia”, Erasmo da Rotterdam, poi l’olandese Ugo Grozio, l’Inglese William Penn, ma fu l’Illuminismo a porre le basi di un Europeismo veramente laico. Solo dopo la rivoluzione francese si cominciò a concepire un disegno di unificazione europea inscindibile dal problema della partecipazione dei popoli e di conseguenza dall’affermarsi di regimi anti-assolutistici e almeno tendenzialmente democratici. Nello stesso tempo però si affermava il valore della difesa della Patria minacciata che trionfò nel XIX secolo.  Kant, sempre lui, nel 1795 nel saggio “Per la pace perpetua” ipotizzò un’unione federativa di liberi stati non soggetta all’egemonia di una nazione sulle altre, come unico strumento capace di ottenere finalmente una pace stabile. Si andò quindi affermando un’idea federale, sul tipo di ciò che stava avvenendo negli Stati Uniti allora nascenti. Saltando a piè pari le idee di Saint-Simon, Mazzini, Cattaneo etc. arriviamo al secondo dopoguerra. Esistevano tre spinte fondamentali: la punizione definitiva della Germania, tale da non metterla più in posizione di rialzarsi (che si era dimostrata inutile nel 1919, anzi fu una delle cause della seconda guerra mondiale), la paura di un’imminente invasione delle truppe sovietiche che non avevano deposto le armi, e l’esigenza propugnata dagli “idealisti” di realizzare una federazione egualitaria, senza predomini di una nazione sull’altra come unica soluzione per la pace. Un problema comune a tutti gli Stati nazionali era che le loro posizioni cambiavano continuamente al cambiare dei vari governi e quindi delle considerazioni di ciascuno di essi. Esisteva una consistente differenza fra le aspirazioni dei popoli ad una pace finalmente stabile, rispetto ai governi, ancora impegnati a stabilire chi dovesse essere il vero leader.

Nel 1943 Jean Monnet aveva dichiarato “Non ci sarà pace in Europa se gli Stati verranno ricostituiti sulla base della sovranità nazionale…. Gli Stati europei sono troppo piccoli per garantire ai loro popoli la necessaria prosperità e lo sviluppo sociale. Le nazioni europee dovranno riunirsi in una federazione”. Queste parole, assolutamente profetiche, a mio parere potrebbero essere sottoscritte ancora oggi.

La Francia però, come ho accennato prima, aveva idee diverse e nel 1947 essa separò dalla Germania la regione della Saar, ricca di carbone, e creò il Protettorato della Saar, sotto il controllo economico francese. Considerando che la Lorena con le sue miniere di ferro era ritornata alla Francia, quest’ultima avrebbe aumentato enormemente la sua produzione di acciaio a scapito della Germania. Adenauer protestò veementemente “Il nome protettorato potrebbe non esser quello più adatto. Piuttosto sarebbe meglio parlare di colonia…”. La Francia avrebbe voluto impossessarsi anche della Ruhr, ma fu bloccata dagli Stati Uniti, preoccupatissimi che la Germania cadesse definitivamente nell’orbita sovietica. Alla Germania fu imposta però la creazione di “un’autorità internazionale per la Ruhr” che ne controllava la produzione e la distribuzione di carbone e acciaio. Ludwig Erhard ebbe a dire “La vita sociale, il tenore di vita del popolo tedesco non dipende più dalle aspirazioni dei tedeschi, dall’operosa politica tedesca e dalla politica sociale tedesca, ma dal voto degli interessati e dei concorrenti dell’economia tedesca”. Quando il Parlamento tedesco dovette discutere l’accordo per lo smantellamento parziale delle industrie tedesche, Adenauer lo difese dicendo che, in caso contrario, entro otto settimane lo smantellamento industriale in corso avrebbe raggiunto un livello inaccettabile. A questo punto il capo dell’opposizione rispose chiamando Adenauer “il Cancelliere degli Alleati”. Questo era il clima, che si placò nel 1952 con la creazione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA). Quando oggi alcuni giornali ed alcuni uomini politici italiani ricordano alla Germania che le furono parzialmente abbuonati una parte dei danni di guerra, dovrebbero anche ricordarsi che se non fosse stato per la paura degli USA che essa finisse tutta fra braccia dell’URSS, la parte occidentale avrebbe avuto una sorte simile a quella che ebbe la parte rimasta sotto il dominio sovietico.

Il successo determinato dalla costituzione della CECA ebbe un peso determinante per l’abbandono dell’idea di “Europa dei popoli” che proponeva l’istituzione di una costituente europea eletta direttamente dai cittadini. Prevalse infatti una logica “funzionalista”, vale a dire la creazione di trattati su singoli aspetti della cooperazione europea che, si riteneva, avrebbero portato fatalmente ad una federazione.

Il resto è storia di oggi, a partire dal fallimento dell’idea di un vero esercito europeo determinato da interessi diversi e mutevoli nel tempo di Francia, UK e USA, ed al successo invece di un’unione progressiva su temi agricoli, industriali, commerciali, giuridici, ed infine monetari a partire dai Trattati di Roma, successivamente ampliati (cito Maastricht e Lisbona) fino all’unione monetaria e all’EURO. Per quanto riguarda quest’ultimo, ricordo che l’Italia era abbastanza restia ad entrare nel primo gruppo dei Paesi aderenti vista la situazione disastrata della sua economia con un’inflazione ed un disavanzo sempre crescenti, e tentò di tirare dalla sua parte anche la Spagna. Solo dopo un incontro fra i due governi e di fronte alla decisione della Spagna di far parte del primo gruppo, anche il nostro Paese preferì evitare di restare isolato in preda alla speculazione internazionale che ci aveva colpito pesantemente qualche anno prima.

Non esiste alcuna traccia per pensare che ci sia mai stato alcun complotto contro di noi, anzi l’Italia, essendo un Paese “di frontiera” come la Germania rispetto al blocco sovietico avrebbe potuto ricavarne dei vantaggi. Perché non è successo? Perché ci siamo trovati ad essere un Paese perennemente sull’orlo della crisi? Saranno gli storici del prossimo secolo a spiegarlo.

Torniamo ad oggi. E’ indiscutibile che la crisi dell’Euro porterebbe alla crisi di tutta la struttura europea ed al collasso di tutti i Paesi. E allora perché è così difficile trovare una soluzione? Un motivo è certamente dovuto alla debolezza di tutti i maggiori governi. La Merkel è alla fine del suo ciclo, stanca ed indebolita; in Francia Macron su cui tanti appuntavano la loro attenzione si è rivelato debole all’interno ed anche nei rapporti internazionali; l’Italia non ha credibilità, con un’opposizione che mira essenzialmente a tirarla fuori dall’Euro. Gli Stati Uniti infine mirano solo a distruggere quanto è già stato costruito. Inoltre tutti i Paesi hanno problemi immensi. Da noi, al di là delle tattiche parlamentari, resta il fatto che i Partiti “populisti” sono intimamente contrari alla permanenza dell’Italia nell’Euro. La loro visione dell’Europa è quella di una più o meno forte abolizione dei dazi doganali e di una certa libertà di movimento. Quest’ultima si è fortemente incrinata quando si è posto il problema dei “migranti” che aveva già di fatto chiuso le frontiere prima che il Covid completasse l’opera. Più serio e più profondo è il problema della permanenza nell’Euro. Molti Italiani vedono infatti nell’Euro la fonte di tutti i nostri problemi. La valuta comune è vista come una trappola ordita da Francia e Germania, oppure dai “poteri forti”, dal “Builderberg”, o dalla “Trilateral” etc. per distruggere il nostro Paese ed impedirgli di affermarsi. Esponenti o simpatizzanti di questi partiti citano articoli dei grandi giornali che nel 1996 esaltavano l’Italia come quarta economia nel mondo e sostenevano che Francia e Germania erano terrorizzate dalle nostre esportazioni. Non ricordano invece la famosa notte di qualche anno prima in cui fu drammaticamente svalutata la lira, fu fatto un prelievo forzoso dai conti correnti di tutti noi e fu dato in pegno una parte dell’oro contenuto dei forzieri della Banca d’Italia. Tutto ciò per evitare un imminente default che ci avrebbe ridotto alla fame. Purtroppo la nostra memoria è selettiva ed è quasi impossibile spiegare che nessuno dei Paesi europei, da solo, può affrontare la competizione con i Paesi-Continenti con cui dovremmo confrontarci. Problemi piò o meno analoghi esistono negli altri Paesi. In Olanda, ove già per mentalità estendono il concetto storico e deteriore di “terroni” a tutti i Paesi mediterranei, si aggiunge il fatto che il governo si regge su un’alleanza di due partiti in conflitto sostanziale fra di loro. Il ministro delle finanze “fa il duro” per costringere il Primo Ministro, nelle successive riunioni al vertice, di trovare un compromesso e così perdere consensi in Patria. In Germania la Presidente Merkel non può mostrarsi accomodante perché cederebbe consensi ai due partiti di estrema destra. In Italia, Spagna, Portogallo ed altri Paesi vi è concordia circa la necessità di un intervento forte della UE che agisca in maniera equilibrata, bloccando il rischio di esporre i più deboli ad una gigantesca crisi per l’aumento immediato dei tassi di interesse a cui dovrebbero indebitarsi. Purtroppo la storia della Grecia, con la tirannia della “Troika” non può esser dimenticata. La Francia all’inizio si è allineata con le posizioni mediterranee, creando così un blocco forte e capace di condizionare il blocco del Nord. Arrivati al dunque però Macron, anche lui alla prese con problemi interni, ha preferito condividere con Angela Merkel il ruolo di mediatore. E’ oggi difficile capire se questo è un sistema che permetta alla Merkel di “scaricare” l’Olanda, o che permetta a Macron di “scaricare” l’Italia.

Staremo a vedere. Come in tutti i grandi negoziati è una partita difficile in cui questa volta tutti i giocatori in un modo o nell’altro conoscono le carte degli altri; tranne una, sconosciuta, il collasso di tutta l’Unione europea. Qualcuno vorrà giocarla? Questa è una situazione molto diversa dalla rissa per il problema dei “barconi”. All’epoca nessun uomo politico italiano di primo piano si sedette al tavolo ed invece si preferì fare grandi minacce, impossibili da mettere in pratica, con grandi proclami ma stando ben lontani dai luoghi dove si doveva raggiungere un accordo. Oggi no, oggi è diverso, i rappresentanti dei vari stati sono presenti al massimo livello e ciascuno sarà costretto a prendersi le proprie responsabilità, sapendo di non avere un grande supporto né dal proprio Parlamento e neppure dell’opinione pubblica. Forse è proprio per questo che i rappresentanti di Francia, Spagna, Italia e Germania hanno scritto qualche giorno fa una lettera alla Commissione Europea per chiedere di rendere vincolante un accordo per l’accoglimento e la ridistribuzione dei migranti in tutti i Paesi della UE. Ci si rende finalmente conto che la casa comune è per la prima volta in serio pericolo

Ho preferito raccontarvi la parte finale di questa vicenda nel momento in cui essa si svolge invece di aspettare la fine dove sono convinto che tutti diranno in qualche modo di essere stati vincitori, ma certamente non sarà così e la verità ultima si capirà l’inverno prossimo.

Martedì 7 aprile c’è, in videoconferenza, la riunione dei ministri delle finanze che deve formulare una bozza di decisione per l’approvazione dei capi di stato/di governo dopo il fallimento del Primo round.

La riunione parte male perché solo lunedì sera il governo italiano viene a sapere che la Commissione Europea si prepara ad una decisione che coinvolge l’Italia: l’approvazione delle linee guida per l’uscita dal lock-down dei vari Paesi. Nessuno ci aveva avvertito né consultato. All’ultimo momento Conte, supportato da Francia e Spagna riesce a far rinviare questa decisione ma ciò non contribuisce ad un’atmosfera positiva. La riunione subisce varie interruzioni, dura tutta la notte e, come molti si aspettavano, si conclude con un nulla di fatto. Italia e Olanda, i leader delle due “fazioni” hanno posizioni decisamente divaricate ed inconciliabili. Entrambi concordano che siano già stati fatti dei passi avanti fra cui la sospensione del “patto di stabilità” che impone una serie di vincoli di bilancio, la disponibilità della Banca Europea ad aumentare l’acquisto di obbligazioni sul mercato secondario ed il nuovo piano “SURE”. Sono tutti d’accordo però che questo non basta per affrontare la maggiore crisi economica del dopoguerra. I fondi e le operazioni messe a disposizioni sono troppo poche e l’abolizione dei vincoli di bilancio in un certo senso addirittura aumenterebbe il rischio di un’impennata del tasso di interesse a cui un Paese debole, come l’Italia o la Spagna, dovrebbe indebitarsi ponendolo al rischio di un “avvitamento” ed un default che farebbe franare tutto il sistema dell’Euro.

Il confronto si polarizza su due diverse opzioni. Il “Corona bond” da una parte ed il “MES” dall’altra. La Francia propone in realtà una versione ammorbidita dei corona bond che aprirebbe la strada ad un’istituzionalizzazione futura della messa a comune europea di una parte dei debiti nazionali. Essa propone un “un Fondo europeo di investimenti per la ripresa”, finanziato da debito comune con l’emissione di Recovery Bond a 15/20 anni (l’Italia proponeva 30 anni). Questa proposta è appoggiata da Italia, Spagna, Portogallo ed altri Paesi e permetterebbe, a chi ne avesse bisogno, di approvvigionarsi del necessario ad un tasso molto conveniente perché legato alla solidità e credibilità dell’Europa il cui rischio sarebbe molto basso.

A questa idea si oppongono categoricamente Olandesi, Tedeschi, Austriaci e Finlandesi che, non disponibili ad assumersi rischi derivanti dall’indebitamento dei Paesi “spreconi”, vedono nel MES l’unico strumento accettabile per supportare un Paese indebitato che chiedesse un supporto. Altrimenti, secondo loro, si aprirebbe una diga che determinerebbe “sussidi” inarrestabili. L’unica possibilità di aiuto a chi, indebitato tanto da non riuscire ad avere crediti sul mercato, resta il MES. Il massimo della disponibilità sarebbe, e non da parte di tutti, l’ammorbidimento delle condizioni imposte al Paese richiedente, molto lontane comunque da quanto richiederebbe il blocco del Sud ed il tempo di ripago che il nord vorrebbe in 5-10 anni ed il Sud vorrebbe da 35 anni fino a 50. Ovviamente in Italia parlare di MES vuol dire agitare una bandiera rossa davanti agli occhi non solo delle opposizioni ma anche dei 5 Stelle che ne hanno fatto una bandiera.

Ed infatti il senatore Salvini in Parlamento ha immediatamente dichiarato che in caso si accettasse un accordo in questi termini non esiterebbe a chiedere un voto di fiducia al Governo con qualche possibilità di successo. C’è da dire che il risultato della riunione di martedì ha creato un grande dibattito nell’opinione pubblica di tutta Europa. Il Parlamento olandese ha approvato immediatamente due risoluzioni che esortano il governo a non accettare gli Euro Bond e a tener duro sulle condizioni per l’utilizzo del MES. Lo Spiegel, in un editoriale dal titolo “Il rifiuto tedesco degli Euro Bond è non solidale, gretto e vigliacco”, sostiene “… Invece di dire onestamente ai tedeschi che non esistono alternative agli Euro Bond ….il governo Merkel insinua che ci sia qualcosa di marcio in questi bond. Ovvero, che in fin dei conti sarebbero i laboriosi contribuenti tedeschi a dover pagare, in quanto gli Italiani non sarebbero mai capaci di gestire il denaro… L’Europa sta affrontando una crisi esistenziale. Apparire come il guardiano della virtù finanziaria in una situazione del genere è gretto e meschino. Forse conviene ricordare per un momento chi è stato a cofinanziare la ricostruzione della Germania nel dopoguerra… Gli Euro Bond sono obbligazioni comuni emesse da tutti i Paesi dell’Euro, non un’elargizione ….Questo rende i prestiti un po’ più costosi per la Germania, ma notevolmente più economici per l’Italia. Berlino se lo può permettere, mentre Roma, se fosse lasciata sola, presto non sarebbe più in grado di prendere in prestito denaro sul mercato finanziario”. E l’ex Cancelliere Schroder in un’intervista al Corriere “Se c’è un Paese che deve capire che dopo una crisi esistenziale è indispensabile avere un sostegno paneuropeo per la ricostruzione, questo è la Germania. Noi siamo stati aiutati molto, dopo la seconda guerra mondiale, nonostante fossimo stati proprio noi a causarla”. Chiudo con una dichiarazione del Presidente Conte alla stampa tedesca “Abbiamo bisogno degli Euro Bond per non far perdere competitività a tutta l’Europa. E’ nell’interesse reciproco che l’Europa sia all’altezza della sfida, altrimenti dobbiamo assolutamente abbandonare il sogno europeo e dire ognuno fa per se” Nel frattempo, secondo gli ultimi sondaggi, anche in Italia crolla lo spirito europeista come conseguenza della mancanza di solidarietà dimostrata dalle istituzioni comunitarie in questa fase di emergenza.

Mercoledì 15 aprile

Tutti voi sapete ciò che è stato deciso durante la riunione dell’Eurogruppo e le reazioni che essa ha creato in Italia, a dimostrazione che la “tregua” e la “collaborazione istituzionale” erano del tutto fittizie; non mi dilungo su queste. Vorrei allargare un attimo l’orizzonte e darvi notizia delle dichiarazioni, a dir poco drammatiche, del Fondo Monetario Internazionale. Già l’introduzione indica il livello dell’emergenza “It is very likely that this year the global economy will experience its worst recession since the Great Depression, surpassing that seen during the global financial crisis a decade ago. The Great Lockdown, as one might call it, is projected to shrink global growth dramatically” e, se non bastasse “much worse growth outcomes are possible and maybe even likely. This would follow if pandemic and containment measures last longer”. Le tabelle che illustrano la situazione sono impietose. Ve ne allego alcune in fondo a questa nota, ma in sostanza l’Italia si trova di fronte ad un futuro drammatico: una flessione del PIL pari al 9.1% nel 2020 con una possibile risalita del 4.8% nel 2021; disoccupazione al 12.7% e rapporto Deficit/PIL 8.3%. Il confronto con i nostri partners europei è anch’esso impietoso. Il PIL in Germania -7.0%, in Francia -7.2% in Spagna -8.0%. IL FMI suggerisce “Policymakers will need to ensure that people are able to meet their needs and that businesses can pick up once the acute phases of pandemic pass. This requires substantial targeted fiscal, monetary and financial measures to maintain the economic ties between workers and firms and lenders and borrowers, keeping intact the economic and financial infrastructure of societyCredo che sia superfluo continuare perché la diagnosi è chiara, come pure la terapia inevitabile. Non possiamo abbandonarci a dispute ideologiche o, peggio, a lotte di potere fra partiti e/o leaders vari.

Carlo Cottarelli ed il suo Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani studiano la situazione economica e le prospettive sulla base di alcune ipotesi fra cui quella chi il PIL reale, non nominale,  scenda del 6% in linea con le previsioni di Confindustria del 31 marzo 2020. Oggi questa ipotesi è da considerare ottimistica, ma lo studio è comunque utile anche perché il rapporto Deficit/Pil sarebbe pari a 8.2%, analogo a quanto previsto dal FMI ed un Rapporto Debito/PIL pari al 149,6%. Il deficit pubblico nel 2020 dovrebbe essere pari a 139 miliardi. Se aggiungiamo 316 miliardi di titoli in scadenza nel 2020 il fabbisogno di risorse sarebbe di 455 miliardi. Come finanziarlo? Questo è il problema del Governo ed a questa domanda dovrebbero rispondere i vari uomini politici e commentatori che si avvicendano in televisione.

-          I programmi di quantitative easing della BCE. Essi dovrebbero ammontare a 224 miliardi, di cui 52 dal rinnovo di titoli in scadenza da parte della BCE.

-          I finanziamenti dal programma SURE. Dovrebbero arrivarci circa 17 miliardi.

-          I finanziamenti derivanti dal MES con le nuove condizioni (ove decidessimo di richiederli) Essi sarebbero pari a circa 36 miliardi.

-          European Recovery Fund.  Per ora non è stato considerato

In totale quindi, ove decidessimo di utilizzare anche il MES sarebbero quindi disponibili 277 miliardi pari al 61% del fabbisogno di finanziamenti di quest’anno. Il sistema delle Banche Centrali deterrebbe 575 miliardi di titoli italiani, mentre il totale del debito italiano detenuto dalle istituzioni europee salirebbe a 628 miliardi. Dire quindi che “l’Europa ci sfrutta ma non ci aiuta” mi pare quanto meno ingeneroso come pure le dichiarazioni che possiamo farne a meno. Chi comprerebbe tutto questo debito? Ovviamente tutto ciò non è del tutto privo di rischi. Infatti la BCE sta finanziando l’Italia e gli altri Paesi dell’Euro “stampando moneta” come è diritto e dovere di ogni Banca Centrale in situazioni simili. Qualora però si dovessero creare tensioni inflazionistiche e la BCE dovesse vendere sul mercato i titoli italiani o di altri Paesi per assorbire la liquidità creata sul mercato, i tassi di interesse dei nostri titoli tornerebbero a crescere ed a crearci grandi problemi.

Questo è il quadro, al di là delle chiacchiere che si susseguono. La situazione sembrerebbe sostenibile, ma non ci esime dalla necessità, che diventa ancora maggiore, di porre ordine alle nostre finanze nel medio periodo. Di questo però nessuno parla.

Ovviamente resta ancora molto da fare. Il nostro Governo dovrà battersi, come Conte ha intenzione di fare, per ottenere l’emissione di Euro Bond, o, in subordine, dell’European Recovery Fund proposto da Macron. Esso infatti avrebbe dei vantaggi economici innegabili ma, effetto secondo me ancora maggiore, ci farebbe fare un passo avanti importante verso quell’europeismo che ormai è dormiente da molti, troppi anni. Purtroppo noi abbiamo sulle spalle molti errori e moltissime dichiarazioni che ci fanno perdere credibilità. Alcuni esempi: il governo giallo-verde, nella prima bozza del suo programma chiedeva che la Bce CONDONASSE all’Italia 300 miliardi di debito, ancora oggi vari politici dichiarano “ce ne freghiamo dell’Europa e delle regole europee”, “facciamo tutto il disavanzo che vogliamo”, etc. Noi siamo avvezzi a “sparate di questo genere” come quelle, ugualmente gravi di anni addietro, che “le elezioni politiche italiane erano state truccate”, “che in Italia era in atto un colpo di stato”, e recentemente che “il governo in carica è illegittimo” e via discorrendo. Secondo il nostro modo di vedere il linguaggio della politica, esse fanno parte dell’enfatizzazione della normale dialettica parlamentare. Purtroppo all’estero queste dichiarazioni sono prese molto sul serio e non vengono dimenticate. Anche tutto ciò fa parte della “peculiarità italiana” che ci rende simpatici, ma abbastanza inaffidabili. Prima o poi dovremo diventare adulti.

Chiudo questa nota senza aspettare il risultato della riunione fra i capi di Stato e di Governo del 23 p.v. Lo faccio a bella posta perché sono purtroppo certo che, qualunque sarà il risultato, tutte le parti politiche si limiteranno a sbraitare su fronti opposti, dicendo che è stato fatto troppo o troppo poco, che l’Italia si è arresa alla “perfida Europa” o peggio che “questo governo non eletto dagli Italiani (quale conoscenza della nostra Costituzione!)” si è dimostrato complice di Francia, Germania oppure dei Poteri Forti. Tutti sceglieranno le parole più adatte per attirare consensi in vista di nuove elezioni o, in via subordinata, per avere un nuovo governo di unità nazionale da approvare all’unanimità per poi impallinarlo e metterlo alla gogna non appena il pericolo immediato sarà stato scongiurato. Ricordate due soli eventi.

  • Il Parlamento che rielesse il Presidente Napolitano con 738 voti su 1007 vista la propria incapacità di accordarsi su un altro candidato secondo la prassi fino ad allora seguita, per poi gridare al solito colpo di Stato.
  • Ancora più significativa è la fiducia del nostro Parlamento al governo Monti. Esso ottenne in Senato 281 voti favorevoli, 25 contrari e nessun astenuto. Alla camera esso fu approvato con 556 si, 61 no, e nessun astenuto. Questa maggioranza è la più alta mai registrata nella storia repubblicana. Come mai? Affidando il potere ad un governo “non politico” in uno dei momenti più critici della storia repubblicana con il default alle porte, si è delegato ad esso la responsabilità di prendere decisioni immediate e impopolari (per altro approvate tutte dal Parlamento), le uniche capaci di tirare l’Italia fuori dai guai. Passata “la buriana” e riportata l’economia in condizioni più stabili i nostri uomini politici, tutti i nostri uomini politici, invece di riconoscere la loro incapacità a prendere in mano le redini del Paese quando l’Italia attraversò un pericolo gravissimo e ritirarsi dalla vita politica, accusarono Monti ed il suo governo, in primis la professoressa Fornero, delle azioni più turpi, in sostanza della collusione con lo straniero. Certamente, alcune delle decisioni di Monti furono, con il senno di poi, criticabili o migliorabili, ma perché, alle dimissioni di Berlusconi nessun “politico vero” accettò di governare l’Italia?

Oggi siamo alle solite. Più o meno tutti stanno cercando di costringere Conte alle dimissioni. Si invoca la nomina di Draghi, ora anche di Vittorio Colao, persone degnissime ma al di fuori dall’arena politica. Come mai? Risposta semplice: stiamo cercando un nuovo Mario Monti da impallinare fra un anno.

Non è questo il modo in cui si può esercitare la democrazia. Purtroppo, quando ho detto che i responsabili primi di tutto ciò siamo noi cittadini, perché siamo noi che esprimiamo il nostro Parlamento con libere elezioni, tutte le persone che ho interpellato, di tutte le tendenze politiche, mi hanno parlato della classe politica appellandola con il nome “loro” perché “noi” non ne siamo responsabili. Quando finalmente il “loro” diventerà “noi” con questa o con un’altra Costituzione (sperabilmente scelta in maniera pacifica) in cui tutti possano riconoscersi, solo allora diventeremo “cittadini” e non più “sudditi” come preferiamo essere, e solo allora potremo competere da pari a pari con gli altri Paesi europei.

Questa volta, a differenza del solito in cui cerco di essere freddo ed obiettivo, mi sono lasciato andare al mio sentimento. Me ne scuso, ma dovremmo farlo tutti di tanto in tanto, essendo sicuri però di esprimersi in maniera meditata e pacata, senza offendere gli altri ma con capacità di motivare le proprie opinioni e di accettare quelle degli altri.

 

LA GRANDE EPIDEMIA VI PARTE

7 aprile 2020

Sopravviverà l’Europa? e che ne sarà del mondo?

La mia ultima nota finiva con un’invocazione ma mancavano tre aspetti, prevedibili ma ancora poco discussi, che vorrei trattare

  • Le accuse e i sospetti reciproci in Italia e in tutto il mondo
  • Le prime reazioni dell’Europa
  • La ripresa dello scontro USA – Cina

 

1-      Le accuse ed i sospetti reciproci in tutto il mondo

E’ indubbio che nessuno si è fatto trovare preparato dall’arrivo dell’epidemia. Cominciamo dall’Europa. Come ho detto più volte il mondo è stato informato dalle autorità cinesi di una possibile epidemia il 31 dicembre e il 10 gennaio è stato individuato e sequenziato il genoma del corona virus. Cosa è stato fatto? Assolutamente niente. Un mese dopo il 31 gennaio l’OMS fece scattare il penultimo gradino nel livello dell’emergenza e l’Italia fece scattare lo stato d’emergenza. Secondo alcune ricerche epidemiologiche di questi giorni il virus era già in Italia da una quindicina di giorni e, probabilmente, ai malati fu diagnosticata una “polmonite virale anomala”. I medici che se ne imbatterono, probabilmente non messi in allarme, non potevano fare altrimenti. Se l’allarme ci fosse già stato i relativi focolai avrebbero potuto essere isolati sul nascere. Ammettiamo però che niente si fosse potuto fare prima del 31 gennaio. Sarebbe stato presumibile che la Protezione civile, dotata anche di un budget ad hoc, avesse cominciato ad agire. Come? Come minimo allarmando le strutture ospedaliere, aggiornando e verificando le procedure, verificando le disponibilità di attrezzature, mettendo a disposizione per tempo tutto ciò che presumibilmente sarebbe stato necessario. Non sono uno specialista e non mi permetto di entrare nei dettagli, ma, nel mio piccolo, all’inizio di febbraio mandai in Cina ai miei amici che ne avevano un disperato bisogno una certa quantità di mascherine ffp2 ed ffp3 (quelle che adoperano nelle rianimazioni oggi) e ne comprai una certa quantità per me convinto che sarebbero servite presto. Allora si trovavano facilmente e costavano poco. E’ vero, essendo un prodotto a bassissima tecnologia esso veniva fabbricato solo nei Paesi in via di sviluppo. Ipotizzando che non fossero più rintracciabili in Cina, si potevano trovare in Vietnam, in Tailandia, in India, in Indonesia etc. Invece niente. La stessa cosa è accaduta nel resto d’Europa. In queste situazioni non ha senso esprimere condanne, ma sarebbe necessario capire il perché. Probabilmente un motivo è semplicemente il fatto che nessuno si aspettava un’ondata così improvvisa e violenta. Ne esiste un altro però, a mio avviso molto più serio. Durante una delle ultime epidemie (mi pare l’aviaria), l’Italia si procurò per tempo, appena fu disponibile, una gran quantità di vaccino. Nella realtà esso non servì ed ancora mi ricordo le polemiche che si sollevarono con relative accuse al governo (e sospetti di corruzione) per aver fatto un grande regalo inutile alle multinazionali del farmaco. Ovviamente, se quel vaccino non fosse stato comprato e fosse stato necessario ci sarebbero state proteste e accuse ben più violente contro il governo imprevidente di allora (non ricordo quale fosse ma non ha alcuna importanza). Perché dico ciò? Perché i governi passano ma le strutture restano e probabilmente i funzionari ancora si ricordavano dei precedenti e preferivano essere prudenti. La stessa cosa si è verificata per i tamponi. Questi vengono prodotti per larghissima parte in Italia, a Brescia, ed esportati in tutto il mondo, Cina compresa. Come mai mancano? Il governo americano, avendone prodotto un tipo inefficiente, recentemente ne ha comprati “al volo” un milione, trasportati con un aereo militare dalla base di Aviano. L’azienda sostiene di averne abbastanza per tutti; ma allora, insisto, perché mancano? Forse perché il commissario speciale deve fare una gara con tutta una serie di procedure e magari pagare a 180 giorni dalla consegna quando altri pagano immediatamente? Ripeto, i nostri politici si accusano sterilmente l’un l’altro di incapacità ma qui l’obiettivo dovrebbe essere capire perché è successo, non trovare un colpevole che probabilmente non esiste, e invece modificare le procedure che questo hanno determinato.

Sempre sulle mascherine: l’altra mattina ad “Omnibus” una giornalista rimproverava il governo di informazioni erronee e contraddittorie. La spiegazione secondo me è molto semplice. Da noi le mascherine mancano, se ne può trovare qualcuna scadente e carissima al mercato nero. Quelle poche esistenti, di qualsiasi tipo, devono essere dedicate ai medici e alle altre persone che sono in prima linea. Si dice quindi che esse non servono a proteggere se stessi, ma gli altri. Ammettiamo che sia vero e che la mia mascherina non protegga me, ma gli altri; allora quelle degli altri proteggono me; conseguenza, se le indossiamo tutti, siamo protetti tutti. Questa è la spiegazione in base alla quale la regione Lombardia da ieri ha stabilito l’obbligo di mascherina, o protezione equivalente, per chiunque sia all’aperto. Esistono incongruenze. Ma, non essendoci mascherine per tutti è inutile creare o far aumentare il panico.

Secondo me la stampa dovrebbe sapere queste cose e non fare domande che mi sembrano assolutamente retoriche ma concentrarsi su quello che ho detto prima, oppure in tema di mascherine a qualcosa di cui nessuno ha mai parlato. Bisogna indossare le mascherine a casa? Sicuramente no, ci rispondiamo tutti. Ma allora, dico io, tutti i nostri maggiori giornali (cartacei e televisivi) hanno inviati in Cina ed essi sono rimasti in Cina durante l’epidemia. Può essere che nessuno di loro abbia un amico cinese e questi non gli abbia spiegato che loro le portano anche in casa, perché se un membro della famiglia per qualche motivo va fuori, al suo ritorno è potenzialmente contagioso? I nostri compatrioti avranno forse pensato che ciò succede “perché la Cina è una dittatura e sono obbligati”. Non sanno che in casa dei cinesi non ci sono “spie” del governo? Anche qui, nel mio piccolo, posso dire che la settimana scorsa i miei amici cinesi mi hanno mandato uno scatolone di mascherine “da usare a casa” pregandomi di usarle “perché è pericoloso”. Oggi un virologo italiano, non mi ricordo il nome, in un’intervista ha sostenuto la stessa cosa perché, secondo lui, il fatto che nonostante il contenimento non si sia raggiunta la diminuzione prevedibile è dovuto ai contagi in seno alla famiglia.

Non sarebbe meglio se invece di polemizzare l’un l’altro politici e giornalisti individuassero problemi e proponessero soluzioni per il futuro, prima che la fine dell’epidemia faccia piombare tutto nel dimenticatoio?

La stessa cosa si può dire a livello internazionale. In tutti i giornali si da per scontato che la Cina abbia nascosto l’epidemia al mondo per non far vedere la propria inefficienza, determinando così una pandemia. Sarebbe una cosa gravissima e motivo sufficiente per mettere la Cina all’indice dell’opinione pubblica mondiale ed al limite ipotizzare delle sanzioni come quelle fatte all’Iran. Qualcuno di voi ha però mai letto di una prova oppure un indizio serio sull’argomento? Niente di tutto ciò, è un assioma per il quale non è necessaria alcuna dimostrazione. Non voglio entrare di nuovo in dettagli che vi ho già citato. Mi limito a ripetere che i primi casi di polmonite strana (da indagini ex post) si sono verificati in Cina alla fine di novembre. Alla fine di dicembre ci si è resi conto che si trattava di un focolaio epidemico nuovo ed il mondo ne è stato messo al corrente immediatamente. Tutto ciò da fonti internazionali. Il fatto che all’interno del Paese i cittadini  siano stati tenuti all’oscuro per una decina di giorni non ha creato alcun danno al mondo esterno. Si può discutere e condannare la mancanza di democrazia, ma l’Europa e gli altri Paesi sono stati informati con grande tempestività.  In Italia, USA e Germania i primi casi sono stati a metà gennaio, quando già si sapeva che esisteva un’epidemia. Come mai non sono stati diagnosticati immediatamente ed è stato necessario un altro mese? Secondo me, posto che non si può più dire (come in passato) che l’epidemia è causata da un castigo divino, si è fatto ricorso ad un Paese lontano e per molti versi sconosciuto. Anche questo dovremmo ricordarci perché ci possa essere utile in futuro. Non spendo più di un secondo a bollare come stupide le illazioni di un virus fuggito da un laboratorio cinese (dichiarato impossibile per la sua stessa natura da scienziati di tutto il mondo) o di un atto deliberato del governo americano come ultima, definitiva arma nella sua battaglia economica con la Cina (di cui hanno parlato almeno due giornalisti italiani di cui uno in un lunghissimo video)

La battaglia dei dati Il numero di contagiati, la letalità, la durata dell’epidemia sono anch’essi oggetto di grandi battaglie. Ogni Paese si sente colpito nel suo orgoglio per avere dati peggiori degli altri e cerca di dare spiegazioni talvolta ragionevoli, talaltra improbabili ed infine tacciando gli altri Paesi di falsare i dati. Ciò accade ovunque ma parlo di noi. Abbiamo un’alta letalità. Per una corretta analisi della situazione ci aiuta un bel saggio di Matteo Villa dell’ISPI. Si dice che l’Italia abbia una letalità intorno al 10%, mentre la Cina è al 4% e la Germania addirittura allo 0.5% (24 marzo). Ci sono tante spiegazioni: la più banale, “abbiamo una percentuale più alta di anziani” è vera, ma facendo i conti si vede che questo fatto cambia la mortalità solo di qualche decimale. Un’altra è molto più significativa “facciamo meno tamponi quindi il denominatore è più basso del reale”; questa è sicuramente una spiegazione, ma siamo sicuri che individuando i positivi quando hanno dei sintomi già molteplici e più seri, ciò non causi una maggiore mortalità dovuta al fatto che essi vengono trattati quando la situazione è già ampiamente compromessa? Questa ipotesi ci porta immediatamente al confronto fra la logica del sistema sanitario lombardo rispetto a quello veneto ed emiliano. Sicuramente avete sentito le grandi polemiche fra le varie regioni e quindi non mi dilungo. L’ISPI ha un approccio molto più sistematico distinguendo intanto fra “Tasso di letalità apparente” (CFR) e “tasso di letalità plausibile” (IFR). Il primo considera solo la popolazione che è stata sottoposta ad un test (nel nostro caso i famosi tamponi). Esso fatalmente considera sola la “punta della piramide”. L’IFR tenta invece di stimare anche le dimensioni della base della piramide, cioè il numero di contagiati totale, e quindi divide il numero dei morti per tutti i contagiati che sono molti di più. Questo secondo calcolo è ovviamente molto più complesso e non si può fare nell’immediatezza dell’emergenza. Esistono molte evidenze di ciò, per esempio la variabilità fra le varie regioni italiane e la variabilità nazionale quando sono cambiati i criteri di campionatura, ma non mi dilungo troppo. Adottando sistemi di valutazione analoghi a quelli adoperati da altri studi internazionali, Villa è arrivato alla conclusione che a fronte dei 54000 casi ufficiali al 25 marzo, quelli totali oscillino (con un vasto margine di incertezza in più e in meno) attorno a circa 530.000 unità. Su questa base l’IFR italiano sarebbe molto più vicino a quello cinese, a quello inglese ed abbastanza vicino anche a quello tedesco come rivalutato da studi analoghi.

Anche questo argomento meriterebbe di essere approfondito quando l’epidemia sarà un ricordo. Ripeto: si potrà trovare un risultato soltanto se le varie parti in causa non si sentiranno sotto accusa ma collaboreranno per l’analisi e l’ottimizzazione di un sistema. La mia lunghissima esperienza aziendale mi rende profondamente convinto di ciò: gli errori possono portare ad un miglioramento solo se non si va alla ricerca di colpevoli. Ovviamente se si tratta di errori in buona fede e non di azioni dolose.

Se però allarghiamo il quadro e da un punto di vista “matematico” passiamo ad uno “fenomenologico” possiamo notare due aspetti. Il sistema coreano anzitutto si è attivato immediatamente, molto prima che in qualsiasi Paese occidentale e quindi ha potuto bloccare ed isolare sul nascere tutti i mini-focolai. In secondo luogo il sistema di tracciamento dei positivi non appena evidenziati, e l’incrocio con le persone che scoprivano essere state vicine ad essi ha chiuso il cerchio. Per la Germania, che non ha sfruttato le moderne tecnologie esiste un’altra spiegazione possibile. Il sistema ospedaliero tedesco dispone di 28000 posti in terapia intensiva, vale a dire 33 ogni centomila abitanti, quattro volte più della Francia e quasi cinque più dell’Italia. Altri diecimila sono in corso di allestimento (Corriere). Ciò permette di lavorare non in emergenza continua per saturazione dei posti disponibili, ma attuando un ricovero quando le condizioni del malato non sono ancora disperate e certamente consentendo una maggiore possibilità di cura. Non esistono ovviamente certezze, ma anche su questo si dovrebbe riflettere. Abbiamo fatto bene a tagliare (o non investire) 37 miliardi nella sanità negli ultimi dieci anni?

Quando non si riesce a trovare una maniera per “discolparsi” si ricorre al solito “nemico lontano”. “La Cina ha falsato i suoi dati” dicono tutti in coro in maniera assolutamente assiomatica (e confutata dai dati dell’ISPI). Lo stesso si dice anche per la “nemica Germania.” Guardiamo quindi ad un altro aspetto della situazione di casa nostra. Parecchi giornali, per primi quelli locali come “L’Eco di Bergamo” poi altri a carattere nazionale ed infine alcuni istituti di ricerca, sostengono che nell’Italia del Nord, la più colpita, i morti a causa dell’epidemia sono molti di più di quelli dichiarati ufficialmente, al di là di ogni fluttuazione statistica. Vi cito due esempi, Vedi foto allegata. Nel comune di Nembro (Bergamo) secondo dati ufficiali, nel periodo gennaio-marzo ci sono normalmente circa 35 decessi. Quest’anno sono stati 158 ossia 123 più della media. I morti attribuiti al Covid-19 sono invece 31. I morti “anomali” probabilmente attribuibili al virus sono 4 volte di più di quelli ufficiali. A Cernusco (Milano) con la stessa metodologia i decessi anomali sono 6,1 volte quelli ufficiali. A Bergamo la differenza è ancora maggiore. Sono convinto che nessuno abbia deliberatamente nascosto i dati reali anche se i vari talk show dimostrano evidenti reticenze da chi dovrebbe invece sapere tutto. Secondo me la catena di comando estremamente confusa fra governo centrale, Regione, Comune, ciascuno con i relativi consulenti si è qualche volta inceppata di fronte ad un’emergenza mai avvenuta in passato. E’ possibile. Anche di questo, senza fare polemiche che servirebbero solo a cercare di procurarsi voti per ipotetiche prossime elezioni bisognerebbe parlare perché sicuramente un sistema così frammentato può funzionare in situazioni normali ma non certo in emergenza. Torniamo però, è necessario, al famoso “colpevole lontano”. Ci potremmo stupire se un giornale cinese o australiano, o semplicemente Olandese o Scandinavo, di quell’Europa del Nord che ci è ostile scrivesse “L’Italia trucca i dati”? Ci ribelleremmo come un sol uomo al grido “Che c’entra, l’Italia non fa queste cose” in maniera assolutamente apodittica. Eppure i dati che pubblichiamo sono ben lontani dalla verità Anche su questo bisognerebbe riflettere a lungo perché le parole sono pietre e non si dimenticano nella storia.

Mentre sto scrivendo è scoppiata una gigantesca bufera contro la sanità lombarda. E’ mai possibile attaccare così persone che avranno pure commesso degli errori ma hanno dato l’anima e si stanno ancora sacrificando, ognuno nel suo ruolo, per fronteggiare un’epidemia che non è ancora finita? Vogliamo mandare tutto all’aria e creare altre migliaia di morti? Ci sarà tempo dopo, quando tutto sarà finito, per analizzare errori presenti e passati.

I prossimi argomenti fra qualche giorno, sperando che i Capi di Governo europei avranno trovato una soluzione alla crisi nella quale piomberemo fra qualche mese.

LA GRANDE EPIDEMIA V PARTE

10 Marzo 2020

L’Europa sta reagendo bene?

Per tutta adunque la striscia di territorio percorsa dall’esercito s’era trovato qualche cadavere nelle case, qualcheduno sulla strada. Poco dopo, in questo e in quel paese, cominciarono ad ammalarsi, a morire, persone, famiglie, di mali violenti, strani, con segni sconosciuti alla più parte de’ viventi C’era soltanto alcuni a cui non riuscissero nuovi: que’ pochi che potessero ricordarsi della peste che, cinquantatré anni avanti, aveva desolato pure una buona parte d’Italia, e in ispecie il milanese…. Il protofisico Lodovico Settala, ché, non solo aveva veduta quella peste, ma n’era stato uno de’ più attivi e intrepidi, e, quantunque allor giovanissimo, de’ più riputati curatori; e che ora, in gran sospetto di questa, stava all’erta e sull’informazioni, riferì, il 20 d’ottobre, nel tribunale della sanità, come, nella terra di Chiuso (l’ultima del territorio di Lecco, e confinante col bergamasco), era scoppiato indubitabilmente il contagio. Non fu per questo presa veruna risoluzione, come si ha dal Ragguaglio del Tadino.  <A. Manzoni, I Promessi Sposi cap. XXXI>

Arrivato al crocicchio che divide la strada circa alla metà, e guardando dalle due parti, <Renzo> vide a dritta, in quella strada che si chiama lo stradone di Santa Teresa <a Milano>, un cittadino che veniva appunto verso di lui. “Un cristiano, finalmente!” disse tra sé; e si voltò subito da quella parte, pensando di farsi insegnar la strada da lui. Questo pure aveva visto il forestiero che s’avanzava; e andava squadrandolo da lontano, con uno sguardo sospettoso; e tanto più, quando s’accorse che, invece d’andarsene per i fatti suoi, gli veniva incontro. Renzo, quando fu poco distante, si levò il cappello, da quel montanaro rispettoso che era; e tenendolo con la sinistra, mise l’altra mano nel cocuzzolo, e andò più direttamente verso lo sconosciuto. Ma questo, stralunando gli occhi affatto, fece un passo addietro, alzò un noderoso bastone, e voltando la punta, ch’era di ferro, alla vita di Renzo, gridò: -via! via! via! <A. Manzoni I Promessi Sposi cap XXXIV>

Tutti, o quasi, i miei lettori a parte i più giovani hanno letto i Promessi Sposi al Liceo. Vi invito a leggere, o rileggere, i capitoli dal 31 in poi dove il Manzoni descrive la pestilenza del 1629-1630 a Milano. Chi non ha il libro a casa ne può trovare facilmente il testo su internet. E’ un’occasione appropriata per rendersi conto, attraverso le parole di uno dei più grandi scrittori italiani, di che cosa fosse un’epidemia in passato e quali ne fossero le conseguenze, oltre che alla salute, anche economiche e sociali. A parte questo però è utile per un confronto del passato con ciò che sta succedendo oggi. Vi avevo già detto, nella prima nota di questa serie, come la grande pestilenza del 1300 fosse iniziata proprio a Wuhan. Questa volta vi faccio notare altre coincidenze: il primo contagio in Europa arriva dalla Germania (da dove sembra che venga il Paziente 0 di questa epidemia, secondo gli ultimi studi); entra in Italia dal Lodigiano e dal Bergamasco; si tarda a riconoscerne i segni e le precauzioni da prendere, anche se l’epidemia precedente era avvenuta solo cinquant’anni prima, come oggi in cui più anziani di noi ricordano perfettamente due delle tre del ventesimo secolo; infine il fatto che il panico assieme all’indecisione di chi deve prendere provvedimenti, crei più problemi dell’epidemia stessa.

Oggi mi ripropongo di allargare lo sguardo a cosa sta succedendo nel mondo ed a come i vari Paesi lo stiano affrontando. Mi preme però fare una notazione iniziale. Sono in tanti in questo momento a dire “E’ colpa della globalizzazione e l’epidemia ne segna la fine”. Bene, la peste del ‘300 arrivò dalla Cina, quella del’600 dalla Germania, la provenienza della “Spagnola” e dell’“Asiatica” si deduce dal nome stesso; per non parlare del “mal francese”, la sifilide, e delle malattie che gli invasori europei portarono con se in Sud America e che  contribuirono a distruggere quelle civiltà. Tutto ciò non ha mai fermato la voglia, la necessità del mondo di collegarsi, come ben dimostra il mito di Ulisse. Ma di questo parleremo dopo.

Andiamo invece agli argomenti di oggi ed anzitutto alcuni di essi, che credo abbastanza fondamentali.

Come e quando l’epidemia è arrivata in Europa? 

Molti virologi hanno studiato il genoma di ogni corona virus isolato, sequenziato e depositato su banche dati pubbliche. Analizzando le loro mutazioni è possibile individuare i vari ceppi e ricostruirne gli spostamenti: qualcosa di simile a ciò che fanno i paleontologi. Si è scoperto che il virus non è arrivato in Italia attraverso un Cinese che ha contagiato il famoso paziente 1, il giovane di 38 anni che sta ancora in rianimazione. Il “paziente zero” in Europa viene dalla Germania e precisamente dalla Baviera. I primi tre casi noti fuori dalla Cina si sono verificati in Giappone, in Vietnam e finalmente in Germania il 19 gennaio. Ricordo che la prima segnalazione cinese all’OMS era stata il 31 dicembre e che il virus era stato sequenziato e pubblicato in Cina il 10 gennaio. Erano già passati quindi 19 giorni. Il 16 gennaio un’impiegata cinese di una società europea con filiali in Cina aveva incontrato a Shanghai alcuni parenti giunti lì per motivi familiari. Il 21 gennaio questa signora atterra a Monaco di Baviera per una riunione con la casa madre. Nessun sintomo. Ma una persona presente alla riunione, un uomo di 33 anni, quasi subito mostra sintomi influenzali, tosse e febbre alta. Il 26 gennaio, la signora Cinese torna in patria, ha la febbre, e scopre di avere il corona virus. Lo comunica in Germania, si fa il test ed ecco…… il virus è arrivato in Europa. In meno di una settimana sette dipendenti dell’azienda sono contagiati. Nessuno però in Germania e più in generale in Europa se ne preoccupa più di tanto. L’untore in Europa quindi non è italiano anche se ciò ha poca importanza, ma anche questo è oggetto di polemiche. Parleremo anche di questo. E’ però ora importante una notazione di Ilaria Capua, di cui vi ho parlato nell’ultima nota. Secondo lei, che sta studiando a fondo in Florida questo virus, i contagiati in Germania sono molti di più dei circa 500 di cui si parla in questi giorni (alla data della sua intervista). Ma per varie ragioni non sono stati fatti molti test, meno della metà di quelli fatti in Italia. E’ un fatto però che quest’anno l’influenza “normale” in Germania è stata molto dura, ed ha provocato 130 morti: quanti di essi erano da corona virus non diagnosticati?

Con questo non voglio affermare che la Germania abbia nascosto di proposito la diffusione sotterranea del virus, ma più semplicemente che in nessun Paese europeo si è dato peso a un’epidemia che già imperversava in Cina (ripeto ancora una volta che il mondo ne era a conoscenza dal 31 dicembre) e questa ha avuto modo di diffondersi in maniera sotterranea fino a quando non è scoppiata con la violenza che stiamo vedendo in questi giorni.

Quando abbiamo scoperto in Italia che il virus era arrivato da noi?

Questo è molto più facile. Il famigerato paziente 1 è un giovane (38 anni) che ha partecipato ad una cena con un collega arrivato dalla Cina, in un primo momento il sospetto paziente zero. Nei giorni successivi ha fatto la sua vita normale, una partita di calcetto, una gara podistica, incontri vari etc. Annalisa Malara, una giovane anestesista di Cremona che lavora all’ospedale di Codogno, ancora una volta una donna, ci racconta gli avvenimenti, ed anche questo è molto istruttivo.

“Mattia, il paziente 1, dal 14 febbraio aveva la solita influenza, che però non passava. Il 18 è venuto in pronto soccorso a Codogno e le lastre hanno evidenziato una leggera polmonite. Il profilo non autorizzava un ricovero coatto e lui ha preferito tornare a casa. Questione di poche ore: il 19 notte è rientrato: quella polmonite era già gravissima…. Il paziente, e tutti noi, siamo stati salvati da rapidità e gravità dell’attacco virale. Dalla medicina è arrivato in rianimazione. Quello che vedevo era impossibile. Questo è stato il passo falso che ha tradito il corona virus. Giovedì 20, a metà mattina, ho pensato che a quel punto l’impossibile non poteva più essere escluso….  Ho chiesto un’altra volta alla moglie se Mattia avesse avuto rapporti riconducibili alla Cina. Le è venuta in mente la cena con un collega, quello poi risultato negativo……<Per fare il tampone> ho dovuto chiedere l’autorizzazione all’azienda sanitaria. I protocolli italiani non lo giustificavano. Mi è stato detto che se lo ritenevo necessario e me ne assumevo la responsabilità potevo farlo…..Verso le 12.30 del 20 gennaio i mie colleghi ed io abbiamo scelto di fare qualcosa che la prassi non prevedeva. L’obbedienza alle regole mediche è tra le cause che ha permesso a questo virus di girare indisturbato per settimane…. Il tampone di Mattia è partito per l’ospedale Sacco prima delle 13.00 di giovedì. La telefonata che confermava il Covid-19 mi è arrivata poco dopo le 20.30. Nel frattempo io e i tre infermieri del reparto abbiamo indossato le protezioni suggerite per il corona virus. Questo eccesso di prudenza ci ha salvato… La fortuna, se insisti, ti aiuta. Se una persona sta male, una causa c’è. Se le cure non funzionano, devi tentare quello che non conosci. Il Covid-19 non aveva messo in conto che l’essere umano, pur di sopravvivere, non si rassegna… Speriamo di aver contribuito a dare tempo a colleghi e istituzioni, in Italia e in Europa. Abbiamo guadagnato giorni preziosi per il contrasto all’epidemia. Se anche i cittadini li usano bene, rispettando indicazioni e misure di prevenzione, molti potranno guarire ed altri eviteranno il contagio”. Questo si che è un medico.

Qual è la situazione oggi?

Non sono un medico e tanto meno un virologo, ma ho una certa pratica di numeri e di statistiche, e questi valgono in ogni attività umana. Ho quindi messo in fila alcuni numeri che ogni giorno l’OMS pubblica in tutto il mondo e ne ho ricavato alcuni grafici, che sono in fondo a questa nota. Sono certo che gli specialisti ne hanno a disposizione di ben più accurati e questo spiega le loro preoccupazioni. Non ho però visto fino ad ora alcun articolo sulla stampa che ne parli e credo quindi che possano interessarvi. Ne ho fatto di due tipi. La prima serie riguarda il numero di contagi fino ad ora. Intendo dire tutte le persone che, per quanto ne sappiamo, sono state contagiate, cioè gli ammalati, più i guariti, più i deceduti. Esiste infatti uno sfalsamento temporale fra quando si scopre la malattia e quando si risolve in maniera fausta o talvolta infausta. Ne consegue che i guariti di oggi dovrebbero essere messi in relazione con i malati del passato in un tempo variabile da qualche giorno per i casi più lievi fino ad oltre un mese per le forme molto gravi. Ovviamente non compare un numero, probabilmente abbastanza grande di persone che, specie nel passato, non si sono rese conto di essere state contagiate oppure la malattia non è stata diagnosticata in maniera appropriata. Probabilmente gli specialisti sono in grado di fare questa stima. La seconda serie di figure è anche più interessante. Essa ci mostra la quantità di casi che si sono verificati ogni due giorni. Fino a che questo numero cresce vuol dire che  la velocità di contagio sta crescendo. Quando questa curva comincia stabilmente a calare significa che le misure intraprese sono valide e stiamo cominciando a contrastare efficacemente il virus. Ripeto è un’analisi molto semplificata, lasciamo a chi ha più dati a disposizione, di studiare a fondo la materia e decidere le misure più opportune, ma almeno in questo modo possiamo evitare sia un’accettazione fideistica di quanto ci viene detto come, al contrario, un’opposizione preconcetta. E’ vero, in Italia siamo tutti allenatori della nazionale di calcio ma questa faccenda, lasciatemelo dire, è un po’ più seria.

Allora, date un’occhiata a questi dati e poi ritorniamo all’articolo.

Sono stati abbastanza chiari? Spero di si, ma, a mio avviso, la moltitudine di articoli e di talk show che si susseguono ogni giorno avrebbero avuto la possibilità di ottenere grafici analoghi, più completi, precisi e soprattutto autorevoli di quelli vi ho mostrato io. Per altro ho elaborato dati pubblicati ogni giorno dall’OMS. Avrei potuto anch’io fare qualcosa di più preciso usando regressioni matematiche etc. ma l’importante è il concetto sottostante che vi riassumo.

La Cina

  • Il 23 gennaio la città di Wuhuan, e subito dopo tutta la provincia dell’Hubei (circa 55 milioni di abitanti) è stata isolata dal resto della Cina e del mondo. Bloccati trasporti pubblici, manifestazioni di alcun genere, chiusi tutti i luoghi di lavoro e le scuole. Si sono mantenuti in funzione solo i negozi che vendevano generi di prima necessità ed i servizi essenziali. I cittadini erano liberi di circolare solo all’interno dei complessi residenziali in cui abitavano con continui controlli della temperatura. In un primo momento le diverse famiglie si consorziavano in modo da comprare a turno i generi di prima necessità. Successivamente fu messo in funzione un servizio pubblico che riceveva le richieste con un messaggio via Wechat (il whatsapp cinese), faceva gli acquisti, li consegnava alla porta del complesso residenziale e veniva pagato sempre via Wechat senza alcun contatto diretto. Alcuni droni sorvegliavano le strade dall’alto, e, vedendo qualche passante, si abbassavano ed un altoparlante chiedeva il motivo per cui fosse all’aperto e, se non ritenuto sufficiente, lo rimandava a casa. Di tutto ciò ho visto direttamente un filmato che, vi assicuro, è impressionante. A parte questo, come tutti sapete furono realizzati due ospedali in dieci giorni e numerosi ricoveri temporanei in tenda, come oggi da noi
  • Il resto della Cina si preparava all’esodo epocale per festeggiare con le famiglie il Capodanno (il 24 gennaio). All’insorgere dell’epidemia tutti gli spostamenti furono sconsigliati e solamente una parte delle persone (i primi a partire) riuscirono a mettere in pratica i propri programmi. Ma non fu un vantaggio.
  • Con il progredire dell’epidemia anche nel resto della Cina furono adottate misure drastiche. Le scuole e le università furono chiuse e sostituite immediatamente da un sistema di tele-insegnamento, i trasporti pubblici chiusi, come pure cinema, teatri etc. Le tradizionali vacanze per lo Spring festival (normalmente almeno una settimana) vennero prolungate e quindi uffici e fabbriche chiusi. Le persone potevano uscire di casa ma con precauzioni rigide. Tutti ovviamente con le mascherine, ingressi contingentati nei supermercati, distanza di 1.5 metri fra le persone. Un distributore di tovagliolini negli ascensori con i quali premere i pulsanti etc. All’ingresso dei comprensori abitativi e dei negozi c’era la misurazione della temperatura, e chiunque fosse entrato in un comprensorio diverso dalla sua abitazione doveva essere identificato e fornire una reperibilità. Tutto questo per 1.4 miliardi di persone.
  • Finito il periodo di vacanze si decise che solo uffici o ruoli assolutamente indispensabili avrebbero ripreso il lavoro tradizionale. Gli altri avrebbero dovuto lavorare in teleconferenza. Inoltre, chi fosse andato fuori dalla sua città di lavoro al momento del ritorno avrebbe dovuto effettuare un periodo di quarantena a casa. In questo periodo le persone “in ufficio” erano circa il 10% dell’organico. Alla fine di febbraio alcune fabbriche sono state riaperte, gli uffici hanno raggiunto una presenza fisica del 50% (il resto in tele lavoro) e si spera di ritornare alla quasi normalità entro la fine di marzo. A Pechino, centro di governo del Paese, le misure per evitare il diffondersi dell’epidemia sono state anche più drastiche Ovviamente negli uffici le misure di prevenzione continuano ad essere severe. In mensa vengono dati “lunch boxes” da consumare all’aperto, nei campus, oppure nel proprio ufficio; le mascherine, anche in ufficio, sono obbligatorie; le riunioni vengono effettuate con i partecipanti lontani uno dall’altro, etc.
  • I risultati sono evidenziati dai grafici. Si vede che l’epidemia si è praticamente fermata, ma soprattutto che il suo picco, la velocità di propagazione, è stato raggiunto nella prima decade di febbraio. Questi sono i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha monitorato tutto l’andamento dell’epidemia ed ha ufficialmente lodato la Cina per la maniera in cui la ha governata, dando il tempo al mondo di prepararsi.
  • Al momento in cui furono prese queste misure, si disse (Corriere della Sera) che esse costituivano una violazione dei diritti umani, possibile solo in un regime dittatoriale. Ora la capacità della Cina di contenere l’epidemia è stata riconosciuta ma ancora adesso si sostiene che da noi non sarebbe possibile limitare in questo modo la libertà individuale. Si dice anche che queste misure creerebbero la distruzione della nostra economia. Parliamo quindi dell’Italia, dell’Europa e degli USA.

L’Italia

  • Domenica mattina stavo per pubblicare questa nota quando, appena sveglio, ho saputo delle novità annunziate dal nostro Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e ho dovuto riscrivere la parte dedicata al nostro Paese. Non posso fare a meno di ricordare e raccontarvi una barzelletta risalente al suo primo governo. Riunione a Palazzo Chigi: “dov’è il Presidente? – chiede un ministro, e subito la risposta di uno dei suoi Vice - Non preoccupatevi, cominciamo pure, lo abbiamo mandato a comprare i tramezzini”. Eppure questo Professore, sconosciuto al di fuori del mondo accademico, è stato capace di assumersi personalmente la responsabilità di una delle decisioni più difficili e contestate dalla fine della seconda Guerra mondiale. Una decisione assolutamente impopolare, a cui si opposero già la mattina dopo, a vari livelli, i governatori di tutte le regioni del Nord Italia, che pure erano stati interpellati fino alle due della notte.

Zaia: Sono misure esagerate, al momento per noi non hanno una ratio….La misura di isolamento estremo non ha avuto nessun conforto né scientifico, né di lealtà istituzionale con i tecnici della Regione Veneto che da mesi seguono l’evolversi della situazione…. L’ultimo contatto con Conte è stato prima di mezzanotte”

Fontana: La bozza del provvedimento del governo che ho ricevuto solo in serata sembra andare nella direzione del contenimento della diffusione del virus…..Ciò detto non posso non evidenziare che la bozza del DPCM, è, a dir poco, pasticciata”

Bonaccini: Noi stessi, come governatori, avevamo parlato della necessità di misure più restrittive, visti i dati di crescita dei contagi…… Ci siamo trovati a dover dare un parere in pochissimo tempo, mentre la bozza era già di dominio pubblico e si diffondeva la notizia di zone rosse allargate, impossibilità di spostamenti, blocchi produttivi. Per questo abbiamo chiesto tempo. L’obiettivo non è in discussione, ma vogliamo arrivarci dando informazioni chiare e precise

Fontana di nuovo: I cittadini, i lavoratori potranno muoversi con assoluta libertà senza subire vincoli e condizionamenti: Questa cosa si deve chiarire subito perché domani l’attività della Lombardia deve essere normale ed efficace”. Dietro le parole che i cittadini possono spostarsi per “comprovate esigenze lavorative” c’è un piccolo mistero. Le prime bozze del DPCM recitavano “indifferibili esigenze lavorative”. La differenza è enorme. Nel secondo caso infatti non sarebbe stata possibile un’attività nella regione Lombardia “normale ed efficace” come ritengono fondamentale sia Fontana che ASSOLOMBARDA. Sono sufficienti queste misure molto alleggerite? Andranno bene oppure l’avvicinarsi del disastro obbligherà il governo a scelte dolorosissime? Certo, alla luce di quanto appena detto,  le regioni e le altre parti istituzionali non possono dire di non aver influito notevolmente alla decisione del governo e tirarsene fuori. Per questo sostengo che il Prof. Conti sia oggi da ringraziare, in un’Italia in cui ogni decisione richiede mesi se non anni. Possiamo oggi dire che egli sia il vero gestore di questa crisi, con la legittimazione esplicita del Presidente Mattarella che ha ricordato nel suo videomessaggio come le necessarie decisioni spettino al governo in collaborazione con le Regioni. Forse, alla luce di ciò che è accaduto in questo fine settimana, si capisce il vero motivo del messaggio alla nazione del Presidente della Repubblica.

C’è da chiedersi a questo punto se la situazione sia proprio così grave come tutti gli organi di stampa dovrebbero già sapere sulla base degli stessi dati di domini pubblico che vi ho fornito sopra. Ve lo dimostro attraverso alcune fra le numerosissime dichiarazioni apparse.

  • Giorgio Parisi, presidente dell’Accademia dei Lincei e scienziato di fama internazionale Questa crescita esponenziale del contagio deve cessare ben prima del 15 aprile, data alla quale un’esponenziale non mitigata darebbe 60 milioni di infetti, ma certamente non saranno infettati tutti gli italiani <Perché una persona non può essere contagiata più di una volta in un breve periodo e quindi, con l’approssimarsi della quantità totale si auto estinguerebbe>. Il numero degli infetti quadruplica ogni cinque giorni. Se partiamo dai dati dell’8 marzo, 7375, e li moltiplichiamo per quattro arriviamo a 29500 il 13 marzo. Di nuovo, e il 18 marzo siamo a 118000, il 23 marzo a 472 mila, il 28 marzo a 1 milione 888 mila. E così via…… Noi abbiamo tutti gli strumenti per spezzare la velocità di questa curva esponenziale…. Dobbiamo impegnarci per metterli in atto, i nostri strumenti…. In Cina, e prendendo misure drastiche che sono state rispettate dai cittadini sono riusciti a far rallentare la velocità della curva esponenziale, dobbiamo prendere esempio da loro.
  • Antonio Pesenti, coordinatore dell’unità di crisi regione Lombardia per le terapie intensive. Il numero di ricoverati in ospedale previsto alla data del 26 marzo è di 18 mila malati lombardi, dei quali un numero compreso tra 2700 e 3200 richiederà il ricovero in terapia intensiva. Oggi ci sono già oltre mille pazienti tra quelli in rianimazione e quelli che rischiano di aggravarsi da un minuto all’altro.
  • Daniele Macchini, medico alle Cliniche Humanitas Gavazzeni. Cercherò di trasmettere alle persone non addette ai lavori e più lontane dalla nostra realtà cosa stiamo vivendo a Bergamo. Capisco la necessità di non crear panico, ma quando il messaggio della pericolosità di ciò che sta accadendo non arriva alle persone, e sento ancora chi se ne frega delle raccomandazioni e gente che si raggruppa lamentandosi di non poter andare in palestra, o poter fare tornei di calcetto, rabbrividisco. Capisco anche il danno economico e sono anch’io preoccupato di quello. Dopo l’epidemia il dramma sarà ripartire… Io stesso guardavo con un po’ di stupore le riorganizzazioni dell’intero ospedale nella settimana precedente, quando il nostro nemico attuale era ancora nell’ombra, i reparti pian piano letteralmente svuotati…..Tutta questa rapida trasformazione portava nei corridoi dell’ospedale un’atmosfera di silenzio e vuoto surreale che ancora non comprendevamo, in attesa di una guerra che doveva ancora iniziare….. Ricordo ancora la mia guardia di notte di una settimana fa passata inutilmente senza chiudere occhio, in attesa di una chiamata dalla microbiologia del Sacco. Aspettavo l’esito di un tampone sul primo paziente sospetto del nostro ospedale…..Se ci ripenso mi sembra quasi ridicola e ingiustificata la mia agitazione per un solo possibile caso, ora che ho visto quello che sta accadendo. Bene, la situazione ora è a dir poco drammatica. Non mi vengono altre parole in mente. La guerra è letteralmente esplosa e le battaglie sono ininterrotte giorno e notte. Uno dopo l’altro i poveri malcapitati si presentano in pronto soccorso. Hanno tutt’altro che le complicazioni di un’influenza. Piantiamola di dire che è una brutta influenza. I Bergamaschi… si sono comportati bene….hanno seguito tutte le indicazioni date: una settimana o dieci giorni a casa con la febbre senza uscire e rischiare di contagiare, ma ora non ce la fanno più. Non respirano abbastanza, hanno bisogno di ossigeno…. Il decorso dipende prevalentemente dal nostro organismo. Noi possiamo solo supportarlo quando non ce la fa più…… Ora però è arrivato quel bisogno di posti letto in tutta la sua drammaticità. Uno dopo l’altro i reparti che erano stati svuotati si riempiono a un ritmo impressionante. I tabelloni con i nomi dei malati…. Ora sono tutti rossi e al posto dell’intervento chirurgico c'è la diagnosi, che è sempre la stessa maledetta polmonite interstiziale bilaterale…. Il Covid 19 arriva direttamente negli alveoli dei polmoni e li infetta rendendoli incapaci di svolgere la loro funzione. L’insufficienza respiratoria che ne deriva è spesso grave e dopo pochi giorni di ricovero il semplice ossigeno che si può somministrare in un reparto può non bastare….La popolazione anziana è la più rappresentata nel nostro Paese e si fa fatica a trovare qualcuno che, sopra i 65 anni, non prenda almeno la pastiglia per la pressione o il diabete…. Vi assicuro poi che quando vedete gente giovane che finisce in terapia intensiva intubata, pronata, o peggio in ECMO, tutta questa tranquillità per la giovane età vi passa…. I casi si moltiplicano, arriviamo a ritmi di 15-20 ricoveri al giorno tutti per lo stesso motivo…. Improvvisamente il pronto soccorso è al collasso. Le disposizioni di emergenza vengono emanate: serve aiuto in pronto soccorso. Una rapida riunione per imparare come funziona il software di gestione del pronto soccorso, e pochi minuti dopo sono già di sotto, accanto ai guerrieri che stanno al fronte della guerra…. Tutti da ricoverare. Qualcuno già da intubare va in terapia intensiva. Per altri invece è tardi. La terapia intensiva diventa satura, e dove finisce la terapia intensiva se ne creano altre. Ogni ventilatore diventa come oro: quelli delle sale operatorie che hanno ormai sospeso la loro attività non urgente diventano posti da terapia intensiva che prima non esistevano…. Il personale è sfinito. Ho visto una solidarietà di tutti noi….Infermieri con le lacrime agli occhi perché non riusciamo a salvare tutti e i parametri vitali di più malati contemporaneamente rilevano un destino già segnato…..Perciò abbiate pazienza anche voi che non potete andare a teatro, nei musei o in palestra. Cercate di aver pietà per quella miriade di persone anziane che potreste sterminare. Non è colpa vostra, lo so, ma di chi vi mette in testa che si sta esagerando e anche questa testimonianza può sembrare proprio un’esagerazione per chi è lontano dall’epidemia, ma per favore, ascoltateci, cercate di uscire di casa solo per le cose indispensabili. Dite ai vostri familiari anziani o con altre malattie di stare in casa. Portategliela voi la spesa. Noi non abbiamo alternativa. E’ il nostro lavoro….
  • Cristian Salaroli, anestesista e rianimatore  dell’ospedale Papa Giovanni a Bergamo. In quei letti vengono ammessi solo donne e uomini con la polmonite da Covid 19, affetti da insufficienza respiratoria. Gli altri a casa……. Li mettiamo in ventilazione non invasiva, il primo passo è quello….Al mattino presto, con i curanti del pronto soccorso, passa il rianimatore. Il suo parere è molto importante…… Oltre all’età e al quadro generale, il terzo elemento è la capacità del paziente di guarire da un intervento rianimatorio….Questa indotta dal Covid 19 è una polmonite interstiziale, una forma molto aggressiva che impatta sull’ossigenazione del sangue. I pazienti più colpiti diventano ipossici ovvero non hanno più quantità sufficienti di ossigeno nell’organismo. <poi arriva il momento di scegliere> La ventilazione non invasiva è solo una fase di passaggio. Siccome purtroppo c’è sproporzione tra le risorse ospedaliere, i posti letto in terapia intensiva, e gli ammaliati critici, non tutti vengono intubati…. Diventa necessario ventilarli meccanicamente. Quelli su ci si sceglie di proseguire vengono tutti intubati e pronati, ovvero messi a pancia in giù, perché questa manovra può favorire la ventilazione delle zone basse del polmone…. Per consuetudine, anche se mi rendo conto che è una brutta parola, si valutano con molta attenzione i pazienti con gravi patologie cardiorespiratorie, e le persone con problemi gravi alle coronarie, perché tollerano male l’ipossia acuta e hanno poche probabilità di sopravvivere alla fase critica…. Se una persona tra gli 80 e i 95 anni ha una grave insufficienza respiratoria, verosimilmente non procedi. Se ha un’insufficienza multi organica di più di tre organi vitali, significa che ha un tasso di mortalità del cento per cento. Ormai è andato….. Anche questa è una frase terribile. Ma purtroppo è vera. Non siamo in condizione di tentare quelli che si chiamano miracoli. E’ la realtà….. Anche in tempi normali si valuta caso per caso, nei reparti si cerca di capire se il paziente può recuperare da qualunque intervento. Adesso questa discrezionalità la stiamo applicando su larga scala.

Per oggi basta. Non mi sarei mai aspettato che nella ricca e progredita Europa saremmo arrivati a questo in tempo di pace. Ma non siamo in un tempo di pace ormai e dobbiamo comportarci tutti di conseguenza.

La prossima volta vi parlerò degli altri Paesi Occidentali, che nel frattempo saranno arrivati dove siamo noi oggi. E delle lezioni che possiamo trarne.

 

PS. TUTTA ITALIA E’ IN ZONA CONTROLLATA. STAREMO A VEDERE. SECONDO ME IN LOMBARDIA NON BASTA. BISOGNA CHIUDERE TRASPORTI E UFFICI NON ESSENZIALI.

UN’IDEA POTREBBE ESSERE ANTICIPARE A MARZO LA CHIUSURA DI AGOSTO ED ESSERE QUINDI PRONTI A RIPARTIRE ALLA FINE DELL’EPIDEMIA

 

 

 

 

LA GRANDE EPIDEMIA IV PARTE

10 Marzo 2020

L’Europa sta reagendo bene?

Per tutta adunque la striscia di territorio percorsa dall’esercito s’era trovato qualche cadavere nelle case, qualcheduno sulla strada. Poco dopo, in questo e in quel paese, cominciarono ad ammalarsi, a morire, persone, famiglie, di mali violenti, strani, con segni sconosciuti alla più parte de’ viventi C’era soltanto alcuni a cui non riuscissero nuovi: que’ pochi che potessero ricordarsi della peste che, cinquantatré anni avanti, aveva desolato pure una buona parte d’Italia, e in ispecie il milanese…. Il protofisico Lodovico Settala, ché, non solo aveva veduta quella peste, ma n’era stato uno de’ più attivi e intrepidi, e, quantunque allor giovanissimo, de’ più riputati curatori; e che ora, in gran sospetto di questa, stava all’erta e sull’informazioni, riferì, il 20 d’ottobre, nel tribunale della sanità, come, nella terra di Chiuso (l’ultima del territorio di Lecco, e confinante col bergamasco), era scoppiato indubitabilmente il contagio. Non fu per questo presa veruna risoluzione, come si ha dal Ragguaglio del Tadino.  <A. Manzoni, I Promessi Sposi cap. XXXI>

Arrivato al crocicchio che divide la strada circa alla metà, e guardando dalle due parti, <Renzo> vide a dritta, in quella strada che si chiama lo stradone di Santa Teresa <a Milano>, un cittadino che veniva appunto verso di lui. “Un cristiano, finalmente!” disse tra sé; e si voltò subito da quella parte, pensando di farsi insegnar la strada da lui. Questo pure aveva visto il forestiero che s’avanzava; e andava squadrandolo da lontano, con uno sguardo sospettoso; e tanto più, quando s’accorse che, invece d’andarsene per i fatti suoi, gli veniva incontro. Renzo, quando fu poco distante, si levò il cappello, da quel montanaro rispettoso che era; e tenendolo con la sinistra, mise l’altra mano nel cocuzzolo, e andò più direttamente verso lo sconosciuto. Ma questo, stralunando gli occhi affatto, fece un passo addietro, alzò un noderoso bastone, e voltando la punta, ch’era di ferro, alla vita di Renzo, gridò: -via! via! via! <A. Manzoni I Promessi Sposi cap XXXIV>

Tutti, o quasi, i miei lettori a parte i più giovani hanno letto i Promessi Sposi al Liceo. Vi invito a leggere, o rileggere, i capitoli dal 31 in poi dove il Manzoni descrive la pestilenza del 1629-1630 a Milano. Chi non ha il libro a casa ne può trovare facilmente il testo su internet. E’ un’occasione appropriata per rendersi conto, attraverso le parole di uno dei più grandi scrittori italiani, di che cosa fosse un’epidemia in passato e quali ne fossero le conseguenze, oltre che alla salute, anche economiche e sociali. A parte questo però è utile per un confronto del passato con ciò che sta succedendo oggi. Vi avevo già detto, nella prima nota di questa serie, come la grande pestilenza del 1300 fosse iniziata proprio a Wuhan. Questa volta vi faccio notare altre coincidenze: il primo contagio in Europa arriva dalla Germania (da dove sembra che venga il Paziente 0 di questa epidemia, secondo gli ultimi studi); entra in Italia dal Lodigiano e dal Bergamasco; si tarda a riconoscerne i segni e le precauzioni da prendere, anche se l’epidemia precedente era avvenuta solo cinquant’anni prima, come oggi in cui più anziani di noi ricordano perfettamente due delle tre del ventesimo secolo; infine il fatto che il panico assieme all’indecisione di chi deve prendere provvedimenti, crei più problemi dell’epidemia stessa.

Oggi mi ripropongo di allargare lo sguardo a cosa sta succedendo nel mondo ed a come i vari Paesi lo stiano affrontando. Mi preme però fare una notazione iniziale. Sono in tanti in questo momento a dire “E’ colpa della globalizzazione e l’epidemia ne segna la fine”. Bene, la peste del ‘300 arrivò dalla Cina, quella del’600 dalla Germania, la provenienza della “Spagnola” e dell’“Asiatica” si deduce dal nome stesso; per non parlare del “mal francese”, la sifilide, e delle malattie che gli invasori europei portarono con se in Sud America e che  contribuirono a distruggere quelle civiltà. Tutto ciò non ha mai fermato la voglia, la necessità del mondo di collegarsi, come ben dimostra il mito di Ulisse. Ma di questo parleremo dopo.

Andiamo invece agli argomenti di oggi ed anzitutto alcuni di essi, che credo abbastanza fondamentali.

Come e quando l’epidemia è arrivata in Europa? 

Molti virologi hanno studiato il genoma di ogni corona virus isolato, sequenziato e depositato su banche dati pubbliche. Analizzando le loro mutazioni è possibile individuare i vari ceppi e ricostruirne gli spostamenti: qualcosa di simile a ciò che fanno i paleontologi. Si è scoperto che il virus non è arrivato in Italia attraverso un Cinese che ha contagiato il famoso paziente 1, il giovane di 38 anni che sta ancora in rianimazione. Il “paziente zero” in Europa viene dalla Germania e precisamente dalla Baviera. I primi tre casi noti fuori dalla Cina si sono verificati in Giappone, in Vietnam e finalmente in Germania il 19 gennaio. Ricordo che la prima segnalazione cinese all’OMS era stata il 31 dicembre e che il virus era stato sequenziato e pubblicato in Cina il 10 gennaio. Erano già passati quindi 19 giorni. Il 16 gennaio un’impiegata cinese di una società europea con filiali in Cina aveva incontrato a Shanghai alcuni parenti giunti lì per motivi familiari. Il 21 gennaio questa signora atterra a Monaco di Baviera per una riunione con la casa madre. Nessun sintomo. Ma una persona presente alla riunione, un uomo di 33 anni, quasi subito mostra sintomi influenzali, tosse e febbre alta. Il 26 gennaio, la signora Cinese torna in patria, ha la febbre, e scopre di avere il corona virus. Lo comunica in Germania, si fa il test ed ecco…… il virus è arrivato in Europa. In meno di una settimana sette dipendenti dell’azienda sono contagiati. Nessuno però in Germania e più in generale in Europa se ne preoccupa più di tanto. L’untore in Europa quindi non è italiano anche se ciò ha poca importanza, ma anche questo è oggetto di polemiche. Parleremo anche di questo. E’ però ora importante una notazione di Ilaria Capua, di cui vi ho parlato nell’ultima nota. Secondo lei, che sta studiando a fondo in Florida questo virus, i contagiati in Germania sono molti di più dei circa 500 di cui si parla in questi giorni (alla data della sua intervista). Ma per varie ragioni non sono stati fatti molti test, meno della metà di quelli fatti in Italia. E’ un fatto però che quest’anno l’influenza “normale” in Germania è stata molto dura, ed ha provocato 130 morti: quanti di essi erano da corona virus non diagnosticati?

Con questo non voglio affermare che la Germania abbia nascosto di proposito la diffusione sotterranea del virus, ma più semplicemente che in nessun Paese europeo si è dato peso a un’epidemia che già imperversava in Cina (ripeto ancora una volta che il mondo ne era a conoscenza dal 31 dicembre) e questa ha avuto modo di diffondersi in maniera sotterranea fino a quando non è scoppiata con la violenza che stiamo vedendo in questi giorni.

Quando abbiamo scoperto in Italia che il virus era arrivato da noi?

Questo è molto più facile. Il famigerato paziente 1 è un giovane (38 anni) che ha partecipato ad una cena con un collega arrivato dalla Cina, in un primo momento il sospetto paziente zero. Nei giorni successivi ha fatto la sua vita normale, una partita di calcetto, una gara podistica, incontri vari etc. Annalisa Malara, una giovane anestesista di Cremona che lavora all’ospedale di Codogno, ancora una volta una donna, ci racconta gli avvenimenti, ed anche questo è molto istruttivo.

“Mattia, il paziente 1, dal 14 febbraio aveva la solita influenza, che però non passava. Il 18 è venuto in pronto soccorso a Codogno e le lastre hanno evidenziato una leggera polmonite. Il profilo non autorizzava un ricovero coatto e lui ha preferito tornare a casa. Questione di poche ore: il 19 notte è rientrato: quella polmonite era già gravissima…. Il paziente, e tutti noi, siamo stati salvati da rapidità e gravità dell’attacco virale. Dalla medicina è arrivato in rianimazione. Quello che vedevo era impossibile. Questo è stato il passo falso che ha tradito il corona virus. Giovedì 20, a metà mattina, ho pensato che a quel punto l’impossibile non poteva più essere escluso….  Ho chiesto un’altra volta alla moglie se Mattia avesse avuto rapporti riconducibili alla Cina. Le è venuta in mente la cena con un collega, quello poi risultato negativo……<Per fare il tampone> ho dovuto chiedere l’autorizzazione all’azienda sanitaria. I protocolli italiani non lo giustificavano. Mi è stato detto che se lo ritenevo necessario e me ne assumevo la responsabilità potevo farlo…..Verso le 12.30 del 20 gennaio i mie colleghi ed io abbiamo scelto di fare qualcosa che la prassi non prevedeva. L’obbedienza alle regole mediche è tra le cause che ha permesso a questo virus di girare indisturbato per settimane…. Il tampone di Mattia è partito per l’ospedale Sacco prima delle 13.00 di giovedì. La telefonata che confermava il Covid-19 mi è arrivata poco dopo le 20.30. Nel frattempo io e i tre infermieri del reparto abbiamo indossato le protezioni suggerite per il corona virus. Questo eccesso di prudenza ci ha salvato… La fortuna, se insisti, ti aiuta. Se una persona sta male, una causa c’è. Se le cure non funzionano, devi tentare quello che non conosci. Il Covid-19 non aveva messo in conto che l’essere umano, pur di sopravvivere, non si rassegna… Speriamo di aver contribuito a dare tempo a colleghi e istituzioni, in Italia e in Europa. Abbiamo guadagnato giorni preziosi per il contrasto all’epidemia. Se anche i cittadini li usano bene, rispettando indicazioni e misure di prevenzione, molti potranno guarire ed altri eviteranno il contagio”. Questo si che è un medico.

Qual è la situazione oggi?

Non sono un medico e tanto meno un virologo, ma ho una certa pratica di numeri e di statistiche, e questi valgono in ogni attività umana. Ho quindi messo in fila alcuni numeri che ogni giorno l’OMS pubblica in tutto il mondo e ne ho ricavato alcuni grafici, che sono in fondo a questa nota. Sono certo che gli specialisti ne hanno a disposizione di ben più accurati e questo spiega le loro preoccupazioni. Non ho però visto fino ad ora alcun articolo sulla stampa che ne parli e credo quindi che possano interessarvi. Ne ho fatto di due tipi. La prima serie riguarda il numero di contagi fino ad ora. Intendo dire tutte le persone che, per quanto ne sappiamo, sono state contagiate, cioè gli ammalati, più i guariti, più i deceduti. Esiste infatti uno sfalsamento temporale fra quando si scopre la malattia e quando si risolve in maniera fausta o talvolta infausta. Ne consegue che i guariti di oggi dovrebbero essere messi in relazione con i malati del passato in un tempo variabile da qualche giorno per i casi più lievi fino ad oltre un mese per le forme molto gravi. Ovviamente non compare un numero, probabilmente abbastanza grande di persone che, specie nel passato, non si sono rese conto di essere state contagiate oppure la malattia non è stata diagnosticata in maniera appropriata. Probabilmente gli specialisti sono in grado di fare questa stima. La seconda serie di figure è anche più interessante. Essa ci mostra la quantità di casi che si sono verificati ogni due giorni. Fino a che questo numero cresce vuol dire che  la velocità di contagio sta crescendo. Quando questa curva comincia stabilmente a calare significa che le misure intraprese sono valide e stiamo cominciando a contrastare efficacemente il virus. Ripeto è un’analisi molto semplificata, lasciamo a chi ha più dati a disposizione, di studiare a fondo la materia e decidere le misure più opportune, ma almeno in questo modo possiamo evitare sia un’accettazione fideistica di quanto ci viene detto come, al contrario, un’opposizione preconcetta. E’ vero, in Italia siamo tutti allenatori della nazionale di calcio ma questa faccenda, lasciatemelo dire, è un po’ più seria.

Allora, date un’occhiata a questi dati e poi ritorniamo all’articolo.

Sono stati abbastanza chiari? Spero di si, ma, a mio avviso, la moltitudine di articoli e di talk show che si susseguono ogni giorno avrebbero avuto la possibilità di ottenere grafici analoghi, più completi, precisi e soprattutto autorevoli di quelli vi ho mostrato io. Per altro ho elaborato dati pubblicati ogni giorno dall’OMS. Avrei potuto anch’io fare qualcosa di più preciso usando regressioni matematiche etc. ma l’importante è il concetto sottostante che vi riassumo.

La Cina

  • Il 23 gennaio la città di Wuhuan, e subito dopo tutta la provincia dell’Hubei (circa 55 milioni di abitanti) è stata isolata dal resto della Cina e del mondo. Bloccati trasporti pubblici, manifestazioni di alcun genere, chiusi tutti i luoghi di lavoro e le scuole. Si sono mantenuti in funzione solo i negozi che vendevano generi di prima necessità ed i servizi essenziali. I cittadini erano liberi di circolare solo all’interno dei complessi residenziali in cui abitavano con continui controlli della temperatura. In un primo momento le diverse famiglie si consorziavano in modo da comprare a turno i generi di prima necessità. Successivamente fu messo in funzione un servizio pubblico che riceveva le richieste con un messaggio via Wechat (il whatsapp cinese), faceva gli acquisti, li consegnava alla porta del complesso residenziale e veniva pagato sempre via Wechat senza alcun contatto diretto. Alcuni droni sorvegliavano le strade dall’alto, e, vedendo qualche passante, si abbassavano ed un altoparlante chiedeva il motivo per cui fosse all’aperto e, se non ritenuto sufficiente, lo rimandava a casa. Di tutto ciò ho visto direttamente un filmato che, vi assicuro, è impressionante. A parte questo, come tutti sapete furono realizzati due ospedali in dieci giorni e numerosi ricoveri temporanei in tenda, come oggi da noi
  • Il resto della Cina si preparava all’esodo epocale per festeggiare con le famiglie il Capodanno (il 24 gennaio). All’insorgere dell’epidemia tutti gli spostamenti furono sconsigliati e solamente una parte delle persone (i primi a partire) riuscirono a mettere in pratica i propri programmi. Ma non fu un vantaggio.
  • Con il progredire dell’epidemia anche nel resto della Cina furono adottate misure drastiche. Le scuole e le università furono chiuse e sostituite immediatamente da un sistema di tele-insegnamento, i trasporti pubblici chiusi, come pure cinema, teatri etc. Le tradizionali vacanze per lo Spring festival (normalmente almeno una settimana) vennero prolungate e quindi uffici e fabbriche chiusi. Le persone potevano uscire di casa ma con precauzioni rigide. Tutti ovviamente con le mascherine, ingressi contingentati nei supermercati, distanza di 1.5 metri fra le persone. Un distributore di tovagliolini negli ascensori con i quali premere i pulsanti etc. All’ingresso dei comprensori abitativi e dei negozi c’era la misurazione della temperatura, e chiunque fosse entrato in un comprensorio diverso dalla sua abitazione doveva essere identificato e fornire una reperibilità. Tutto questo per 1.4 miliardi di persone.
  • Finito il periodo di vacanze si decise che solo uffici o ruoli assolutamente indispensabili avrebbero ripreso il lavoro tradizionale. Gli altri avrebbero dovuto lavorare in teleconferenza. Inoltre, chi fosse andato fuori dalla sua città di lavoro al momento del ritorno avrebbe dovuto effettuare un periodo di quarantena a casa. In questo periodo le persone “in ufficio” erano circa il 10% dell’organico. Alla fine di febbraio alcune fabbriche sono state riaperte, gli uffici hanno raggiunto una presenza fisica del 50% (il resto in tele lavoro) e si spera di ritornare alla quasi normalità entro la fine di marzo. A Pechino, centro di governo del Paese, le misure per evitare il diffondersi dell’epidemia sono state anche più drastiche Ovviamente negli uffici le misure di prevenzione continuano ad essere severe. In mensa vengono dati “lunch boxes” da consumare all’aperto, nei campus, oppure nel proprio ufficio; le mascherine, anche in ufficio, sono obbligatorie; le riunioni vengono effettuate con i partecipanti lontani uno dall’altro, etc.
  • I risultati sono evidenziati dai grafici. Si vede che l’epidemia si è praticamente fermata, ma soprattutto che il suo picco, la velocità di propagazione, è stato raggiunto nella prima decade di febbraio. Questi sono i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha monitorato tutto l’andamento dell’epidemia ed ha ufficialmente lodato la Cina per la maniera in cui la ha governata, dando il tempo al mondo di prepararsi.
  • Al momento in cui furono prese queste misure, si disse (Corriere della Sera) che esse costituivano una violazione dei diritti umani, possibile solo in un regime dittatoriale. Ora la capacità della Cina di contenere l’epidemia è stata riconosciuta ma ancora adesso si sostiene che da noi non sarebbe possibile limitare in questo modo la libertà individuale. Si dice anche che queste misure creerebbero la distruzione della nostra economia. Parliamo quindi dell’Italia, dell’Europa e degli USA.

L’Italia

  • Domenica mattina stavo per pubblicare questa nota quando, appena sveglio, ho saputo delle novità annunziate dal nostro Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e ho dovuto riscrivere la parte dedicata al nostro Paese. Non posso fare a meno di ricordare e raccontarvi una barzelletta risalente al suo primo governo. Riunione a Palazzo Chigi: “dov’è il Presidente? – chiede un ministro, e subito la risposta di uno dei suoi Vice - Non preoccupatevi, cominciamo pure, lo abbiamo mandato a comprare i tramezzini”. Eppure questo Professore, sconosciuto al di fuori del mondo accademico, è stato capace di assumersi personalmente la responsabilità di una delle decisioni più difficili e contestate dalla fine della seconda Guerra mondiale. Una decisione assolutamente impopolare, a cui si opposero già la mattina dopo, a vari livelli, i governatori di tutte le regioni del Nord Italia, che pure erano stati interpellati fino alle due della notte.

Zaia: Sono misure esagerate, al momento per noi non hanno una ratio….La misura di isolamento estremo non ha avuto nessun conforto né scientifico, né di lealtà istituzionale con i tecnici della Regione Veneto che da mesi seguono l’evolversi della situazione…. L’ultimo contatto con Conte è stato prima di mezzanotte”

Fontana: La bozza del provvedimento del governo che ho ricevuto solo in serata sembra andare nella direzione del contenimento della diffusione del virus…..Ciò detto non posso non evidenziare che la bozza del DPCM, è, a dir poco, pasticciata”

Bonaccini: Noi stessi, come governatori, avevamo parlato della necessità di misure più restrittive, visti i dati di crescita dei contagi…… Ci siamo trovati a dover dare un parere in pochissimo tempo, mentre la bozza era già di dominio pubblico e si diffondeva la notizia di zone rosse allargate, impossibilità di spostamenti, blocchi produttivi. Per questo abbiamo chiesto tempo. L’obiettivo non è in discussione, ma vogliamo arrivarci dando informazioni chiare e precise

Fontana di nuovo: I cittadini, i lavoratori potranno muoversi con assoluta libertà senza subire vincoli e condizionamenti: Questa cosa si deve chiarire subito perché domani l’attività della Lombardia deve essere normale ed efficace”. Dietro le parole che i cittadini possono spostarsi per “comprovate esigenze lavorative” c’è un piccolo mistero. Le prime bozze del DPCM recitavano “indifferibili esigenze lavorative”. La differenza è enorme. Nel secondo caso infatti non sarebbe stata possibile un’attività nella regione Lombardia “normale ed efficace” come ritengono fondamentale sia Fontana che ASSOLOMBARDA. Sono sufficienti queste misure molto alleggerite? Andranno bene oppure l’avvicinarsi del disastro obbligherà il governo a scelte dolorosissime? Certo, alla luce di quanto appena detto,  le regioni e le altre parti istituzionali non possono dire di non aver influito notevolmente alla decisione del governo e tirarsene fuori. Per questo sostengo che il Prof. Conti sia oggi da ringraziare, in un’Italia in cui ogni decisione richiede mesi se non anni. Possiamo oggi dire che egli sia il vero gestore di questa crisi, con la legittimazione esplicita del Presidente Mattarella che ha ricordato nel suo videomessaggio come le necessarie decisioni spettino al governo in collaborazione con le Regioni. Forse, alla luce di ciò che è accaduto in questo fine settimana, si capisce il vero motivo del messaggio alla nazione del Presidente della Repubblica.

C’è da chiedersi a questo punto se la situazione sia proprio così grave come tutti gli organi di stampa dovrebbero già sapere sulla base degli stessi dati di domini pubblico che vi ho fornito sopra. Ve lo dimostro attraverso alcune fra le numerosissime dichiarazioni apparse.

  • Giorgio Parisi, presidente dell’Accademia dei Lincei e scienziato di fama internazionale Questa crescita esponenziale del contagio deve cessare ben prima del 15 aprile, data alla quale un’esponenziale non mitigata darebbe 60 milioni di infetti, ma certamente non saranno infettati tutti gli italiani <Perché una persona non può essere contagiata più di una volta in un breve periodo e quindi, con l’approssimarsi della quantità totale si auto estinguerebbe>. Il numero degli infetti quadruplica ogni cinque giorni. Se partiamo dai dati dell’8 marzo, 7375, e li moltiplichiamo per quattro arriviamo a 29500 il 13 marzo. Di nuovo, e il 18 marzo siamo a 118000, il 23 marzo a 472 mila, il 28 marzo a 1 milione 888 mila. E così via…… Noi abbiamo tutti gli strumenti per spezzare la velocità di questa curva esponenziale…. Dobbiamo impegnarci per metterli in atto, i nostri strumenti…. In Cina, e prendendo misure drastiche che sono state rispettate dai cittadini sono riusciti a far rallentare la velocità della curva esponenziale, dobbiamo prendere esempio da loro.
  • Antonio Pesenti, coordinatore dell’unità di crisi regione Lombardia per le terapie intensive. Il numero di ricoverati in ospedale previsto alla data del 26 marzo è di 18 mila malati lombardi, dei quali un numero compreso tra 2700 e 3200 richiederà il ricovero in terapia intensiva. Oggi ci sono già oltre mille pazienti tra quelli in rianimazione e quelli che rischiano di aggravarsi da un minuto all’altro.
  • Daniele Macchini, medico alle Cliniche Humanitas Gavazzeni. Cercherò di trasmettere alle persone non addette ai lavori e più lontane dalla nostra realtà cosa stiamo vivendo a Bergamo. Capisco la necessità di non crear panico, ma quando il messaggio della pericolosità di ciò che sta accadendo non arriva alle persone, e sento ancora chi se ne frega delle raccomandazioni e gente che si raggruppa lamentandosi di non poter andare in palestra, o poter fare tornei di calcetto, rabbrividisco. Capisco anche il danno economico e sono anch’io preoccupato di quello. Dopo l’epidemia il dramma sarà ripartire… Io stesso guardavo con un po’ di stupore le riorganizzazioni dell’intero ospedale nella settimana precedente, quando il nostro nemico attuale era ancora nell’ombra, i reparti pian piano letteralmente svuotati…..Tutta questa rapida trasformazione portava nei corridoi dell’ospedale un’atmosfera di silenzio e vuoto surreale che ancora non comprendevamo, in attesa di una guerra che doveva ancora iniziare….. Ricordo ancora la mia guardia di notte di una settimana fa passata inutilmente senza chiudere occhio, in attesa di una chiamata dalla microbiologia del Sacco. Aspettavo l’esito di un tampone sul primo paziente sospetto del nostro ospedale…..Se ci ripenso mi sembra quasi ridicola e ingiustificata la mia agitazione per un solo possibile caso, ora che ho visto quello che sta accadendo. Bene, la situazione ora è a dir poco drammatica. Non mi vengono altre parole in mente. La guerra è letteralmente esplosa e le battaglie sono ininterrotte giorno e notte. Uno dopo l’altro i poveri malcapitati si presentano in pronto soccorso. Hanno tutt’altro che le complicazioni di un’influenza. Piantiamola di dire che è una brutta influenza. I Bergamaschi… si sono comportati bene….hanno seguito tutte le indicazioni date: una settimana o dieci giorni a casa con la febbre senza uscire e rischiare di contagiare, ma ora non ce la fanno più. Non respirano abbastanza, hanno bisogno di ossigeno…. Il decorso dipende prevalentemente dal nostro organismo. Noi possiamo solo supportarlo quando non ce la fa più…… Ora però è arrivato quel bisogno di posti letto in tutta la sua drammaticità. Uno dopo l’altro i reparti che erano stati svuotati si riempiono a un ritmo impressionante. I tabelloni con i nomi dei malati…. Ora sono tutti rossi e al posto dell’intervento chirurgico c'è la diagnosi, che è sempre la stessa maledetta polmonite interstiziale bilaterale…. Il Covid 19 arriva direttamente negli alveoli dei polmoni e li infetta rendendoli incapaci di svolgere la loro funzione. L’insufficienza respiratoria che ne deriva è spesso grave e dopo pochi giorni di ricovero il semplice ossigeno che si può somministrare in un reparto può non bastare….La popolazione anziana è la più rappresentata nel nostro Paese e si fa fatica a trovare qualcuno che, sopra i 65 anni, non prenda almeno la pastiglia per la pressione o il diabete…. Vi assicuro poi che quando vedete gente giovane che finisce in terapia intensiva intubata, pronata, o peggio in ECMO, tutta questa tranquillità per la giovane età vi passa…. I casi si moltiplicano, arriviamo a ritmi di 15-20 ricoveri al giorno tutti per lo stesso motivo…. Improvvisamente il pronto soccorso è al collasso. Le disposizioni di emergenza vengono emanate: serve aiuto in pronto soccorso. Una rapida riunione per imparare come funziona il software di gestione del pronto soccorso, e pochi minuti dopo sono già di sotto, accanto ai guerrieri che stanno al fronte della guerra…. Tutti da ricoverare. Qualcuno già da intubare va in terapia intensiva. Per altri invece è tardi. La terapia intensiva diventa satura, e dove finisce la terapia intensiva se ne creano altre. Ogni ventilatore diventa come oro: quelli delle sale operatorie che hanno ormai sospeso la loro attività non urgente diventano posti da terapia intensiva che prima non esistevano…. Il personale è sfinito. Ho visto una solidarietà di tutti noi….Infermieri con le lacrime agli occhi perché non riusciamo a salvare tutti e i parametri vitali di più malati contemporaneamente rilevano un destino già segnato…..Perciò abbiate pazienza anche voi che non potete andare a teatro, nei musei o in palestra. Cercate di aver pietà per quella miriade di persone anziane che potreste sterminare. Non è colpa vostra, lo so, ma di chi vi mette in testa che si sta esagerando e anche questa testimonianza può sembrare proprio un’esagerazione per chi è lontano dall’epidemia, ma per favore, ascoltateci, cercate di uscire di casa solo per le cose indispensabili. Dite ai vostri familiari anziani o con altre malattie di stare in casa. Portategliela voi la spesa. Noi non abbiamo alternativa. E’ il nostro lavoro….
  • Cristian Salaroli, anestesista e rianimatore  dell’ospedale Papa Giovanni a Bergamo. In quei letti vengono ammessi solo donne e uomini con la polmonite da Covid 19, affetti da insufficienza respiratoria. Gli altri a casa……. Li mettiamo in ventilazione non invasiva, il primo passo è quello….Al mattino presto, con i curanti del pronto soccorso, passa il rianimatore. Il suo parere è molto importante…… Oltre all’età e al quadro generale, il terzo elemento è la capacità del paziente di guarire da un intervento rianimatorio….Questa indotta dal Covid 19 è una polmonite interstiziale, una forma molto aggressiva che impatta sull’ossigenazione del sangue. I pazienti più colpiti diventano ipossici ovvero non hanno più quantità sufficienti di ossigeno nell’organismo. <poi arriva il momento di scegliere> La ventilazione non invasiva è solo una fase di passaggio. Siccome purtroppo c’è sproporzione tra le risorse ospedaliere, i posti letto in terapia intensiva, e gli ammaliati critici, non tutti vengono intubati…. Diventa necessario ventilarli meccanicamente. Quelli su ci si sceglie di proseguire vengono tutti intubati e pronati, ovvero messi a pancia in giù, perché questa manovra può favorire la ventilazione delle zone basse del polmone…. Per consuetudine, anche se mi rendo conto che è una brutta parola, si valutano con molta attenzione i pazienti con gravi patologie cardiorespiratorie, e le persone con problemi gravi alle coronarie, perché tollerano male l’ipossia acuta e hanno poche probabilità di sopravvivere alla fase critica…. Se una persona tra gli 80 e i 95 anni ha una grave insufficienza respiratoria, verosimilmente non procedi. Se ha un’insufficienza multi organica di più di tre organi vitali, significa che ha un tasso di mortalità del cento per cento. Ormai è andato….. Anche questa è una frase terribile. Ma purtroppo è vera. Non siamo in condizione di tentare quelli che si chiamano miracoli. E’ la realtà….. Anche in tempi normali si valuta caso per caso, nei reparti si cerca di capire se il paziente può recuperare da qualunque intervento. Adesso questa discrezionalità la stiamo applicando su larga scala.

Per oggi basta. Non mi sarei mai aspettato che nella ricca e progredita Europa saremmo arrivati a questo in tempo di pace. Ma non siamo in un tempo di pace ormai e dobbiamo comportarci tutti di conseguenza.

La prossima volta vi parlerò degli altri Paesi Occidentali, che nel frattempo saranno arrivati dove siamo noi oggi. E delle lezioni che possiamo trarne.

 

PS. TUTTA ITALIA E’ IN ZONA CONTROLLATA. STAREMO A VEDERE. SECONDO ME IN LOMBARDIA NON BASTA. BISOGNA CHIUDERE TRASPORTI E UFFICI NON ESSENZIALI.

UN’IDEA POTREBBE ESSERE ANTICIPARE A MARZO LA CHIUSURA DI AGOSTO ED ESSERE QUINDI PRONTI A RIPARTIRE ALLA FINE DELL’EPIDEMIA

 

 

 

 

LA GRANDE EPIDEMIA III PARTE

10 Marzo 2020

L’Europa sta reagendo bene?

Per tutta adunque la striscia di territorio percorsa dall’esercito s’era trovato qualche cadavere nelle case, qualcheduno sulla strada. Poco dopo, in questo e in quel paese, cominciarono ad ammalarsi, a morire, persone, famiglie, di mali violenti, strani, con segni sconosciuti alla più parte de’ viventi C’era soltanto alcuni a cui non riuscissero nuovi: que’ pochi che potessero ricordarsi della peste che, cinquantatré anni avanti, aveva desolato pure una buona parte d’Italia, e in ispecie il milanese…. Il protofisico Lodovico Settala, ché, non solo aveva veduta quella peste, ma n’era stato uno de’ più attivi e intrepidi, e, quantunque allor giovanissimo, de’ più riputati curatori; e che ora, in gran sospetto di questa, stava all’erta e sull’informazioni, riferì, il 20 d’ottobre, nel tribunale della sanità, come, nella terra di Chiuso (l’ultima del territorio di Lecco, e confinante col bergamasco), era scoppiato indubitabilmente il contagio. Non fu per questo presa veruna risoluzione, come si ha dal Ragguaglio del Tadino.  <A. Manzoni, I Promessi Sposi cap. XXXI>

Arrivato al crocicchio che divide la strada circa alla metà, e guardando dalle due parti, <Renzo> vide a dritta, in quella strada che si chiama lo stradone di Santa Teresa <a Milano>, un cittadino che veniva appunto verso di lui. “Un cristiano, finalmente!” disse tra sé; e si voltò subito da quella parte, pensando di farsi insegnar la strada da lui. Questo pure aveva visto il forestiero che s’avanzava; e andava squadrandolo da lontano, con uno sguardo sospettoso; e tanto più, quando s’accorse che, invece d’andarsene per i fatti suoi, gli veniva incontro. Renzo, quando fu poco distante, si levò il cappello, da quel montanaro rispettoso che era; e tenendolo con la sinistra, mise l’altra mano nel cocuzzolo, e andò più direttamente verso lo sconosciuto. Ma questo, stralunando gli occhi affatto, fece un passo addietro, alzò un noderoso bastone, e voltando la punta, ch’era di ferro, alla vita di Renzo, gridò: -via! via! via! <A. Manzoni I Promessi Sposi cap XXXIV>

Tutti, o quasi, i miei lettori a parte i più giovani hanno letto i Promessi Sposi al Liceo. Vi invito a leggere, o rileggere, i capitoli dal 31 in poi dove il Manzoni descrive la pestilenza del 1629-1630 a Milano. Chi non ha il libro a casa ne può trovare facilmente il testo su internet. E’ un’occasione appropriata per rendersi conto, attraverso le parole di uno dei più grandi scrittori italiani, di che cosa fosse un’epidemia in passato e quali ne fossero le conseguenze, oltre che alla salute, anche economiche e sociali. A parte questo però è utile per un confronto del passato con ciò che sta succedendo oggi. Vi avevo già detto, nella prima nota di questa serie, come la grande pestilenza del 1300 fosse iniziata proprio a Wuhan. Questa volta vi faccio notare altre coincidenze: il primo contagio in Europa arriva dalla Germania (da dove sembra che venga il Paziente 0 di questa epidemia, secondo gli ultimi studi); entra in Italia dal Lodigiano e dal Bergamasco; si tarda a riconoscerne i segni e le precauzioni da prendere, anche se l’epidemia precedente era avvenuta solo cinquant’anni prima, come oggi in cui più anziani di noi ricordano perfettamente due delle tre del ventesimo secolo; infine il fatto che il panico assieme all’indecisione di chi deve prendere provvedimenti, crei più problemi dell’epidemia stessa.

Oggi mi ripropongo di allargare lo sguardo a cosa sta succedendo nel mondo ed a come i vari Paesi lo stiano affrontando. Mi preme però fare una notazione iniziale. Sono in tanti in questo momento a dire “E’ colpa della globalizzazione e l’epidemia ne segna la fine”. Bene, la peste del ‘300 arrivò dalla Cina, quella del’600 dalla Germania, la provenienza della “Spagnola” e dell’“Asiatica” si deduce dal nome stesso; per non parlare del “mal francese”, la sifilide, e delle malattie che gli invasori europei portarono con se in Sud America e che  contribuirono a distruggere quelle civiltà. Tutto ciò non ha mai fermato la voglia, la necessità del mondo di collegarsi, come ben dimostra il mito di Ulisse. Ma di questo parleremo dopo.

Andiamo invece agli argomenti di oggi ed anzitutto alcuni di essi, che credo abbastanza fondamentali.

Come e quando l’epidemia è arrivata in Europa? 

Molti virologi hanno studiato il genoma di ogni corona virus isolato, sequenziato e depositato su banche dati pubbliche. Analizzando le loro mutazioni è possibile individuare i vari ceppi e ricostruirne gli spostamenti: qualcosa di simile a ciò che fanno i paleontologi. Si è scoperto che il virus non è arrivato in Italia attraverso un Cinese che ha contagiato il famoso paziente 1, il giovane di 38 anni che sta ancora in rianimazione. Il “paziente zero” in Europa viene dalla Germania e precisamente dalla Baviera. I primi tre casi noti fuori dalla Cina si sono verificati in Giappone, in Vietnam e finalmente in Germania il 19 gennaio. Ricordo che la prima segnalazione cinese all’OMS era stata il 31 dicembre e che il virus era stato sequenziato e pubblicato in Cina il 10 gennaio. Erano già passati quindi 19 giorni. Il 16 gennaio un’impiegata cinese di una società europea con filiali in Cina aveva incontrato a Shanghai alcuni parenti giunti lì per motivi familiari. Il 21 gennaio questa signora atterra a Monaco di Baviera per una riunione con la casa madre. Nessun sintomo. Ma una persona presente alla riunione, un uomo di 33 anni, quasi subito mostra sintomi influenzali, tosse e febbre alta. Il 26 gennaio, la signora Cinese torna in patria, ha la febbre, e scopre di avere il corona virus. Lo comunica in Germania, si fa il test ed ecco…… il virus è arrivato in Europa. In meno di una settimana sette dipendenti dell’azienda sono contagiati. Nessuno però in Germania e più in generale in Europa se ne preoccupa più di tanto. L’untore in Europa quindi non è italiano anche se ciò ha poca importanza, ma anche questo è oggetto di polemiche. Parleremo anche di questo. E’ però ora importante una notazione di Ilaria Capua, di cui vi ho parlato nell’ultima nota. Secondo lei, che sta studiando a fondo in Florida questo virus, i contagiati in Germania sono molti di più dei circa 500 di cui si parla in questi giorni (alla data della sua intervista). Ma per varie ragioni non sono stati fatti molti test, meno della metà di quelli fatti in Italia. E’ un fatto però che quest’anno l’influenza “normale” in Germania è stata molto dura, ed ha provocato 130 morti: quanti di essi erano da corona virus non diagnosticati?

Con questo non voglio affermare che la Germania abbia nascosto di proposito la diffusione sotterranea del virus, ma più semplicemente che in nessun Paese europeo si è dato peso a un’epidemia che già imperversava in Cina (ripeto ancora una volta che il mondo ne era a conoscenza dal 31 dicembre) e questa ha avuto modo di diffondersi in maniera sotterranea fino a quando non è scoppiata con la violenza che stiamo vedendo in questi giorni.

Quando abbiamo scoperto in Italia che il virus era arrivato da noi?

Questo è molto più facile. Il famigerato paziente 1 è un giovane (38 anni) che ha partecipato ad una cena con un collega arrivato dalla Cina, in un primo momento il sospetto paziente zero. Nei giorni successivi ha fatto la sua vita normale, una partita di calcetto, una gara podistica, incontri vari etc. Annalisa Malara, una giovane anestesista di Cremona che lavora all’ospedale di Codogno, ancora una volta una donna, ci racconta gli avvenimenti, ed anche questo è molto istruttivo.

“Mattia, il paziente 1, dal 14 febbraio aveva la solita influenza, che però non passava. Il 18 è venuto in pronto soccorso a Codogno e le lastre hanno evidenziato una leggera polmonite. Il profilo non autorizzava un ricovero coatto e lui ha preferito tornare a casa. Questione di poche ore: il 19 notte è rientrato: quella polmonite era già gravissima…. Il paziente, e tutti noi, siamo stati salvati da rapidità e gravità dell’attacco virale. Dalla medicina è arrivato in rianimazione. Quello che vedevo era impossibile. Questo è stato il passo falso che ha tradito il corona virus. Giovedì 20, a metà mattina, ho pensato che a quel punto l’impossibile non poteva più essere escluso….  Ho chiesto un’altra volta alla moglie se Mattia avesse avuto rapporti riconducibili alla Cina. Le è venuta in mente la cena con un collega, quello poi risultato negativo……<Per fare il tampone> ho dovuto chiedere l’autorizzazione all’azienda sanitaria. I protocolli italiani non lo giustificavano. Mi è stato detto che se lo ritenevo necessario e me ne assumevo la responsabilità potevo farlo…..Verso le 12.30 del 20 gennaio i mie colleghi ed io abbiamo scelto di fare qualcosa che la prassi non prevedeva. L’obbedienza alle regole mediche è tra le cause che ha permesso a questo virus di girare indisturbato per settimane…. Il tampone di Mattia è partito per l’ospedale Sacco prima delle 13.00 di giovedì. La telefonata che confermava il Covid-19 mi è arrivata poco dopo le 20.30. Nel frattempo io e i tre infermieri del reparto abbiamo indossato le protezioni suggerite per il corona virus. Questo eccesso di prudenza ci ha salvato… La fortuna, se insisti, ti aiuta. Se una persona sta male, una causa c’è. Se le cure non funzionano, devi tentare quello che non conosci. Il Covid-19 non aveva messo in conto che l’essere umano, pur di sopravvivere, non si rassegna… Speriamo di aver contribuito a dare tempo a colleghi e istituzioni, in Italia e in Europa. Abbiamo guadagnato giorni preziosi per il contrasto all’epidemia. Se anche i cittadini li usano bene, rispettando indicazioni e misure di prevenzione, molti potranno guarire ed altri eviteranno il contagio”. Questo si che è un medico.

Qual è la situazione oggi?

Non sono un medico e tanto meno un virologo, ma ho una certa pratica di numeri e di statistiche, e questi valgono in ogni attività umana. Ho quindi messo in fila alcuni numeri che ogni giorno l’OMS pubblica in tutto il mondo e ne ho ricavato alcuni grafici, che sono in fondo a questa nota. Sono certo che gli specialisti ne hanno a disposizione di ben più accurati e questo spiega le loro preoccupazioni. Non ho però visto fino ad ora alcun articolo sulla stampa che ne parli e credo quindi che possano interessarvi. Ne ho fatto di due tipi. La prima serie riguarda il numero di contagi fino ad ora. Intendo dire tutte le persone che, per quanto ne sappiamo, sono state contagiate, cioè gli ammalati, più i guariti, più i deceduti. Esiste infatti uno sfalsamento temporale fra quando si scopre la malattia e quando si risolve in maniera fausta o talvolta infausta. Ne consegue che i guariti di oggi dovrebbero essere messi in relazione con i malati del passato in un tempo variabile da qualche giorno per i casi più lievi fino ad oltre un mese per le forme molto gravi. Ovviamente non compare un numero, probabilmente abbastanza grande di persone che, specie nel passato, non si sono rese conto di essere state contagiate oppure la malattia non è stata diagnosticata in maniera appropriata. Probabilmente gli specialisti sono in grado di fare questa stima. La seconda serie di figure è anche più interessante. Essa ci mostra la quantità di casi che si sono verificati ogni due giorni. Fino a che questo numero cresce vuol dire che  la velocità di contagio sta crescendo. Quando questa curva comincia stabilmente a calare significa che le misure intraprese sono valide e stiamo cominciando a contrastare efficacemente il virus. Ripeto è un’analisi molto semplificata, lasciamo a chi ha più dati a disposizione, di studiare a fondo la materia e decidere le misure più opportune, ma almeno in questo modo possiamo evitare sia un’accettazione fideistica di quanto ci viene detto come, al contrario, un’opposizione preconcetta. E’ vero, in Italia siamo tutti allenatori della nazionale di calcio ma questa faccenda, lasciatemelo dire, è un po’ più seria.

Allora, date un’occhiata a questi dati e poi ritorniamo all’articolo.

Sono stati abbastanza chiari? Spero di si, ma, a mio avviso, la moltitudine di articoli e di talk show che si susseguono ogni giorno avrebbero avuto la possibilità di ottenere grafici analoghi, più completi, precisi e soprattutto autorevoli di quelli vi ho mostrato io. Per altro ho elaborato dati pubblicati ogni giorno dall’OMS. Avrei potuto anch’io fare qualcosa di più preciso usando regressioni matematiche etc. ma l’importante è il concetto sottostante che vi riassumo.

La Cina

  • Il 23 gennaio la città di Wuhuan, e subito dopo tutta la provincia dell’Hubei (circa 55 milioni di abitanti) è stata isolata dal resto della Cina e del mondo. Bloccati trasporti pubblici, manifestazioni di alcun genere, chiusi tutti i luoghi di lavoro e le scuole. Si sono mantenuti in funzione solo i negozi che vendevano generi di prima necessità ed i servizi essenziali. I cittadini erano liberi di circolare solo all’interno dei complessi residenziali in cui abitavano con continui controlli della temperatura. In un primo momento le diverse famiglie si consorziavano in modo da comprare a turno i generi di prima necessità. Successivamente fu messo in funzione un servizio pubblico che riceveva le richieste con un messaggio via Wechat (il whatsapp cinese), faceva gli acquisti, li consegnava alla porta del complesso residenziale e veniva pagato sempre via Wechat senza alcun contatto diretto. Alcuni droni sorvegliavano le strade dall’alto, e, vedendo qualche passante, si abbassavano ed un altoparlante chiedeva il motivo per cui fosse all’aperto e, se non ritenuto sufficiente, lo rimandava a casa. Di tutto ciò ho visto direttamente un filmato che, vi assicuro, è impressionante. A parte questo, come tutti sapete furono realizzati due ospedali in dieci giorni e numerosi ricoveri temporanei in tenda, come oggi da noi
  • Il resto della Cina si preparava all’esodo epocale per festeggiare con le famiglie il Capodanno (il 24 gennaio). All’insorgere dell’epidemia tutti gli spostamenti furono sconsigliati e solamente una parte delle persone (i primi a partire) riuscirono a mettere in pratica i propri programmi. Ma non fu un vantaggio.
  • Con il progredire dell’epidemia anche nel resto della Cina furono adottate misure drastiche. Le scuole e le università furono chiuse e sostituite immediatamente da un sistema di tele-insegnamento, i trasporti pubblici chiusi, come pure cinema, teatri etc. Le tradizionali vacanze per lo Spring festival (normalmente almeno una settimana) vennero prolungate e quindi uffici e fabbriche chiusi. Le persone potevano uscire di casa ma con precauzioni rigide. Tutti ovviamente con le mascherine, ingressi contingentati nei supermercati, distanza di 1.5 metri fra le persone. Un distributore di tovagliolini negli ascensori con i quali premere i pulsanti etc. All’ingresso dei comprensori abitativi e dei negozi c’era la misurazione della temperatura, e chiunque fosse entrato in un comprensorio diverso dalla sua abitazione doveva essere identificato e fornire una reperibilità. Tutto questo per 1.4 miliardi di persone.
  • Finito il periodo di vacanze si decise che solo uffici o ruoli assolutamente indispensabili avrebbero ripreso il lavoro tradizionale. Gli altri avrebbero dovuto lavorare in teleconferenza. Inoltre, chi fosse andato fuori dalla sua città di lavoro al momento del ritorno avrebbe dovuto effettuare un periodo di quarantena a casa. In questo periodo le persone “in ufficio” erano circa il 10% dell’organico. Alla fine di febbraio alcune fabbriche sono state riaperte, gli uffici hanno raggiunto una presenza fisica del 50% (il resto in tele lavoro) e si spera di ritornare alla quasi normalità entro la fine di marzo. A Pechino, centro di governo del Paese, le misure per evitare il diffondersi dell’epidemia sono state anche più drastiche Ovviamente negli uffici le misure di prevenzione continuano ad essere severe. In mensa vengono dati “lunch boxes” da consumare all’aperto, nei campus, oppure nel proprio ufficio; le mascherine, anche in ufficio, sono obbligatorie; le riunioni vengono effettuate con i partecipanti lontani uno dall’altro, etc.
  • I risultati sono evidenziati dai grafici. Si vede che l’epidemia si è praticamente fermata, ma soprattutto che il suo picco, la velocità di propagazione, è stato raggiunto nella prima decade di febbraio. Questi sono i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha monitorato tutto l’andamento dell’epidemia ed ha ufficialmente lodato la Cina per la maniera in cui la ha governata, dando il tempo al mondo di prepararsi.
  • Al momento in cui furono prese queste misure, si disse (Corriere della Sera) che esse costituivano una violazione dei diritti umani, possibile solo in un regime dittatoriale. Ora la capacità della Cina di contenere l’epidemia è stata riconosciuta ma ancora adesso si sostiene che da noi non sarebbe possibile limitare in questo modo la libertà individuale. Si dice anche che queste misure creerebbero la distruzione della nostra economia. Parliamo quindi dell’Italia, dell’Europa e degli USA.

L’Italia

  • Domenica mattina stavo per pubblicare questa nota quando, appena sveglio, ho saputo delle novità annunziate dal nostro Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e ho dovuto riscrivere la parte dedicata al nostro Paese. Non posso fare a meno di ricordare e raccontarvi una barzelletta risalente al suo primo governo. Riunione a Palazzo Chigi: “dov’è il Presidente? – chiede un ministro, e subito la risposta di uno dei suoi Vice - Non preoccupatevi, cominciamo pure, lo abbiamo mandato a comprare i tramezzini”. Eppure questo Professore, sconosciuto al di fuori del mondo accademico, è stato capace di assumersi personalmente la responsabilità di una delle decisioni più difficili e contestate dalla fine della seconda Guerra mondiale. Una decisione assolutamente impopolare, a cui si opposero già la mattina dopo, a vari livelli, i governatori di tutte le regioni del Nord Italia, che pure erano stati interpellati fino alle due della notte.

Zaia: Sono misure esagerate, al momento per noi non hanno una ratio….La misura di isolamento estremo non ha avuto nessun conforto né scientifico, né di lealtà istituzionale con i tecnici della Regione Veneto che da mesi seguono l’evolversi della situazione…. L’ultimo contatto con Conte è stato prima di mezzanotte”

Fontana: La bozza del provvedimento del governo che ho ricevuto solo in serata sembra andare nella direzione del contenimento della diffusione del virus…..Ciò detto non posso non evidenziare che la bozza del DPCM, è, a dir poco, pasticciata”

Bonaccini: Noi stessi, come governatori, avevamo parlato della necessità di misure più restrittive, visti i dati di crescita dei contagi…… Ci siamo trovati a dover dare un parere in pochissimo tempo, mentre la bozza era già di dominio pubblico e si diffondeva la notizia di zone rosse allargate, impossibilità di spostamenti, blocchi produttivi. Per questo abbiamo chiesto tempo. L’obiettivo non è in discussione, ma vogliamo arrivarci dando informazioni chiare e precise

Fontana di nuovo: I cittadini, i lavoratori potranno muoversi con assoluta libertà senza subire vincoli e condizionamenti: Questa cosa si deve chiarire subito perché domani l’attività della Lombardia deve essere normale ed efficace”. Dietro le parole che i cittadini possono spostarsi per “comprovate esigenze lavorative” c’è un piccolo mistero. Le prime bozze del DPCM recitavano “indifferibili esigenze lavorative”. La differenza è enorme. Nel secondo caso infatti non sarebbe stata possibile un’attività nella regione Lombardia “normale ed efficace” come ritengono fondamentale sia Fontana che ASSOLOMBARDA. Sono sufficienti queste misure molto alleggerite? Andranno bene oppure l’avvicinarsi del disastro obbligherà il governo a scelte dolorosissime? Certo, alla luce di quanto appena detto,  le regioni e le altre parti istituzionali non possono dire di non aver influito notevolmente alla decisione del governo e tirarsene fuori. Per questo sostengo che il Prof. Conti sia oggi da ringraziare, in un’Italia in cui ogni decisione richiede mesi se non anni. Possiamo oggi dire che egli sia il vero gestore di questa crisi, con la legittimazione esplicita del Presidente Mattarella che ha ricordato nel suo videomessaggio come le necessarie decisioni spettino al governo in collaborazione con le Regioni. Forse, alla luce di ciò che è accaduto in questo fine settimana, si capisce il vero motivo del messaggio alla nazione del Presidente della Repubblica.

C’è da chiedersi a questo punto se la situazione sia proprio così grave come tutti gli organi di stampa dovrebbero già sapere sulla base degli stessi dati di domini pubblico che vi ho fornito sopra. Ve lo dimostro attraverso alcune fra le numerosissime dichiarazioni apparse.

  • Giorgio Parisi, presidente dell’Accademia dei Lincei e scienziato di fama internazionale Questa crescita esponenziale del contagio deve cessare ben prima del 15 aprile, data alla quale un’esponenziale non mitigata darebbe 60 milioni di infetti, ma certamente non saranno infettati tutti gli italiani <Perché una persona non può essere contagiata più di una volta in un breve periodo e quindi, con l’approssimarsi della quantità totale si auto estinguerebbe>. Il numero degli infetti quadruplica ogni cinque giorni. Se partiamo dai dati dell’8 marzo, 7375, e li moltiplichiamo per quattro arriviamo a 29500 il 13 marzo. Di nuovo, e il 18 marzo siamo a 118000, il 23 marzo a 472 mila, il 28 marzo a 1 milione 888 mila. E così via…… Noi abbiamo tutti gli strumenti per spezzare la velocità di questa curva esponenziale…. Dobbiamo impegnarci per metterli in atto, i nostri strumenti…. In Cina, e prendendo misure drastiche che sono state rispettate dai cittadini sono riusciti a far rallentare la velocità della curva esponenziale, dobbiamo prendere esempio da loro.
  • Antonio Pesenti, coordinatore dell’unità di crisi regione Lombardia per le terapie intensive. Il numero di ricoverati in ospedale previsto alla data del 26 marzo è di 18 mila malati lombardi, dei quali un numero compreso tra 2700 e 3200 richiederà il ricovero in terapia intensiva. Oggi ci sono già oltre mille pazienti tra quelli in rianimazione e quelli che rischiano di aggravarsi da un minuto all’altro.
  • Daniele Macchini, medico alle Cliniche Humanitas Gavazzeni. Cercherò di trasmettere alle persone non addette ai lavori e più lontane dalla nostra realtà cosa stiamo vivendo a Bergamo. Capisco la necessità di non crear panico, ma quando il messaggio della pericolosità di ciò che sta accadendo non arriva alle persone, e sento ancora chi se ne frega delle raccomandazioni e gente che si raggruppa lamentandosi di non poter andare in palestra, o poter fare tornei di calcetto, rabbrividisco. Capisco anche il danno economico e sono anch’io preoccupato di quello. Dopo l’epidemia il dramma sarà ripartire… Io stesso guardavo con un po’ di stupore le riorganizzazioni dell’intero ospedale nella settimana precedente, quando il nostro nemico attuale era ancora nell’ombra, i reparti pian piano letteralmente svuotati…..Tutta questa rapida trasformazione portava nei corridoi dell’ospedale un’atmosfera di silenzio e vuoto surreale che ancora non comprendevamo, in attesa di una guerra che doveva ancora iniziare….. Ricordo ancora la mia guardia di notte di una settimana fa passata inutilmente senza chiudere occhio, in attesa di una chiamata dalla microbiologia del Sacco. Aspettavo l’esito di un tampone sul primo paziente sospetto del nostro ospedale…..Se ci ripenso mi sembra quasi ridicola e ingiustificata la mia agitazione per un solo possibile caso, ora che ho visto quello che sta accadendo. Bene, la situazione ora è a dir poco drammatica. Non mi vengono altre parole in mente. La guerra è letteralmente esplosa e le battaglie sono ininterrotte giorno e notte. Uno dopo l’altro i poveri malcapitati si presentano in pronto soccorso. Hanno tutt’altro che le complicazioni di un’influenza. Piantiamola di dire che è una brutta influenza. I Bergamaschi… si sono comportati bene….hanno seguito tutte le indicazioni date: una settimana o dieci giorni a casa con la febbre senza uscire e rischiare di contagiare, ma ora non ce la fanno più. Non respirano abbastanza, hanno bisogno di ossigeno…. Il decorso dipende prevalentemente dal nostro organismo. Noi possiamo solo supportarlo quando non ce la fa più…… Ora però è arrivato quel bisogno di posti letto in tutta la sua drammaticità. Uno dopo l’altro i reparti che erano stati svuotati si riempiono a un ritmo impressionante. I tabelloni con i nomi dei malati…. Ora sono tutti rossi e al posto dell’intervento chirurgico c'è la diagnosi, che è sempre la stessa maledetta polmonite interstiziale bilaterale…. Il Covid 19 arriva direttamente negli alveoli dei polmoni e li infetta rendendoli incapaci di svolgere la loro funzione. L’insufficienza respiratoria che ne deriva è spesso grave e dopo pochi giorni di ricovero il semplice ossigeno che si può somministrare in un reparto può non bastare….La popolazione anziana è la più rappresentata nel nostro Paese e si fa fatica a trovare qualcuno che, sopra i 65 anni, non prenda almeno la pastiglia per la pressione o il diabete…. Vi assicuro poi che quando vedete gente giovane che finisce in terapia intensiva intubata, pronata, o peggio in ECMO, tutta questa tranquillità per la giovane età vi passa…. I casi si moltiplicano, arriviamo a ritmi di 15-20 ricoveri al giorno tutti per lo stesso motivo…. Improvvisamente il pronto soccorso è al collasso. Le disposizioni di emergenza vengono emanate: serve aiuto in pronto soccorso. Una rapida riunione per imparare come funziona il software di gestione del pronto soccorso, e pochi minuti dopo sono già di sotto, accanto ai guerrieri che stanno al fronte della guerra…. Tutti da ricoverare. Qualcuno già da intubare va in terapia intensiva. Per altri invece è tardi. La terapia intensiva diventa satura, e dove finisce la terapia intensiva se ne creano altre. Ogni ventilatore diventa come oro: quelli delle sale operatorie che hanno ormai sospeso la loro attività non urgente diventano posti da terapia intensiva che prima non esistevano…. Il personale è sfinito. Ho visto una solidarietà di tutti noi….Infermieri con le lacrime agli occhi perché non riusciamo a salvare tutti e i parametri vitali di più malati contemporaneamente rilevano un destino già segnato…..Perciò abbiate pazienza anche voi che non potete andare a teatro, nei musei o in palestra. Cercate di aver pietà per quella miriade di persone anziane che potreste sterminare. Non è colpa vostra, lo so, ma di chi vi mette in testa che si sta esagerando e anche questa testimonianza può sembrare proprio un’esagerazione per chi è lontano dall’epidemia, ma per favore, ascoltateci, cercate di uscire di casa solo per le cose indispensabili. Dite ai vostri familiari anziani o con altre malattie di stare in casa. Portategliela voi la spesa. Noi non abbiamo alternativa. E’ il nostro lavoro….
  • Cristian Salaroli, anestesista e rianimatore  dell’ospedale Papa Giovanni a Bergamo. In quei letti vengono ammessi solo donne e uomini con la polmonite da Covid 19, affetti da insufficienza respiratoria. Gli altri a casa……. Li mettiamo in ventilazione non invasiva, il primo passo è quello….Al mattino presto, con i curanti del pronto soccorso, passa il rianimatore. Il suo parere è molto importante…… Oltre all’età e al quadro generale, il terzo elemento è la capacità del paziente di guarire da un intervento rianimatorio….Questa indotta dal Covid 19 è una polmonite interstiziale, una forma molto aggressiva che impatta sull’ossigenazione del sangue. I pazienti più colpiti diventano ipossici ovvero non hanno più quantità sufficienti di ossigeno nell’organismo. <poi arriva il momento di scegliere> La ventilazione non invasiva è solo una fase di passaggio. Siccome purtroppo c’è sproporzione tra le risorse ospedaliere, i posti letto in terapia intensiva, e gli ammaliati critici, non tutti vengono intubati…. Diventa necessario ventilarli meccanicamente. Quelli su ci si sceglie di proseguire vengono tutti intubati e pronati, ovvero messi a pancia in giù, perché questa manovra può favorire la ventilazione delle zone basse del polmone…. Per consuetudine, anche se mi rendo conto che è una brutta parola, si valutano con molta attenzione i pazienti con gravi patologie cardiorespiratorie, e le persone con problemi gravi alle coronarie, perché tollerano male l’ipossia acuta e hanno poche probabilità di sopravvivere alla fase critica…. Se una persona tra gli 80 e i 95 anni ha una grave insufficienza respiratoria, verosimilmente non procedi. Se ha un’insufficienza multi organica di più di tre organi vitali, significa che ha un tasso di mortalità del cento per cento. Ormai è andato….. Anche questa è una frase terribile. Ma purtroppo è vera. Non siamo in condizione di tentare quelli che si chiamano miracoli. E’ la realtà….. Anche in tempi normali si valuta caso per caso, nei reparti si cerca di capire se il paziente può recuperare da qualunque intervento. Adesso questa discrezionalità la stiamo applicando su larga scala.

Per oggi basta. Non mi sarei mai aspettato che nella ricca e progredita Europa saremmo arrivati a questo in tempo di pace. Ma non siamo in un tempo di pace ormai e dobbiamo comportarci tutti di conseguenza.

La prossima volta vi parlerò degli altri Paesi Occidentali, che nel frattempo saranno arrivati dove siamo noi oggi. E delle lezioni che possiamo trarne.

 

PS. TUTTA ITALIA E’ IN ZONA CONTROLLATA. STAREMO A VEDERE. SECONDO ME IN LOMBARDIA NON BASTA. BISOGNA CHIUDERE TRASPORTI E UFFICI NON ESSENZIALI.

UN’IDEA POTREBBE ESSERE ANTICIPARE A MARZO LA CHIUSURA DI AGOSTO ED ESSERE QUINDI PRONTI A RIPARTIRE ALLA FINE DELL’EPIDEMIA

 

 

 

 

LA GRANDE EPIDEMIA II PARTE

Dove stiamo andando?

Ogni giorno sfogliando la stampa italiana leggo invettive sempre più sgangherate che gli esponenti della "nostra classe dirigente" si lanciano l'un l'altro. Nessun dibattito pacato, intellettualmente onesto e basato su un'appropriata conoscenza di causa è ormai possibile. Accade spesso di leggere, o vedere in televisione, che su uno stesso argomento i vari contendenti sciorinino come "veri e ufficiali" dati che si contraddicono l'un altro portando quindi il lettore o l'ascoltatore a credere che nessuno di essi abbia alcuna base di verità. Fino a non molti anni fa i nostri governanti si esprimevano con discorsi parlamentari o atti ufficiali; oggi tutto ciò è passato di moda ed essi si esprimono con Twitter o al massimo attraverso la partecipazione a un dibattito televisivo (in questo allineandosi a quanto succede ormai in tutto il mondo occidentale).Tutto ciò, sulla base di un concetto erroneo di che cosa sia la vera democrazia, che essa non possa prescindere dalla competenza di chi viene scelto per governarci, e che un Paese non possa essere governato sulla base dei "like" tipici dei nostri "social" o dei sondaggi di opinione.

Questa premessa potrebbe sembrare lo sfogo di una persona anziana che ricorda "i suoi tempi" come un’età dell'oro ormai scomparsa per sempre. Niente di più falso. Se ci troviamo in questa situazione credo che la mia generazione abbia delle responsabilità immense.

E vengo al dunque. Due sono gli effetti più evidenti degli errori della mia generazione:

-              l'enorme debito pubblico,

-              la progressiva distruzione dell'europeismo.

Non posso trattare a fondo entrambi i punti perché sarei troppo lungo. Voglio soffermarmi solo sul secondo perché' esso potrebbe portare alla distruzione della cultura e dell'intero sistema occidentale.

Parto da un estratto di quel meraviglioso, profetico documento di cui tutti parlano ma che pochi hanno realmente letto: il "Manifesto di Ventotene" che Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni scrissero nell'agosto 1941, uno dei periodi più oscuri della nostra storia.

“La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà...... L'ideologia dell'indipendenza nazionale è stata un potente lievito di progresso....Essa portava però in se' i germi del nazionalismo imperialista, che la nostra generazione ha visto ingigantire fino alla formazione degli stati totalitari ......La nazione non è più ora considerata come lo storico prodotto della convivenza degli uomini che .... trovano nel loro stato la forma più efficace per organizzare la vita collettiva entro il quadro di tutta la società umana”. Tutta la prima parte del “manifesto" fa una lucidissima e impietosa disamina di come si sia poco a poco creata la teoria dello "spazio vitale " e il militarismo tedesco da cui è poi nata la guerra.

Nella seconda parte, la più profetica, si da per certa la sconfitta della Germania e si parla della ricostruzione e dei suoi problemi.

“Nel breve intenso periodo di crisi generale........i ceti che più erano privilegiati nei vecchi sistemi nazionali cercheranno subdolamente o con la violenza di smorzare l'ondata dei sentimenti e delle passioni internazionalistiche...... si proclameranno amanti della pace, della libertà, del benessere delle classi più povere. Il punto su cui essi cercheranno di far leva sarà la restaurazione dello stato nazionale. Se raggiungessero questo scopo... risorgerebbero le gelosie nazionali....Il problema che in primo luogo va risolto.... è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani. Gli spiriti sono già ora molto meglio disposti ad un'organizzazione federale dell’Europa. Insolubili sono diventati i molteplici problemi che avvelenano la vita internazionale del continente: tracciati dei confini a popolazione mista, difesa delle minoranze allogene, sbocco al mare dei paesi situati nell'interno, questione balcanica, questione irlandese, etc. che troverebbero nella Federazione Europea la più semplice soluzione, come l'hanno trovata in passato i corrispondenti problemi degli staterelli entrati a far parte delle più vaste unità nazionali, quando hanno perso la loro acredine, trasformandosi in problemi di rapporti tra le diverse province. E quando, superando l'orizzonte del vecchio continente, si abbracci in una visione d’insieme tutti i popoli che costituiscono l’umanità bisogna pur riconoscere che la federazione europea è l'unica garanzia concepibile che i rapporti con i popoli asiatici e americani possano svolgersi su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un più lontano avvenire, in cui diventi possibile l’unità politica dell'intero globo.”

La terza parte del manifesto si occupa della ristrutturazione della società, essenzialmente quella italiana, interessantissima anch'essa ma fuori dal tema che sto trattando. La quarta e ultima tratta della maniera in cui, durante la dittatura nazifascista si debba cominciare a organizzare una forza nuova che, messe da parte le vecchie ideologie del passato, sia pronta a raccogliere le macerie del dopoguerra e iniziare la ricostruzione su nuove basi.

Sono passati 80 anni e che cosa è successo in questo periodo? I grandi statisti che nel dopoguerra si fecero carico della ricostruzione di un’Europa in macerie avevano bene in mente alcune parole “Mai più guerre in Europa”. Il ventesimo secolo, infatti, aveva visto in sostanza una sola guerra europea, dal 1915 al 1945, con una breve tregua al suo interno. La seconda guerra mondiale trovava, infatti, le sue cause dirette nel modo in cui si era chiusa la prima. E il secolo precedente? La guerra franco prussiana nel 1870, e prima ancora le guerre europee dal 1848 al 1860; e piu indietro le guerre napoleoniche che si chiusero con il Congresso di Vienna nel 1815. Se andiamo ancora indietro, e non voglio tediarvi oltre, arriviamo a Carlo Magno incoronato imperatore del Sacro Romano Impero la notte di Natale dell’anno 800. Egli è ritenuto comunemente (Monnet, Kohl, Schröder) il padre ideale dell’Europa unita dei giorni nostri. Carlo pose sotto il suo dominio quasi tutti i territori che oltre 1000 anni dopo costituirono il nucleo fondativo della Comunità Europea. Divise il suo impero in circa 200 province (riallacciandosi alle antiche città romane) e cercò di unificarlo da un punto di vista giuridico, finanziario, amministrativo ed anche linguistico cercando di ritornare al latino classico.  Soltanto dopo, con il trattato di Verdun dell’843 in cui i suoi nipoti si divisero l’impero, si cominciarono a delineare  tre stati che, specie la Francia, proseguirono per strade diverse formando, fra guerre continue, le odierne realtà nazionali. Nonostante ciò però nel Medioevo era frequente una specie di “Erasmus” ante litteram. I “Clerici vagantes” erano studenti universitari che perfezionavano i loro studi spostandosi fra una e l’altra delle grandi università europee, una testimonianza ulteriore dell’unicità della nostra cultura. Federico Barbarossa nel suo “Privilegium scholasticum”stabiliva dei privilegi e delle immunità speciali a favore degli studenti “stranieri” che perfezionavano i loro studi di diritto all’Università di Bologna. Nel frattempo si andavano formando le varie lingue nazionali che però furono sempre subordinate ai vari dialetti regionali.  Tullio De Mauro stimava che  nel 1861 solo una piccolissima percentuale degli abitanti dell’Italia unita (2.5%) sapesse esprimersi in lingua italiana.

Nel dopoguerra, e proprio per i motivi che vi accennavo all’inizio di questa nota, dei governanti illuminati non esitarono a costituire un embrione di una futura “Europa Unita” come quella sognata da Altiero Spinelli. Negli anni ’50 nasce la CECA e i suoi Paesi fondatori sono Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Olanda. Nel 1957 il trattato di Roma istituisce la CEE e con essa l’abbattimento progressivo dei dazi doganali. Negli anni ’70 il numero di stati aderenti cresce e nel 1979 il Parlamento Europeo viene eletto per la prima volta a suffragio universale. Nel 1986 nasce il Mercato Unico europeo, e si sanciscono gradualmente le “quattro libertà”: circolazione di beni, servizi, persone e capitali. Ci sono poi il trattato di Maastricht, quello di Amsterdam e quello di Lisbona. Il 1° gennaio 1999 nasce la moneta unica europea, il primo gennaio 2002 a mezzanotte mi ricordo ancora l’emozione di incassare al Bancomat i primi Euro, ed infine con la BCE siamo ad oggi.

Una grande corsa quindi e la federazione europea era considerata un obiettivo possibile. 

E poi?

Poi ci fu la crisi economica in cui tutti i governi, chi più chi meno, cominciarono ad attribuire all’Europa tutte le responsabilità delle proprie difficoltà nazionali; si formò una struttura centrale europea che andò sempre più burocratizzandosi proprio nel momento in cui bisognava parlare di ideali e non delle “dimensioni delle vongole”; un allargamento oltre misura del numero degli stati aderenti portò alla scomparsa degli ideali comuni. Il fenomeno dell’immigrazione in cui ogni Paese decise di badare a se stesso rinnegando ogni forma di solidarietà diede il colpo di grazia.

Oggi i partiti “sovranisti”, quelli cioè che reclamano un ritorno a una sovranità nazionale che ritengono ormai compromessa, hanno sempre più presa nell’opinione pubblica europea e sperano di raggiungere la maggioranza nel parlamento europeo che uscirà dalle urne nel prossimo aprile. Siamo quindi a un passo dalla distruzione di quanto era stato costruito negli ultimi ottant’anni, e il grido “mai più guerre in Europa” viene considerato come una favola dei libri di storia da parte di chi non conosce neanche per sentito dire i disastri della guerra e del dopo guerra.

Si dice: abbiamo storie e culture diverse, abbiamo diverse identità nazionali, abbiamo lingue diverse, vogliamo essere i padroni del nostro futuro. Ma è proprio vero tutto ciò? Vi do alcuni esempi che mi vengono subito in mente. Il sistema di comunicazioni europee, il TEN-T di cui vi ho parlato più volte ricalca il sistema viario dell’impero Romano come potete vedere nelle figure allegate. La generazione dei “millennials” oggi non riuscirebbe neanche a concepire la necessità di un passaporto per andare a Parigi o a Barcellona, e meno che mai concepirebbe la necessità di doversi munire in anticipo di Franchi e Pesetas perché le Lire non sarebbero accettate. La possibilità di studiare all’estero grazie all’Erasmus non è neanche messa in discussione. Il poter parlare per telefono o anche in videochiamata con i propri amici o parenti sparsi per l’Europa virtualmente gratis è dato per scontato. E potrei continuare a lungo.

Ma, si sostiene, dobbiamo, noi Italiani, o Francesi, o Tedeschi, avere la nostra totale indipendenza politica, economica e fiscale, lascio perdere l’indipendenza militare. Ma è ancora possibile nel mondo moderno? Nel 1992 un attacco speculativo senza precedenti costrinse la lira e la sterlina a uscire dal “serpente monetario europeo”, la lira perse il 40% del suo valore rispetto al marco tedesco, il presidente Amato fu costretto a fare in una notte un prelievo forzoso sui conti correnti degli italiani e per la prima volta ci fu una manovra finanziaria durissima (93000 miliardi). L’Italia, in un tentativo impossibile di resistere bruciò tutte le sue riserve valutarie e diede in pegno le sue riserve auree. Oggi, in un mondo inevitabilmente globalizzato dove le economie sono ormai su scala continentale, quale Paese Europeo potrebbe da solo opporsi agli USA, alla Cina e a breve anche all’India?  O più semplicemente alle forze transnazionali della speculazione? Ci rendiamo conto che l’intera Italia ha una popolazione pari a meno di metà della sola area metropolitana di Pechino (la Jingjinji di cui vi ho parlato)? Che nell’attuale guerra dei dazi che Trump ha mosso al resto del mondo, incluso l’unione europea, non avremmo alcun modo di opporci? Che il nostro debito è un fatto reale, non un’invenzione della politica, e che il  tasso di interesse nelle nostre aste di BTP andrebbe alle stelle? Che in un baleno ci ritroveremmo in una crisi ben peggiore di quella del 1992? Che non potremmo fare nulla di diverso di ciò che sta facendo l’Argentina in questi giorni, vale a dire la resa senza condizioni alle istituzioni internazionali? Questa è la verità che nessun politico vuole dire.

Resta l’ultimo argomento ed anche il più complesso: le differenze linguistiche e culturali. La nostra lingua, di cui andiamo giustamente orgogliosi, entro i prossimi cinquant’anni diventerà una “seconda lingua” perché chiunque vorrà viaggiare, commerciare, comunicare con il resto del mondo dovrà conoscere come “prima lingua” l’inglese, una lingua che paradossalmente dopo la Brexit non sarà lingua madre in nessun Paese dell’Unione Europea. Pensiamo forse di poter dialogare con il mondo in genovese, in Veneziano, in Siciliano o in Toscano? E allora, a livello mondiale (otto miliardi di persone) che differenza c’è fra il Veneto e l’Italiano? Sono entrambe minoranze trascurabili. Suvvia, siamo realisti, come è giusto mantenere i nostri dialetti, è anche giusto mantenere l’Italiano, ma di nuovo, a meno di pensare ad un’economia autarchica dovremo arrenderci all’evidenza. Resisterà un po’ di più lo Spagnolo (grazie al Sud America) ma sarà costretto a seguire la stessa via. Attenzione, anche l’Inghilterra dovrà rinunziare all’inglese perché la lingua che nel mondo per pigrizia chiamiamo inglese è in realtà il “Globish” il global English, una specie di lingua franca mondiale che deriva dall’inglese ma non lo è. Se guardate infatti in un qualsiasi computer le lingue fra cui scegliere per scrivere una lettera vi troverete una decina di “Inglesi” differenti.

La  cultura: l’argomento più difficile. Ho letto, studiato e riflettuto parecchio e mi sono fatto un’idea. Qual è l’essenza ultima della nostra cultura? La cultura “italiana”? A pensarci bene non credo proprio. Non esiste una vera e propria tradizione italiana, come non esiste una cucina italiana. Ne esistono varie: piemontese, veneta, toscana, romana, siciliana, lombarda etc. tutte con caratteristiche e gusti diversi. E le nostre tradizioni? Ogni città ha le sue, profondamente radicate in secoli e secoli di storia. Si può dire più o meno lo stesso se si confronta Amburgo e Monaco di Baviera o le realtà locali di qualunque nazione. Per non parlare della Spagna dove Castigliani, Baschi, Catalani etc. non si riconoscono neanche come parti di una stessa nazione.

E allora? Non stiamo assistendo solamente ad un “sovranismo” nazionale , ma ad una tendenza molto più radicata e profonda, anche se meno visibile, a ritrovare le proprie origine nelle singole regioni o città. Le città che, con i circondari, traggono le loro origini nelle antiche città romane e sono le uniche entità sopravvissute al farsi e disfarsi delle varie entità politiche più vaste.

Pensiamo quindi a un’ Europa composta dalle città che si possano riconoscere nella propria storia e nelle proprie origini comuni, e comincio da dove è nata la civiltà europea: Atene, Corinto, Olimpia, Spalato, Durazzo, Zara, Lissa, Belgrado, Radstadt, Salisburgo, Linz, Budapest, Vienna, Innsbruck, Bellinzona, Bourges, Clermont-Ferrand, Limoges, Bordeaux, Poitiers, Cambrai, Metz, Reims, Amiens, Verdun, Tours, Orleans, Rennes, Brest, Lione, Parigi, Nantes, Rouen, le Mans, Aix-en-Provence, Arles, Carcassonne, Marsiglia Nimes, Tolosa, Bonn, Utrecht, Strasburgo, Wiesbaden, Francoforte, Cordoba, Siviglia, Coimbra, Merida, Lisbona, Oporto, Salamanca, Saragozza, Granada, Segovia, Toledo, Valencia, etc. e non vi parlo delle città Italiane.

In tutte queste città potreste trovare monumenti analoghi, tracce di una storia che ha attraversato tutta l’Europa, dove più e dove meno. Queste sono le nostre radici comuni, ciò che ci lega veramente.

“LE CITTA”, è questo il disegno ideale di Piero Fassino quando lanciò a Torino il primo “Forum delle città della via ferroviaria della seta” il 27 novembre 2015, con la partecipazione di 30 città oggi diventate più di 50. Fassino lanciò il concetto di una “metropolitana euroasiatica” le cui stazioni sono costituite dalle città attraversate. Ciò “crea una nuova importante prospettiva che non è solamente trasportistica e commerciale, ma anche sociale, culturale e politica”.” “In un mondo in cui prevalgono tendenze globalistiche, le città stanno cominciando ad avere come in passato un ruolo centrale a cui dovettero abdicare al momento dell’apogeo degli stati nazionali. “Oggi torna a galla la fondamentale importanza delle città come centri simbolici di territori più vasti. Esse sono non solo portatrici di bisogni inestirpabili e valori di una dimensione locale in un mondo globalizzato, ma possono diventare protagoniste di processi su larga scala, la “glocalization” combinando i micro e i macro livelli”. Il 5 maggio 2016 Torino è diventata la sede permanente europea del Forum. Le città, con la loro storia, la loro cultura le loro tradizioni sono il punto unificante dell’Europa di oggi

Mi piace chiudere questa nota con le parole di Hu Chunchun, professore di storia politica tedesca della Tongji University di Shanghai. Ne trascrivo un piccolo stralcio

“Ciò che in Cina si ammira dell’Europa coincide del tutto con il nucleo profondo della coscienza europea: la consapevolezza di una faticosa ma riuscita realizzazione del contratto sociale, che rende possibile democrazia, Stato di diritto, tolleranza e benessere collettivo superando le divergenze nazionali. Di fronte a un’Europa così civile, ogni ambizione di tipo imperialistico ed egemonico appare obsoleta, financo ridicola. In Cina si attende con ansia di ricevere le risonanze di alcune esperienze della civiltà europea; quelle stesse esperienze che in Europa qualcuno ritiene superate. L’incomprensione per la paralisi che attanaglia l’Europa riguarda soprattutto la mancanza di coraggio degli europei.” ……. “In realtà, il vero motivo della crisi europea risiede nella mancanza di solidarietà. Ma tornare indietro, al filo spinato alle frontiere e al cambio di valuta, non è un’opzione credibile. Sono le frontiere che esistono nella testa delle persone a dover essere superate. L’Europa, uno dei «più ambiziosi progetti politici e sociali della modernità» è ben lungi dall’essere conclusa. “La moderna trasformazione del significato del lavoro determina una spaccatura nella società. In un’epoca di crisi, la paura degli individui socialmente non integrati è del tutto comprensibile, ma si lascia anche facilmente manipolare. Per superare queste fratture sociali è necessario riportare al centro del processo di maturazione collettivo un altro, più essenziale concetto politico dell’essere umano: la dignità. La stessa concezione del lavoro tocca, in ultima analisi, la questione della dignità dell’uomo. Il concetto kantiano è la chiave per una narrazione migliore del progetto europeo, che va ripensato alla luce delle mutate condizioni. Cos’è più importante: offrire ai greci la possibilità di una vita dignitosa, o abbandonarli ai meccanismi neoliberisti del capitale? Offrire ai profughi una possibilità di sopravvivenza, o continuare a predicare i diritti umani dall’interno di un paradiso blindato? E quanto alte dovrebbero esserne le mura di recinzione? Per rispondere con Kant: «L’umanità in se stessa è una dignità, poiché l’uomo non può essere trattato da nessuno (né da un altro, né da se stesso) come un semplice mezzo, ma deve sempre essere trattato come un fine. Precisamente in ciò consiste la sua dignità, la sua personalità, per cui egli si eleva al disopra di tutti gli altri esseri della natura. Se queste parole non resteranno inascoltate, nessuna crisi potrà mai togliere ai cittadini la speranza e la fiducia nella rettitudine del proprio agire.”

Ecco ciò che siamo ( spesso nostro malgrado) e come la parte del mondo più lontana dai noi ci vede: un faro di civiltà! Saremo in grado di realizzarlo?

Per chi fosse interessato, l’ultima parte di questa nota è stata estratta dall’ultima parte di un saggio in tre parti “Tutti contro tutti” che ho inserito parecchi mesi fa nella sezione “Come va il mondo” di questo sito.

Dove stiamo andando?

Ogni giorno sfogliando la stampa italiana leggo invettive sempre più sgangherate che gli esponenti della "nostra classe dirigente" si lanciano l'un l'altro. Nessun dibattito pacato, intellettualmente onesto e basato su un'appropriata conoscenza di causa è ormai possibile. Accade spesso di leggere, o vedere in televisione, che su uno stesso argomento i vari contendenti sciorinino come "veri e ufficiali" dati che si contraddicono l'un altro portando quindi il lettore o l'ascoltatore a credere che nessuno di essi abbia alcuna base di verità. Fino a non molti anni fa i nostri governanti si esprimevano con discorsi parlamentari o atti ufficiali; oggi tutto ciò è passato di moda ed essi si esprimono con Twitter o al massimo attraverso la partecipazione a un dibattito televisivo (in questo allineandosi a quanto succede ormai in tutto il mondo occidentale).Tutto ciò, sulla base di un concetto erroneo di che cosa sia la vera democrazia, che essa non possa prescindere dalla competenza di chi viene scelto per governarci, e che un Paese non possa essere governato sulla base dei "like" tipici dei nostri "social" o dei sondaggi di opinione.

Questa premessa potrebbe sembrare lo sfogo di una persona anziana che ricorda "i suoi tempi" come un’età dell'oro ormai scomparsa per sempre. Niente di più falso. Se ci troviamo in questa situazione credo che la mia generazione abbia delle responsabilità immense.

E vengo al dunque. Due sono gli effetti più evidenti degli errori della mia generazione:

-              l'enorme debito pubblico,

-              la progressiva distruzione dell'europeismo.

Non posso trattare a fondo entrambi i punti perché sarei troppo lungo. Voglio soffermarmi solo sul secondo perché' esso potrebbe portare alla distruzione della cultura e dell'intero sistema occidentale.

Parto da un estratto di quel meraviglioso, profetico documento di cui tutti parlano ma che pochi hanno realmente letto: il "Manifesto di Ventotene" che Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni scrissero nell'agosto 1941, uno dei periodi più oscuri della nostra storia.

“La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà...... L'ideologia dell'indipendenza nazionale è stata un potente lievito di progresso....Essa portava però in se' i germi del nazionalismo imperialista, che la nostra generazione ha visto ingigantire fino alla formazione degli stati totalitari ......La nazione non è più ora considerata come lo storico prodotto della convivenza degli uomini che .... trovano nel loro stato la forma più efficace per organizzare la vita collettiva entro il quadro di tutta la società umana”. Tutta la prima parte del “manifesto" fa una lucidissima e impietosa disamina di come si sia poco a poco creata la teoria dello "spazio vitale " e il militarismo tedesco da cui è poi nata la guerra.

Nella seconda parte, la più profetica, si da per certa la sconfitta della Germania e si parla della ricostruzione e dei suoi problemi.

“Nel breve intenso periodo di crisi generale........i ceti che più erano privilegiati nei vecchi sistemi nazionali cercheranno subdolamente o con la violenza di smorzare l'ondata dei sentimenti e delle passioni internazionalistiche...... si proclameranno amanti della pace, della libertà, del benessere delle classi più povere. Il punto su cui essi cercheranno di far leva sarà la restaurazione dello stato nazionale. Se raggiungessero questo scopo... risorgerebbero le gelosie nazionali....Il problema che in primo luogo va risolto.... è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani. Gli spiriti sono già ora molto meglio disposti ad un'organizzazione federale dell’Europa. Insolubili sono diventati i molteplici problemi che avvelenano la vita internazionale del continente: tracciati dei confini a popolazione mista, difesa delle minoranze allogene, sbocco al mare dei paesi situati nell'interno, questione balcanica, questione irlandese, etc. che troverebbero nella Federazione Europea la più semplice soluzione, come l'hanno trovata in passato i corrispondenti problemi degli staterelli entrati a far parte delle più vaste unità nazionali, quando hanno perso la loro acredine, trasformandosi in problemi di rapporti tra le diverse province. E quando, superando l'orizzonte del vecchio continente, si abbracci in una visione d’insieme tutti i popoli che costituiscono l’umanità bisogna pur riconoscere che la federazione europea è l'unica garanzia concepibile che i rapporti con i popoli asiatici e americani possano svolgersi su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un più lontano avvenire, in cui diventi possibile l’unità politica dell'intero globo.”

La terza parte del manifesto si occupa della ristrutturazione della società, essenzialmente quella italiana, interessantissima anch'essa ma fuori dal tema che sto trattando. La quarta e ultima tratta della maniera in cui, durante la dittatura nazifascista si debba cominciare a organizzare una forza nuova che, messe da parte le vecchie ideologie del passato, sia pronta a raccogliere le macerie del dopoguerra e iniziare la ricostruzione su nuove basi.

Sono passati 80 anni e che cosa è successo in questo periodo? I grandi statisti che nel dopoguerra si fecero carico della ricostruzione di un’Europa in macerie avevano bene in mente alcune parole “Mai più guerre in Europa”. Il ventesimo secolo, infatti, aveva visto in sostanza una sola guerra europea, dal 1915 al 1945, con una breve tregua al suo interno. La seconda guerra mondiale trovava, infatti, le sue cause dirette nel modo in cui si era chiusa la prima. E il secolo precedente? La guerra franco prussiana nel 1870, e prima ancora le guerre europee dal 1848 al 1860; e piu indietro le guerre napoleoniche che si chiusero con il Congresso di Vienna nel 1815. Se andiamo ancora indietro, e non voglio tediarvi oltre, arriviamo a Carlo Magno incoronato imperatore del Sacro Romano Impero la notte di Natale dell’anno 800. Egli è ritenuto comunemente (Monnet, Kohl, Schröder) il padre ideale dell’Europa unita dei giorni nostri. Carlo pose sotto il suo dominio quasi tutti i territori che oltre 1000 anni dopo costituirono il nucleo fondativo della Comunità Europea. Divise il suo impero in circa 200 province (riallacciandosi alle antiche città romane) e cercò di unificarlo da un punto di vista giuridico, finanziario, amministrativo ed anche linguistico cercando di ritornare al latino classico.  Soltanto dopo, con il trattato di Verdun dell’843 in cui i suoi nipoti si divisero l’impero, si cominciarono a delineare  tre stati che, specie la Francia, proseguirono per strade diverse formando, fra guerre continue, le odierne realtà nazionali. Nonostante ciò però nel Medioevo era frequente una specie di “Erasmus” ante litteram. I “Clerici vagantes” erano studenti universitari che perfezionavano i loro studi spostandosi fra una e l’altra delle grandi università europee, una testimonianza ulteriore dell’unicità della nostra cultura. Federico Barbarossa nel suo “Privilegium scholasticum”stabiliva dei privilegi e delle immunità speciali a favore degli studenti “stranieri” che perfezionavano i loro studi di diritto all’Università di Bologna. Nel frattempo si andavano formando le varie lingue nazionali che però furono sempre subordinate ai vari dialetti regionali.  Tullio De Mauro stimava che  nel 1861 solo una piccolissima percentuale degli abitanti dell’Italia unita (2.5%) sapesse esprimersi in lingua italiana.

Nel dopoguerra, e proprio per i motivi che vi accennavo all’inizio di questa nota, dei governanti illuminati non esitarono a costituire un embrione di una futura “Europa Unita” come quella sognata da Altiero Spinelli. Negli anni ’50 nasce la CECA e i suoi Paesi fondatori sono Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Olanda. Nel 1957 il trattato di Roma istituisce la CEE e con essa l’abbattimento progressivo dei dazi doganali. Negli anni ’70 il numero di stati aderenti cresce e nel 1979 il Parlamento Europeo viene eletto per la prima volta a suffragio universale. Nel 1986 nasce il Mercato Unico europeo, e si sanciscono gradualmente le “quattro libertà”: circolazione di beni, servizi, persone e capitali. Ci sono poi il trattato di Maastricht, quello di Amsterdam e quello di Lisbona. Il 1° gennaio 1999 nasce la moneta unica europea, il primo gennaio 2002 a mezzanotte mi ricordo ancora l’emozione di incassare al Bancomat i primi Euro, ed infine con la BCE siamo ad oggi.

Una grande corsa quindi e la federazione europea era considerata un obiettivo possibile. 

E poi?

Poi ci fu la crisi economica in cui tutti i governi, chi più chi meno, cominciarono ad attribuire all’Europa tutte le responsabilità delle proprie difficoltà nazionali; si formò una struttura centrale europea che andò sempre più burocratizzandosi proprio nel momento in cui bisognava parlare di ideali e non delle “dimensioni delle vongole”; un allargamento oltre misura del numero degli stati aderenti portò alla scomparsa degli ideali comuni. Il fenomeno dell’immigrazione in cui ogni Paese decise di badare a se stesso rinnegando ogni forma di solidarietà diede il colpo di grazia.

Oggi i partiti “sovranisti”, quelli cioè che reclamano un ritorno a una sovranità nazionale che ritengono ormai compromessa, hanno sempre più presa nell’opinione pubblica europea e sperano di raggiungere la maggioranza nel parlamento europeo che uscirà dalle urne nel prossimo aprile. Siamo quindi a un passo dalla distruzione di quanto era stato costruito negli ultimi ottant’anni, e il grido “mai più guerre in Europa” viene considerato come una favola dei libri di storia da parte di chi non conosce neanche per sentito dire i disastri della guerra e del dopo guerra.

Si dice: abbiamo storie e culture diverse, abbiamo diverse identità nazionali, abbiamo lingue diverse, vogliamo essere i padroni del nostro futuro. Ma è proprio vero tutto ciò? Vi do alcuni esempi che mi vengono subito in mente. Il sistema di comunicazioni europee, il TEN-T di cui vi ho parlato più volte ricalca il sistema viario dell’impero Romano come potete vedere nelle figure allegate. La generazione dei “millennials” oggi non riuscirebbe neanche a concepire la necessità di un passaporto per andare a Parigi o a Barcellona, e meno che mai concepirebbe la necessità di doversi munire in anticipo di Franchi e Pesetas perché le Lire non sarebbero accettate. La possibilità di studiare all’estero grazie all’Erasmus non è neanche messa in discussione. Il poter parlare per telefono o anche in videochiamata con i propri amici o parenti sparsi per l’Europa virtualmente gratis è dato per scontato. E potrei continuare a lungo.

Ma, si sostiene, dobbiamo, noi Italiani, o Francesi, o Tedeschi, avere la nostra totale indipendenza politica, economica e fiscale, lascio perdere l’indipendenza militare. Ma è ancora possibile nel mondo moderno? Nel 1992 un attacco speculativo senza precedenti costrinse la lira e la sterlina a uscire dal “serpente monetario europeo”, la lira perse il 40% del suo valore rispetto al marco tedesco, il presidente Amato fu costretto a fare in una notte un prelievo forzoso sui conti correnti degli italiani e per la prima volta ci fu una manovra finanziaria durissima (93000 miliardi). L’Italia, in un tentativo impossibile di resistere bruciò tutte le sue riserve valutarie e diede in pegno le sue riserve auree. Oggi, in un mondo inevitabilmente globalizzato dove le economie sono ormai su scala continentale, quale Paese Europeo potrebbe da solo opporsi agli USA, alla Cina e a breve anche all’India?  O più semplicemente alle forze transnazionali della speculazione? Ci rendiamo conto che l’intera Italia ha una popolazione pari a meno di metà della sola area metropolitana di Pechino (la Jingjinji di cui vi ho parlato)? Che nell’attuale guerra dei dazi che Trump ha mosso al resto del mondo, incluso l’unione europea, non avremmo alcun modo di opporci? Che il nostro debito è un fatto reale, non un’invenzione della politica, e che il  tasso di interesse nelle nostre aste di BTP andrebbe alle stelle? Che in un baleno ci ritroveremmo in una crisi ben peggiore di quella del 1992? Che non potremmo fare nulla di diverso di ciò che sta facendo l’Argentina in questi giorni, vale a dire la resa senza condizioni alle istituzioni internazionali? Questa è la verità che nessun politico vuole dire.

Resta l’ultimo argomento ed anche il più complesso: le differenze linguistiche e culturali. La nostra lingua, di cui andiamo giustamente orgogliosi, entro i prossimi cinquant’anni diventerà una “seconda lingua” perché chiunque vorrà viaggiare, commerciare, comunicare con il resto del mondo dovrà conoscere come “prima lingua” l’inglese, una lingua che paradossalmente dopo la Brexit non sarà lingua madre in nessun Paese dell’Unione Europea. Pensiamo forse di poter dialogare con il mondo in genovese, in Veneziano, in Siciliano o in Toscano? E allora, a livello mondiale (otto miliardi di persone) che differenza c’è fra il Veneto e l’Italiano? Sono entrambe minoranze trascurabili. Suvvia, siamo realisti, come è giusto mantenere i nostri dialetti, è anche giusto mantenere l’Italiano, ma di nuovo, a meno di pensare ad un’economia autarchica dovremo arrenderci all’evidenza. Resisterà un po’ di più lo Spagnolo (grazie al Sud America) ma sarà costretto a seguire la stessa via. Attenzione, anche l’Inghilterra dovrà rinunziare all’inglese perché la lingua che nel mondo per pigrizia chiamiamo inglese è in realtà il “Globish” il global English, una specie di lingua franca mondiale che deriva dall’inglese ma non lo è. Se guardate infatti in un qualsiasi computer le lingue fra cui scegliere per scrivere una lettera vi troverete una decina di “Inglesi” differenti.

La  cultura: l’argomento più difficile. Ho letto, studiato e riflettuto parecchio e mi sono fatto un’idea. Qual è l’essenza ultima della nostra cultura? La cultura “italiana”? A pensarci bene non credo proprio. Non esiste una vera e propria tradizione italiana, come non esiste una cucina italiana. Ne esistono varie: piemontese, veneta, toscana, romana, siciliana, lombarda etc. tutte con caratteristiche e gusti diversi. E le nostre tradizioni? Ogni città ha le sue, profondamente radicate in secoli e secoli di storia. Si può dire più o meno lo stesso se si confronta Amburgo e Monaco di Baviera o le realtà locali di qualunque nazione. Per non parlare della Spagna dove Castigliani, Baschi, Catalani etc. non si riconoscono neanche come parti di una stessa nazione.

E allora? Non stiamo assistendo solamente ad un “sovranismo” nazionale , ma ad una tendenza molto più radicata e profonda, anche se meno visibile, a ritrovare le proprie origine nelle singole regioni o città. Le città che, con i circondari, traggono le loro origini nelle antiche città romane e sono le uniche entità sopravvissute al farsi e disfarsi delle varie entità politiche più vaste.

Pensiamo quindi a un’ Europa composta dalle città che si possano riconoscere nella propria storia e nelle proprie origini comuni, e comincio da dove è nata la civiltà europea: Atene, Corinto, Olimpia, Spalato, Durazzo, Zara, Lissa, Belgrado, Radstadt, Salisburgo, Linz, Budapest, Vienna, Innsbruck, Bellinzona, Bourges, Clermont-Ferrand, Limoges, Bordeaux, Poitiers, Cambrai, Metz, Reims, Amiens, Verdun, Tours, Orleans, Rennes, Brest, Lione, Parigi, Nantes, Rouen, le Mans, Aix-en-Provence, Arles, Carcassonne, Marsiglia Nimes, Tolosa, Bonn, Utrecht, Strasburgo, Wiesbaden, Francoforte, Cordoba, Siviglia, Coimbra, Merida, Lisbona, Oporto, Salamanca, Saragozza, Granada, Segovia, Toledo, Valencia, etc. e non vi parlo delle città Italiane.

In tutte queste città potreste trovare monumenti analoghi, tracce di una storia che ha attraversato tutta l’Europa, dove più e dove meno. Queste sono le nostre radici comuni, ciò che ci lega veramente.

“LE CITTA”, è questo il disegno ideale di Piero Fassino quando lanciò a Torino il primo “Forum delle città della via ferroviaria della seta” il 27 novembre 2015, con la partecipazione di 30 città oggi diventate più di 50. Fassino lanciò il concetto di una “metropolitana euroasiatica” le cui stazioni sono costituite dalle città attraversate. Ciò “crea una nuova importante prospettiva che non è solamente trasportistica e commerciale, ma anche sociale, culturale e politica”.” “In un mondo in cui prevalgono tendenze globalistiche, le città stanno cominciando ad avere come in passato un ruolo centrale a cui dovettero abdicare al momento dell’apogeo degli stati nazionali. “Oggi torna a galla la fondamentale importanza delle città come centri simbolici di territori più vasti. Esse sono non solo portatrici di bisogni inestirpabili e valori di una dimensione locale in un mondo globalizzato, ma possono diventare protagoniste di processi su larga scala, la “glocalization” combinando i micro e i macro livelli”. Il 5 maggio 2016 Torino è diventata la sede permanente europea del Forum. Le città, con la loro storia, la loro cultura le loro tradizioni sono il punto unificante dell’Europa di oggi

Mi piace chiudere questa nota con le parole di Hu Chunchun, professore di storia politica tedesca della Tongji University di Shanghai. Ne trascrivo un piccolo stralcio

“Ciò che in Cina si ammira dell’Europa coincide del tutto con il nucleo profondo della coscienza europea: la consapevolezza di una faticosa ma riuscita realizzazione del contratto sociale, che rende possibile democrazia, Stato di diritto, tolleranza e benessere collettivo superando le divergenze nazionali. Di fronte a un’Europa così civile, ogni ambizione di tipo imperialistico ed egemonico appare obsoleta, financo ridicola. In Cina si attende con ansia di ricevere le risonanze di alcune esperienze della civiltà europea; quelle stesse esperienze che in Europa qualcuno ritiene superate. L’incomprensione per la paralisi che attanaglia l’Europa riguarda soprattutto la mancanza di coraggio degli europei.” ……. “In realtà, il vero motivo della crisi europea risiede nella mancanza di solidarietà. Ma tornare indietro, al filo spinato alle frontiere e al cambio di valuta, non è un’opzione credibile. Sono le frontiere che esistono nella testa delle persone a dover essere superate. L’Europa, uno dei «più ambiziosi progetti politici e sociali della modernità» è ben lungi dall’essere conclusa. “La moderna trasformazione del significato del lavoro determina una spaccatura nella società. In un’epoca di crisi, la paura degli individui socialmente non integrati è del tutto comprensibile, ma si lascia anche facilmente manipolare. Per superare queste fratture sociali è necessario riportare al centro del processo di maturazione collettivo un altro, più essenziale concetto politico dell’essere umano: la dignità. La stessa concezione del lavoro tocca, in ultima analisi, la questione della dignità dell’uomo. Il concetto kantiano è la chiave per una narrazione migliore del progetto europeo, che va ripensato alla luce delle mutate condizioni. Cos’è più importante: offrire ai greci la possibilità di una vita dignitosa, o abbandonarli ai meccanismi neoliberisti del capitale? Offrire ai profughi una possibilità di sopravvivenza, o continuare a predicare i diritti umani dall’interno di un paradiso blindato? E quanto alte dovrebbero esserne le mura di recinzione? Per rispondere con Kant: «L’umanità in se stessa è una dignità, poiché l’uomo non può essere trattato da nessuno (né da un altro, né da se stesso) come un semplice mezzo, ma deve sempre essere trattato come un fine. Precisamente in ciò consiste la sua dignità, la sua personalità, per cui egli si eleva al disopra di tutti gli altri esseri della natura. Se queste parole non resteranno inascoltate, nessuna crisi potrà mai togliere ai cittadini la speranza e la fiducia nella rettitudine del proprio agire.”

Ecco ciò che siamo ( spesso nostro malgrado) e come la parte del mondo più lontana dai noi ci vede: un faro di civiltà! Saremo in grado di realizzarlo?

Per chi fosse interessato, l’ultima parte di questa nota è stata estratta dall’ultima parte di un saggio in tre parti “Tutti contro tutti” che ho inserito parecchi mesi fa nella sezione “Come va il mondo” di questo sito.

Dove stiamo andando?

Ogni giorno sfogliando la stampa italiana leggo invettive sempre più sgangherate che gli esponenti della "nostra classe dirigente" si lanciano l'un l'altro. Nessun dibattito pacato, intellettualmente onesto e basato su un'appropriata conoscenza di causa è ormai possibile. Accade spesso di leggere, o vedere in televisione, che su uno stesso argomento i vari contendenti sciorinino come "veri e ufficiali" dati che si contraddicono l'un altro portando quindi il lettore o l'ascoltatore a credere che nessuno di essi abbia alcuna base di verità. Fino a non molti anni fa i nostri governanti si esprimevano con discorsi parlamentari o atti ufficiali; oggi tutto ciò è passato di moda ed essi si esprimono con Twitter o al massimo attraverso la partecipazione a un dibattito televisivo (in questo allineandosi a quanto succede ormai in tutto il mondo occidentale).Tutto ciò, sulla base di un concetto erroneo di che cosa sia la vera democrazia, che essa non possa prescindere dalla competenza di chi viene scelto per governarci, e che un Paese non possa essere governato sulla base dei "like" tipici dei nostri "social" o dei sondaggi di opinione.

Questa premessa potrebbe sembrare lo sfogo di una persona anziana che ricorda "i suoi tempi" come un’età dell'oro ormai scomparsa per sempre. Niente di più falso. Se ci troviamo in questa situazione credo che la mia generazione abbia delle responsabilità immense.

E vengo al dunque. Due sono gli effetti più evidenti degli errori della mia generazione:

-              l'enorme debito pubblico,

-              la progressiva distruzione dell'europeismo.

Non posso trattare a fondo entrambi i punti perché sarei troppo lungo. Voglio soffermarmi solo sul secondo perché' esso potrebbe portare alla distruzione della cultura e dell'intero sistema occidentale.

Parto da un estratto di quel meraviglioso, profetico documento di cui tutti parlano ma che pochi hanno realmente letto: il "Manifesto di Ventotene" che Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni scrissero nell'agosto 1941, uno dei periodi più oscuri della nostra storia.

“La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà...... L'ideologia dell'indipendenza nazionale è stata un potente lievito di progresso....Essa portava però in se' i germi del nazionalismo imperialista, che la nostra generazione ha visto ingigantire fino alla formazione degli stati totalitari ......La nazione non è più ora considerata come lo storico prodotto della convivenza degli uomini che .... trovano nel loro stato la forma più efficace per organizzare la vita collettiva entro il quadro di tutta la società umana”. Tutta la prima parte del “manifesto" fa una lucidissima e impietosa disamina di come si sia poco a poco creata la teoria dello "spazio vitale " e il militarismo tedesco da cui è poi nata la guerra.

Nella seconda parte, la più profetica, si da per certa la sconfitta della Germania e si parla della ricostruzione e dei suoi problemi.

“Nel breve intenso periodo di crisi generale........i ceti che più erano privilegiati nei vecchi sistemi nazionali cercheranno subdolamente o con la violenza di smorzare l'ondata dei sentimenti e delle passioni internazionalistiche...... si proclameranno amanti della pace, della libertà, del benessere delle classi più povere. Il punto su cui essi cercheranno di far leva sarà la restaurazione dello stato nazionale. Se raggiungessero questo scopo... risorgerebbero le gelosie nazionali....Il problema che in primo luogo va risolto.... è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani. Gli spiriti sono già ora molto meglio disposti ad un'organizzazione federale dell’Europa. Insolubili sono diventati i molteplici problemi che avvelenano la vita internazionale del continente: tracciati dei confini a popolazione mista, difesa delle minoranze allogene, sbocco al mare dei paesi situati nell'interno, questione balcanica, questione irlandese, etc. che troverebbero nella Federazione Europea la più semplice soluzione, come l'hanno trovata in passato i corrispondenti problemi degli staterelli entrati a far parte delle più vaste unità nazionali, quando hanno perso la loro acredine, trasformandosi in problemi di rapporti tra le diverse province. E quando, superando l'orizzonte del vecchio continente, si abbracci in una visione d’insieme tutti i popoli che costituiscono l’umanità bisogna pur riconoscere che la federazione europea è l'unica garanzia concepibile che i rapporti con i popoli asiatici e americani possano svolgersi su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un più lontano avvenire, in cui diventi possibile l’unità politica dell'intero globo.”

La terza parte del manifesto si occupa della ristrutturazione della società, essenzialmente quella italiana, interessantissima anch'essa ma fuori dal tema che sto trattando. La quarta e ultima tratta della maniera in cui, durante la dittatura nazifascista si debba cominciare a organizzare una forza nuova che, messe da parte le vecchie ideologie del passato, sia pronta a raccogliere le macerie del dopoguerra e iniziare la ricostruzione su nuove basi.

Sono passati 80 anni e che cosa è successo in questo periodo? I grandi statisti che nel dopoguerra si fecero carico della ricostruzione di un’Europa in macerie avevano bene in mente alcune parole “Mai più guerre in Europa”. Il ventesimo secolo, infatti, aveva visto in sostanza una sola guerra europea, dal 1915 al 1945, con una breve tregua al suo interno. La seconda guerra mondiale trovava, infatti, le sue cause dirette nel modo in cui si era chiusa la prima. E il secolo precedente? La guerra franco prussiana nel 1870, e prima ancora le guerre europee dal 1848 al 1860; e piu indietro le guerre napoleoniche che si chiusero con il Congresso di Vienna nel 1815. Se andiamo ancora indietro, e non voglio tediarvi oltre, arriviamo a Carlo Magno incoronato imperatore del Sacro Romano Impero la notte di Natale dell’anno 800. Egli è ritenuto comunemente (Monnet, Kohl, Schröder) il padre ideale dell’Europa unita dei giorni nostri. Carlo pose sotto il suo dominio quasi tutti i territori che oltre 1000 anni dopo costituirono il nucleo fondativo della Comunità Europea. Divise il suo impero in circa 200 province (riallacciandosi alle antiche città romane) e cercò di unificarlo da un punto di vista giuridico, finanziario, amministrativo ed anche linguistico cercando di ritornare al latino classico.  Soltanto dopo, con il trattato di Verdun dell’843 in cui i suoi nipoti si divisero l’impero, si cominciarono a delineare  tre stati che, specie la Francia, proseguirono per strade diverse formando, fra guerre continue, le odierne realtà nazionali. Nonostante ciò però nel Medioevo era frequente una specie di “Erasmus” ante litteram. I “Clerici vagantes” erano studenti universitari che perfezionavano i loro studi spostandosi fra una e l’altra delle grandi università europee, una testimonianza ulteriore dell’unicità della nostra cultura. Federico Barbarossa nel suo “Privilegium scholasticum”stabiliva dei privilegi e delle immunità speciali a favore degli studenti “stranieri” che perfezionavano i loro studi di diritto all’Università di Bologna. Nel frattempo si andavano formando le varie lingue nazionali che però furono sempre subordinate ai vari dialetti regionali.  Tullio De Mauro stimava che  nel 1861 solo una piccolissima percentuale degli abitanti dell’Italia unita (2.5%) sapesse esprimersi in lingua italiana.

Nel dopoguerra, e proprio per i motivi che vi accennavo all’inizio di questa nota, dei governanti illuminati non esitarono a costituire un embrione di una futura “Europa Unita” come quella sognata da Altiero Spinelli. Negli anni ’50 nasce la CECA e i suoi Paesi fondatori sono Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Olanda. Nel 1957 il trattato di Roma istituisce la CEE e con essa l’abbattimento progressivo dei dazi doganali. Negli anni ’70 il numero di stati aderenti cresce e nel 1979 il Parlamento Europeo viene eletto per la prima volta a suffragio universale. Nel 1986 nasce il Mercato Unico europeo, e si sanciscono gradualmente le “quattro libertà”: circolazione di beni, servizi, persone e capitali. Ci sono poi il trattato di Maastricht, quello di Amsterdam e quello di Lisbona. Il 1° gennaio 1999 nasce la moneta unica europea, il primo gennaio 2002 a mezzanotte mi ricordo ancora l’emozione di incassare al Bancomat i primi Euro, ed infine con la BCE siamo ad oggi.

Una grande corsa quindi e la federazione europea era considerata un obiettivo possibile. 

E poi?

Poi ci fu la crisi economica in cui tutti i governi, chi più chi meno, cominciarono ad attribuire all’Europa tutte le responsabilità delle proprie difficoltà nazionali; si formò una struttura centrale europea che andò sempre più burocratizzandosi proprio nel momento in cui bisognava parlare di ideali e non delle “dimensioni delle vongole”; un allargamento oltre misura del numero degli stati aderenti portò alla scomparsa degli ideali comuni. Il fenomeno dell’immigrazione in cui ogni Paese decise di badare a se stesso rinnegando ogni forma di solidarietà diede il colpo di grazia.

Oggi i partiti “sovranisti”, quelli cioè che reclamano un ritorno a una sovranità nazionale che ritengono ormai compromessa, hanno sempre più presa nell’opinione pubblica europea e sperano di raggiungere la maggioranza nel parlamento europeo che uscirà dalle urne nel prossimo aprile. Siamo quindi a un passo dalla distruzione di quanto era stato costruito negli ultimi ottant’anni, e il grido “mai più guerre in Europa” viene considerato come una favola dei libri di storia da parte di chi non conosce neanche per sentito dire i disastri della guerra e del dopo guerra.

Si dice: abbiamo storie e culture diverse, abbiamo diverse identità nazionali, abbiamo lingue diverse, vogliamo essere i padroni del nostro futuro. Ma è proprio vero tutto ciò? Vi do alcuni esempi che mi vengono subito in mente. Il sistema di comunicazioni europee, il TEN-T di cui vi ho parlato più volte ricalca il sistema viario dell’impero Romano come potete vedere nelle figure allegate. La generazione dei “millennials” oggi non riuscirebbe neanche a concepire la necessità di un passaporto per andare a Parigi o a Barcellona, e meno che mai concepirebbe la necessità di doversi munire in anticipo di Franchi e Pesetas perché le Lire non sarebbero accettate. La possibilità di studiare all’estero grazie all’Erasmus non è neanche messa in discussione. Il poter parlare per telefono o anche in videochiamata con i propri amici o parenti sparsi per l’Europa virtualmente gratis è dato per scontato. E potrei continuare a lungo.

Ma, si sostiene, dobbiamo, noi Italiani, o Francesi, o Tedeschi, avere la nostra totale indipendenza politica, economica e fiscale, lascio perdere l’indipendenza militare. Ma è ancora possibile nel mondo moderno? Nel 1992 un attacco speculativo senza precedenti costrinse la lira e la sterlina a uscire dal “serpente monetario europeo”, la lira perse il 40% del suo valore rispetto al marco tedesco, il presidente Amato fu costretto a fare in una notte un prelievo forzoso sui conti correnti degli italiani e per la prima volta ci fu una manovra finanziaria durissima (93000 miliardi). L’Italia, in un tentativo impossibile di resistere bruciò tutte le sue riserve valutarie e diede in pegno le sue riserve auree. Oggi, in un mondo inevitabilmente globalizzato dove le economie sono ormai su scala continentale, quale Paese Europeo potrebbe da solo opporsi agli USA, alla Cina e a breve anche all’India?  O più semplicemente alle forze transnazionali della speculazione? Ci rendiamo conto che l’intera Italia ha una popolazione pari a meno di metà della sola area metropolitana di Pechino (la Jingjinji di cui vi ho parlato)? Che nell’attuale guerra dei dazi che Trump ha mosso al resto del mondo, incluso l’unione europea, non avremmo alcun modo di opporci? Che il nostro debito è un fatto reale, non un’invenzione della politica, e che il  tasso di interesse nelle nostre aste di BTP andrebbe alle stelle? Che in un baleno ci ritroveremmo in una crisi ben peggiore di quella del 1992? Che non potremmo fare nulla di diverso di ciò che sta facendo l’Argentina in questi giorni, vale a dire la resa senza condizioni alle istituzioni internazionali? Questa è la verità che nessun politico vuole dire.

Resta l’ultimo argomento ed anche il più complesso: le differenze linguistiche e culturali. La nostra lingua, di cui andiamo giustamente orgogliosi, entro i prossimi cinquant’anni diventerà una “seconda lingua” perché chiunque vorrà viaggiare, commerciare, comunicare con il resto del mondo dovrà conoscere come “prima lingua” l’inglese, una lingua che paradossalmente dopo la Brexit non sarà lingua madre in nessun Paese dell’Unione Europea. Pensiamo forse di poter dialogare con il mondo in genovese, in Veneziano, in Siciliano o in Toscano? E allora, a livello mondiale (otto miliardi di persone) che differenza c’è fra il Veneto e l’Italiano? Sono entrambe minoranze trascurabili. Suvvia, siamo realisti, come è giusto mantenere i nostri dialetti, è anche giusto mantenere l’Italiano, ma di nuovo, a meno di pensare ad un’economia autarchica dovremo arrenderci all’evidenza. Resisterà un po’ di più lo Spagnolo (grazie al Sud America) ma sarà costretto a seguire la stessa via. Attenzione, anche l’Inghilterra dovrà rinunziare all’inglese perché la lingua che nel mondo per pigrizia chiamiamo inglese è in realtà il “Globish” il global English, una specie di lingua franca mondiale che deriva dall’inglese ma non lo è. Se guardate infatti in un qualsiasi computer le lingue fra cui scegliere per scrivere una lettera vi troverete una decina di “Inglesi” differenti.

La  cultura: l’argomento più difficile. Ho letto, studiato e riflettuto parecchio e mi sono fatto un’idea. Qual è l’essenza ultima della nostra cultura? La cultura “italiana”? A pensarci bene non credo proprio. Non esiste una vera e propria tradizione italiana, come non esiste una cucina italiana. Ne esistono varie: piemontese, veneta, toscana, romana, siciliana, lombarda etc. tutte con caratteristiche e gusti diversi. E le nostre tradizioni? Ogni città ha le sue, profondamente radicate in secoli e secoli di storia. Si può dire più o meno lo stesso se si confronta Amburgo e Monaco di Baviera o le realtà locali di qualunque nazione. Per non parlare della Spagna dove Castigliani, Baschi, Catalani etc. non si riconoscono neanche come parti di una stessa nazione.

E allora? Non stiamo assistendo solamente ad un “sovranismo” nazionale , ma ad una tendenza molto più radicata e profonda, anche se meno visibile, a ritrovare le proprie origine nelle singole regioni o città. Le città che, con i circondari, traggono le loro origini nelle antiche città romane e sono le uniche entità sopravvissute al farsi e disfarsi delle varie entità politiche più vaste.

Pensiamo quindi a un’ Europa composta dalle città che si possano riconoscere nella propria storia e nelle proprie origini comuni, e comincio da dove è nata la civiltà europea: Atene, Corinto, Olimpia, Spalato, Durazzo, Zara, Lissa, Belgrado, Radstadt, Salisburgo, Linz, Budapest, Vienna, Innsbruck, Bellinzona, Bourges, Clermont-Ferrand, Limoges, Bordeaux, Poitiers, Cambrai, Metz, Reims, Amiens, Verdun, Tours, Orleans, Rennes, Brest, Lione, Parigi, Nantes, Rouen, le Mans, Aix-en-Provence, Arles, Carcassonne, Marsiglia Nimes, Tolosa, Bonn, Utrecht, Strasburgo, Wiesbaden, Francoforte, Cordoba, Siviglia, Coimbra, Merida, Lisbona, Oporto, Salamanca, Saragozza, Granada, Segovia, Toledo, Valencia, etc. e non vi parlo delle città Italiane.

In tutte queste città potreste trovare monumenti analoghi, tracce di una storia che ha attraversato tutta l’Europa, dove più e dove meno. Queste sono le nostre radici comuni, ciò che ci lega veramente.

“LE CITTA”, è questo il disegno ideale di Piero Fassino quando lanciò a Torino il primo “Forum delle città della via ferroviaria della seta” il 27 novembre 2015, con la partecipazione di 30 città oggi diventate più di 50. Fassino lanciò il concetto di una “metropolitana euroasiatica” le cui stazioni sono costituite dalle città attraversate. Ciò “crea una nuova importante prospettiva che non è solamente trasportistica e commerciale, ma anche sociale, culturale e politica”.” “In un mondo in cui prevalgono tendenze globalistiche, le città stanno cominciando ad avere come in passato un ruolo centrale a cui dovettero abdicare al momento dell’apogeo degli stati nazionali. “Oggi torna a galla la fondamentale importanza delle città come centri simbolici di territori più vasti. Esse sono non solo portatrici di bisogni inestirpabili e valori di una dimensione locale in un mondo globalizzato, ma possono diventare protagoniste di processi su larga scala, la “glocalization” combinando i micro e i macro livelli”. Il 5 maggio 2016 Torino è diventata la sede permanente europea del Forum. Le città, con la loro storia, la loro cultura le loro tradizioni sono il punto unificante dell’Europa di oggi

Mi piace chiudere questa nota con le parole di Hu Chunchun, professore di storia politica tedesca della Tongji University di Shanghai. Ne trascrivo un piccolo stralcio

“Ciò che in Cina si ammira dell’Europa coincide del tutto con il nucleo profondo della coscienza europea: la consapevolezza di una faticosa ma riuscita realizzazione del contratto sociale, che rende possibile democrazia, Stato di diritto, tolleranza e benessere collettivo superando le divergenze nazionali. Di fronte a un’Europa così civile, ogni ambizione di tipo imperialistico ed egemonico appare obsoleta, financo ridicola. In Cina si attende con ansia di ricevere le risonanze di alcune esperienze della civiltà europea; quelle stesse esperienze che in Europa qualcuno ritiene superate. L’incomprensione per la paralisi che attanaglia l’Europa riguarda soprattutto la mancanza di coraggio degli europei.” ……. “In realtà, il vero motivo della crisi europea risiede nella mancanza di solidarietà. Ma tornare indietro, al filo spinato alle frontiere e al cambio di valuta, non è un’opzione credibile. Sono le frontiere che esistono nella testa delle persone a dover essere superate. L’Europa, uno dei «più ambiziosi progetti politici e sociali della modernità» è ben lungi dall’essere conclusa. “La moderna trasformazione del significato del lavoro determina una spaccatura nella società. In un’epoca di crisi, la paura degli individui socialmente non integrati è del tutto comprensibile, ma si lascia anche facilmente manipolare. Per superare queste fratture sociali è necessario riportare al centro del processo di maturazione collettivo un altro, più essenziale concetto politico dell’essere umano: la dignità. La stessa concezione del lavoro tocca, in ultima analisi, la questione della dignità dell’uomo. Il concetto kantiano è la chiave per una narrazione migliore del progetto europeo, che va ripensato alla luce delle mutate condizioni. Cos’è più importante: offrire ai greci la possibilità di una vita dignitosa, o abbandonarli ai meccanismi neoliberisti del capitale? Offrire ai profughi una possibilità di sopravvivenza, o continuare a predicare i diritti umani dall’interno di un paradiso blindato? E quanto alte dovrebbero esserne le mura di recinzione? Per rispondere con Kant: «L’umanità in se stessa è una dignità, poiché l’uomo non può essere trattato da nessuno (né da un altro, né da se stesso) come un semplice mezzo, ma deve sempre essere trattato come un fine. Precisamente in ciò consiste la sua dignità, la sua personalità, per cui egli si eleva al disopra di tutti gli altri esseri della natura. Se queste parole non resteranno inascoltate, nessuna crisi potrà mai togliere ai cittadini la speranza e la fiducia nella rettitudine del proprio agire.”

Ecco ciò che siamo ( spesso nostro malgrado) e come la parte del mondo più lontana dai noi ci vede: un faro di civiltà! Saremo in grado di realizzarlo?

Per chi fosse interessato, l’ultima parte di questa nota è stata estratta dall’ultima parte di un saggio in tre parti “Tutti contro tutti” che ho inserito parecchi mesi fa nella sezione “Come va il mondo” di questo sito.

L'ITALIA DEL "CHE C'ENTRA" 7 novembre 2019

Dove stiamo andando?

Ogni giorno sfogliando la stampa italiana leggo invettive sempre più sgangherate che gli esponenti della "nostra classe dirigente" si lanciano l'un l'altro. Nessun dibattito pacato, intellettualmente onesto e basato su un'appropriata conoscenza di causa è ormai possibile. Accade spesso di leggere, o vedere in televisione, che su uno stesso argomento i vari contendenti sciorinino come "veri e ufficiali" dati che si contraddicono l'un altro portando quindi il lettore o l'ascoltatore a credere che nessuno di essi abbia alcuna base di verità. Fino a non molti anni fa i nostri governanti si esprimevano con discorsi parlamentari o atti ufficiali; oggi tutto ciò è passato di moda ed essi si esprimono con Twitter o al massimo attraverso la partecipazione a un dibattito televisivo (in questo allineandosi a quanto succede ormai in tutto il mondo occidentale).Tutto ciò, sulla base di un concetto erroneo di che cosa sia la vera democrazia, che essa non possa prescindere dalla competenza di chi viene scelto per governarci, e che un Paese non possa essere governato sulla base dei "like" tipici dei nostri "social" o dei sondaggi di opinione.

Questa premessa potrebbe sembrare lo sfogo di una persona anziana che ricorda "i suoi tempi" come un’età dell'oro ormai scomparsa per sempre. Niente di più falso. Se ci troviamo in questa situazione credo che la mia generazione abbia delle responsabilità immense.

E vengo al dunque. Due sono gli effetti più evidenti degli errori della mia generazione:

-              l'enorme debito pubblico,

-              la progressiva distruzione dell'europeismo.

Non posso trattare a fondo entrambi i punti perché sarei troppo lungo. Voglio soffermarmi solo sul secondo perché' esso potrebbe portare alla distruzione della cultura e dell'intero sistema occidentale.

Parto da un estratto di quel meraviglioso, profetico documento di cui tutti parlano ma che pochi hanno realmente letto: il "Manifesto di Ventotene" che Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni scrissero nell'agosto 1941, uno dei periodi più oscuri della nostra storia.

“La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà...... L'ideologia dell'indipendenza nazionale è stata un potente lievito di progresso....Essa portava però in se' i germi del nazionalismo imperialista, che la nostra generazione ha visto ingigantire fino alla formazione degli stati totalitari ......La nazione non è più ora considerata come lo storico prodotto della convivenza degli uomini che .... trovano nel loro stato la forma più efficace per organizzare la vita collettiva entro il quadro di tutta la società umana”. Tutta la prima parte del “manifesto" fa una lucidissima e impietosa disamina di come si sia poco a poco creata la teoria dello "spazio vitale " e il militarismo tedesco da cui è poi nata la guerra.

Nella seconda parte, la più profetica, si da per certa la sconfitta della Germania e si parla della ricostruzione e dei suoi problemi.

“Nel breve intenso periodo di crisi generale........i ceti che più erano privilegiati nei vecchi sistemi nazionali cercheranno subdolamente o con la violenza di smorzare l'ondata dei sentimenti e delle passioni internazionalistiche...... si proclameranno amanti della pace, della libertà, del benessere delle classi più povere. Il punto su cui essi cercheranno di far leva sarà la restaurazione dello stato nazionale. Se raggiungessero questo scopo... risorgerebbero le gelosie nazionali....Il problema che in primo luogo va risolto.... è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani. Gli spiriti sono già ora molto meglio disposti ad un'organizzazione federale dell’Europa. Insolubili sono diventati i molteplici problemi che avvelenano la vita internazionale del continente: tracciati dei confini a popolazione mista, difesa delle minoranze allogene, sbocco al mare dei paesi situati nell'interno, questione balcanica, questione irlandese, etc. che troverebbero nella Federazione Europea la più semplice soluzione, come l'hanno trovata in passato i corrispondenti problemi degli staterelli entrati a far parte delle più vaste unità nazionali, quando hanno perso la loro acredine, trasformandosi in problemi di rapporti tra le diverse province. E quando, superando l'orizzonte del vecchio continente, si abbracci in una visione d’insieme tutti i popoli che costituiscono l’umanità bisogna pur riconoscere che la federazione europea è l'unica garanzia concepibile che i rapporti con i popoli asiatici e americani possano svolgersi su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un più lontano avvenire, in cui diventi possibile l’unità politica dell'intero globo.”

La terza parte del manifesto si occupa della ristrutturazione della società, essenzialmente quella italiana, interessantissima anch'essa ma fuori dal tema che sto trattando. La quarta e ultima tratta della maniera in cui, durante la dittatura nazifascista si debba cominciare a organizzare una forza nuova che, messe da parte le vecchie ideologie del passato, sia pronta a raccogliere le macerie del dopoguerra e iniziare la ricostruzione su nuove basi.

Sono passati 80 anni e che cosa è successo in questo periodo? I grandi statisti che nel dopoguerra si fecero carico della ricostruzione di un’Europa in macerie avevano bene in mente alcune parole “Mai più guerre in Europa”. Il ventesimo secolo, infatti, aveva visto in sostanza una sola guerra europea, dal 1915 al 1945, con una breve tregua al suo interno. La seconda guerra mondiale trovava, infatti, le sue cause dirette nel modo in cui si era chiusa la prima. E il secolo precedente? La guerra franco prussiana nel 1870, e prima ancora le guerre europee dal 1848 al 1860; e piu indietro le guerre napoleoniche che si chiusero con il Congresso di Vienna nel 1815. Se andiamo ancora indietro, e non voglio tediarvi oltre, arriviamo a Carlo Magno incoronato imperatore del Sacro Romano Impero la notte di Natale dell’anno 800. Egli è ritenuto comunemente (Monnet, Kohl, Schröder) il padre ideale dell’Europa unita dei giorni nostri. Carlo pose sotto il suo dominio quasi tutti i territori che oltre 1000 anni dopo costituirono il nucleo fondativo della Comunità Europea. Divise il suo impero in circa 200 province (riallacciandosi alle antiche città romane) e cercò di unificarlo da un punto di vista giuridico, finanziario, amministrativo ed anche linguistico cercando di ritornare al latino classico.  Soltanto dopo, con il trattato di Verdun dell’843 in cui i suoi nipoti si divisero l’impero, si cominciarono a delineare  tre stati che, specie la Francia, proseguirono per strade diverse formando, fra guerre continue, le odierne realtà nazionali. Nonostante ciò però nel Medioevo era frequente una specie di “Erasmus” ante litteram. I “Clerici vagantes” erano studenti universitari che perfezionavano i loro studi spostandosi fra una e l’altra delle grandi università europee, una testimonianza ulteriore dell’unicità della nostra cultura. Federico Barbarossa nel suo “Privilegium scholasticum”stabiliva dei privilegi e delle immunità speciali a favore degli studenti “stranieri” che perfezionavano i loro studi di diritto all’Università di Bologna. Nel frattempo si andavano formando le varie lingue nazionali che però furono sempre subordinate ai vari dialetti regionali.  Tullio De Mauro stimava che  nel 1861 solo una piccolissima percentuale degli abitanti dell’Italia unita (2.5%) sapesse esprimersi in lingua italiana.

Nel dopoguerra, e proprio per i motivi che vi accennavo all’inizio di questa nota, dei governanti illuminati non esitarono a costituire un embrione di una futura “Europa Unita” come quella sognata da Altiero Spinelli. Negli anni ’50 nasce la CECA e i suoi Paesi fondatori sono Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Olanda. Nel 1957 il trattato di Roma istituisce la CEE e con essa l’abbattimento progressivo dei dazi doganali. Negli anni ’70 il numero di stati aderenti cresce e nel 1979 il Parlamento Europeo viene eletto per la prima volta a suffragio universale. Nel 1986 nasce il Mercato Unico europeo, e si sanciscono gradualmente le “quattro libertà”: circolazione di beni, servizi, persone e capitali. Ci sono poi il trattato di Maastricht, quello di Amsterdam e quello di Lisbona. Il 1° gennaio 1999 nasce la moneta unica europea, il primo gennaio 2002 a mezzanotte mi ricordo ancora l’emozione di incassare al Bancomat i primi Euro, ed infine con la BCE siamo ad oggi.

Una grande corsa quindi e la federazione europea era considerata un obiettivo possibile. 

E poi?

Poi ci fu la crisi economica in cui tutti i governi, chi più chi meno, cominciarono ad attribuire all’Europa tutte le responsabilità delle proprie difficoltà nazionali; si formò una struttura centrale europea che andò sempre più burocratizzandosi proprio nel momento in cui bisognava parlare di ideali e non delle “dimensioni delle vongole”; un allargamento oltre misura del numero degli stati aderenti portò alla scomparsa degli ideali comuni. Il fenomeno dell’immigrazione in cui ogni Paese decise di badare a se stesso rinnegando ogni forma di solidarietà diede il colpo di grazia.

Oggi i partiti “sovranisti”, quelli cioè che reclamano un ritorno a una sovranità nazionale che ritengono ormai compromessa, hanno sempre più presa nell’opinione pubblica europea e sperano di raggiungere la maggioranza nel parlamento europeo che uscirà dalle urne nel prossimo aprile. Siamo quindi a un passo dalla distruzione di quanto era stato costruito negli ultimi ottant’anni, e il grido “mai più guerre in Europa” viene considerato come una favola dei libri di storia da parte di chi non conosce neanche per sentito dire i disastri della guerra e del dopo guerra.

Si dice: abbiamo storie e culture diverse, abbiamo diverse identità nazionali, abbiamo lingue diverse, vogliamo essere i padroni del nostro futuro. Ma è proprio vero tutto ciò? Vi do alcuni esempi che mi vengono subito in mente. Il sistema di comunicazioni europee, il TEN-T di cui vi ho parlato più volte ricalca il sistema viario dell’impero Romano come potete vedere nelle figure allegate. La generazione dei “millennials” oggi non riuscirebbe neanche a concepire la necessità di un passaporto per andare a Parigi o a Barcellona, e meno che mai concepirebbe la necessità di doversi munire in anticipo di Franchi e Pesetas perché le Lire non sarebbero accettate. La possibilità di studiare all’estero grazie all’Erasmus non è neanche messa in discussione. Il poter parlare per telefono o anche in videochiamata con i propri amici o parenti sparsi per l’Europa virtualmente gratis è dato per scontato. E potrei continuare a lungo.

Ma, si sostiene, dobbiamo, noi Italiani, o Francesi, o Tedeschi, avere la nostra totale indipendenza politica, economica e fiscale, lascio perdere l’indipendenza militare. Ma è ancora possibile nel mondo moderno? Nel 1992 un attacco speculativo senza precedenti costrinse la lira e la sterlina a uscire dal “serpente monetario europeo”, la lira perse il 40% del suo valore rispetto al marco tedesco, il presidente Amato fu costretto a fare in una notte un prelievo forzoso sui conti correnti degli italiani e per la prima volta ci fu una manovra finanziaria durissima (93000 miliardi). L’Italia, in un tentativo impossibile di resistere bruciò tutte le sue riserve valutarie e diede in pegno le sue riserve auree. Oggi, in un mondo inevitabilmente globalizzato dove le economie sono ormai su scala continentale, quale Paese Europeo potrebbe da solo opporsi agli USA, alla Cina e a breve anche all’India?  O più semplicemente alle forze transnazionali della speculazione? Ci rendiamo conto che l’intera Italia ha una popolazione pari a meno di metà della sola area metropolitana di Pechino (la Jingjinji di cui vi ho parlato)? Che nell’attuale guerra dei dazi che Trump ha mosso al resto del mondo, incluso l’unione europea, non avremmo alcun modo di opporci? Che il nostro debito è un fatto reale, non un’invenzione della politica, e che il  tasso di interesse nelle nostre aste di BTP andrebbe alle stelle? Che in un baleno ci ritroveremmo in una crisi ben peggiore di quella del 1992? Che non potremmo fare nulla di diverso di ciò che sta facendo l’Argentina in questi giorni, vale a dire la resa senza condizioni alle istituzioni internazionali? Questa è la verità che nessun politico vuole dire.

Resta l’ultimo argomento ed anche il più complesso: le differenze linguistiche e culturali. La nostra lingua, di cui andiamo giustamente orgogliosi, entro i prossimi cinquant’anni diventerà una “seconda lingua” perché chiunque vorrà viaggiare, commerciare, comunicare con il resto del mondo dovrà conoscere come “prima lingua” l’inglese, una lingua che paradossalmente dopo la Brexit non sarà lingua madre in nessun Paese dell’Unione Europea. Pensiamo forse di poter dialogare con il mondo in genovese, in Veneziano, in Siciliano o in Toscano? E allora, a livello mondiale (otto miliardi di persone) che differenza c’è fra il Veneto e l’Italiano? Sono entrambe minoranze trascurabili. Suvvia, siamo realisti, come è giusto mantenere i nostri dialetti, è anche giusto mantenere l’Italiano, ma di nuovo, a meno di pensare ad un’economia autarchica dovremo arrenderci all’evidenza. Resisterà un po’ di più lo Spagnolo (grazie al Sud America) ma sarà costretto a seguire la stessa via. Attenzione, anche l’Inghilterra dovrà rinunziare all’inglese perché la lingua che nel mondo per pigrizia chiamiamo inglese è in realtà il “Globish” il global English, una specie di lingua franca mondiale che deriva dall’inglese ma non lo è. Se guardate infatti in un qualsiasi computer le lingue fra cui scegliere per scrivere una lettera vi troverete una decina di “Inglesi” differenti.

La  cultura: l’argomento più difficile. Ho letto, studiato e riflettuto parecchio e mi sono fatto un’idea. Qual è l’essenza ultima della nostra cultura? La cultura “italiana”? A pensarci bene non credo proprio. Non esiste una vera e propria tradizione italiana, come non esiste una cucina italiana. Ne esistono varie: piemontese, veneta, toscana, romana, siciliana, lombarda etc. tutte con caratteristiche e gusti diversi. E le nostre tradizioni? Ogni città ha le sue, profondamente radicate in secoli e secoli di storia. Si può dire più o meno lo stesso se si confronta Amburgo e Monaco di Baviera o le realtà locali di qualunque nazione. Per non parlare della Spagna dove Castigliani, Baschi, Catalani etc. non si riconoscono neanche come parti di una stessa nazione.

E allora? Non stiamo assistendo solamente ad un “sovranismo” nazionale , ma ad una tendenza molto più radicata e profonda, anche se meno visibile, a ritrovare le proprie origine nelle singole regioni o città. Le città che, con i circondari, traggono le loro origini nelle antiche città romane e sono le uniche entità sopravvissute al farsi e disfarsi delle varie entità politiche più vaste.

Pensiamo quindi a un’ Europa composta dalle città che si possano riconoscere nella propria storia e nelle proprie origini comuni, e comincio da dove è nata la civiltà europea: Atene, Corinto, Olimpia, Spalato, Durazzo, Zara, Lissa, Belgrado, Radstadt, Salisburgo, Linz, Budapest, Vienna, Innsbruck, Bellinzona, Bourges, Clermont-Ferrand, Limoges, Bordeaux, Poitiers, Cambrai, Metz, Reims, Amiens, Verdun, Tours, Orleans, Rennes, Brest, Lione, Parigi, Nantes, Rouen, le Mans, Aix-en-Provence, Arles, Carcassonne, Marsiglia Nimes, Tolosa, Bonn, Utrecht, Strasburgo, Wiesbaden, Francoforte, Cordoba, Siviglia, Coimbra, Merida, Lisbona, Oporto, Salamanca, Saragozza, Granada, Segovia, Toledo, Valencia, etc. e non vi parlo delle città Italiane.

In tutte queste città potreste trovare monumenti analoghi, tracce di una storia che ha attraversato tutta l’Europa, dove più e dove meno. Queste sono le nostre radici comuni, ciò che ci lega veramente.

“LE CITTA”, è questo il disegno ideale di Piero Fassino quando lanciò a Torino il primo “Forum delle città della via ferroviaria della seta” il 27 novembre 2015, con la partecipazione di 30 città oggi diventate più di 50. Fassino lanciò il concetto di una “metropolitana euroasiatica” le cui stazioni sono costituite dalle città attraversate. Ciò “crea una nuova importante prospettiva che non è solamente trasportistica e commerciale, ma anche sociale, culturale e politica”.” “In un mondo in cui prevalgono tendenze globalistiche, le città stanno cominciando ad avere come in passato un ruolo centrale a cui dovettero abdicare al momento dell’apogeo degli stati nazionali. “Oggi torna a galla la fondamentale importanza delle città come centri simbolici di territori più vasti. Esse sono non solo portatrici di bisogni inestirpabili e valori di una dimensione locale in un mondo globalizzato, ma possono diventare protagoniste di processi su larga scala, la “glocalization” combinando i micro e i macro livelli”. Il 5 maggio 2016 Torino è diventata la sede permanente europea del Forum. Le città, con la loro storia, la loro cultura le loro tradizioni sono il punto unificante dell’Europa di oggi

Mi piace chiudere questa nota con le parole di Hu Chunchun, professore di storia politica tedesca della Tongji University di Shanghai. Ne trascrivo un piccolo stralcio

“Ciò che in Cina si ammira dell’Europa coincide del tutto con il nucleo profondo della coscienza europea: la consapevolezza di una faticosa ma riuscita realizzazione del contratto sociale, che rende possibile democrazia, Stato di diritto, tolleranza e benessere collettivo superando le divergenze nazionali. Di fronte a un’Europa così civile, ogni ambizione di tipo imperialistico ed egemonico appare obsoleta, financo ridicola. In Cina si attende con ansia di ricevere le risonanze di alcune esperienze della civiltà europea; quelle stesse esperienze che in Europa qualcuno ritiene superate. L’incomprensione per la paralisi che attanaglia l’Europa riguarda soprattutto la mancanza di coraggio degli europei.” ……. “In realtà, il vero motivo della crisi europea risiede nella mancanza di solidarietà. Ma tornare indietro, al filo spinato alle frontiere e al cambio di valuta, non è un’opzione credibile. Sono le frontiere che esistono nella testa delle persone a dover essere superate. L’Europa, uno dei «più ambiziosi progetti politici e sociali della modernità» è ben lungi dall’essere conclusa. “La moderna trasformazione del significato del lavoro determina una spaccatura nella società. In un’epoca di crisi, la paura degli individui socialmente non integrati è del tutto comprensibile, ma si lascia anche facilmente manipolare. Per superare queste fratture sociali è necessario riportare al centro del processo di maturazione collettivo un altro, più essenziale concetto politico dell’essere umano: la dignità. La stessa concezione del lavoro tocca, in ultima analisi, la questione della dignità dell’uomo. Il concetto kantiano è la chiave per una narrazione migliore del progetto europeo, che va ripensato alla luce delle mutate condizioni. Cos’è più importante: offrire ai greci la possibilità di una vita dignitosa, o abbandonarli ai meccanismi neoliberisti del capitale? Offrire ai profughi una possibilità di sopravvivenza, o continuare a predicare i diritti umani dall’interno di un paradiso blindato? E quanto alte dovrebbero esserne le mura di recinzione? Per rispondere con Kant: «L’umanità in se stessa è una dignità, poiché l’uomo non può essere trattato da nessuno (né da un altro, né da se stesso) come un semplice mezzo, ma deve sempre essere trattato come un fine. Precisamente in ciò consiste la sua dignità, la sua personalità, per cui egli si eleva al disopra di tutti gli altri esseri della natura. Se queste parole non resteranno inascoltate, nessuna crisi potrà mai togliere ai cittadini la speranza e la fiducia nella rettitudine del proprio agire.”

Ecco ciò che siamo ( spesso nostro malgrado) e come la parte del mondo più lontana dai noi ci vede: un faro di civiltà! Saremo in grado di realizzarlo?

Per chi fosse interessato, l’ultima parte di questa nota è stata estratta dall’ultima parte di un saggio in tre parti “Tutti contro tutti” che ho inserito parecchi mesi fa nella sezione “Come va il mondo” di questo sito.

Dove stiamo andando?

Dove stiamo andando?

Ogni giorno sfogliando la stampa italiana leggo invettive sempre più sgangherate che gli esponenti della "nostra classe dirigente" si lanciano l'un l'altro. Nessun dibattito pacato, intellettualmente onesto e basato su un'appropriata conoscenza di causa è ormai possibile. Accade spesso di leggere, o vedere in televisione, che su uno stesso argomento i vari contendenti sciorinino come "veri e ufficiali" dati che si contraddicono l'un altro portando quindi il lettore o l'ascoltatore a credere che nessuno di essi abbia alcuna base di verità. Fino a non molti anni fa i nostri governanti si esprimevano con discorsi parlamentari o atti ufficiali; oggi tutto ciò è passato di moda ed essi si esprimono con Twitter o al massimo attraverso la partecipazione a un dibattito televisivo (in questo allineandosi a quanto succede ormai in tutto il mondo occidentale).Tutto ciò, sulla base di un concetto erroneo di che cosa sia la vera democrazia, che essa non possa prescindere dalla competenza di chi viene scelto per governarci, e che un Paese non possa essere governato sulla base dei "like" tipici dei nostri "social" o dei sondaggi di opinione.

Questa premessa potrebbe sembrare lo sfogo di una persona anziana che ricorda "i suoi tempi" come un’età dell'oro ormai scomparsa per sempre. Niente di più falso. Se ci troviamo in questa situazione credo che la mia generazione abbia delle responsabilità immense.

E vengo al dunque. Due sono gli effetti più evidenti degli errori della mia generazione:

-              l'enorme debito pubblico,

-              la progressiva distruzione dell'europeismo.

Non posso trattare a fondo entrambi i punti perché sarei troppo lungo. Voglio soffermarmi solo sul secondo perché' esso potrebbe portare alla distruzione della cultura e dell'intero sistema occidentale.

Parto da un estratto di quel meraviglioso, profetico documento di cui tutti parlano ma che pochi hanno realmente letto: il "Manifesto di Ventotene" che Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni scrissero nell'agosto 1941, uno dei periodi più oscuri della nostra storia.

“La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà...... L'ideologia dell'indipendenza nazionale è stata un potente lievito di progresso....Essa portava però in se' i germi del nazionalismo imperialista, che la nostra generazione ha visto ingigantire fino alla formazione degli stati totalitari ......La nazione non è più ora considerata come lo storico prodotto della convivenza degli uomini che .... trovano nel loro stato la forma più efficace per organizzare la vita collettiva entro il quadro di tutta la società umana”. Tutta la prima parte del “manifesto" fa una lucidissima e impietosa disamina di come si sia poco a poco creata la teoria dello "spazio vitale " e il militarismo tedesco da cui è poi nata la guerra.

Nella seconda parte, la più profetica, si da per certa la sconfitta della Germania e si parla della ricostruzione e dei suoi problemi.

“Nel breve intenso periodo di crisi generale........i ceti che più erano privilegiati nei vecchi sistemi nazionali cercheranno subdolamente o con la violenza di smorzare l'ondata dei sentimenti e delle passioni internazionalistiche...... si proclameranno amanti della pace, della libertà, del benessere delle classi più povere. Il punto su cui essi cercheranno di far leva sarà la restaurazione dello stato nazionale. Se raggiungessero questo scopo... risorgerebbero le gelosie nazionali....Il problema che in primo luogo va risolto.... è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani. Gli spiriti sono già ora molto meglio disposti ad un'organizzazione federale dell’Europa. Insolubili sono diventati i molteplici problemi che avvelenano la vita internazionale del continente: tracciati dei confini a popolazione mista, difesa delle minoranze allogene, sbocco al mare dei paesi situati nell'interno, questione balcanica, questione irlandese, etc. che troverebbero nella Federazione Europea la più semplice soluzione, come l'hanno trovata in passato i corrispondenti problemi degli staterelli entrati a far parte delle più vaste unità nazionali, quando hanno perso la loro acredine, trasformandosi in problemi di rapporti tra le diverse province. E quando, superando l'orizzonte del vecchio continente, si abbracci in una visione d’insieme tutti i popoli che costituiscono l’umanità bisogna pur riconoscere che la federazione europea è l'unica garanzia concepibile che i rapporti con i popoli asiatici e americani possano svolgersi su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un più lontano avvenire, in cui diventi possibile l’unità politica dell'intero globo.”

La terza parte del manifesto si occupa della ristrutturazione della società, essenzialmente quella italiana, interessantissima anch'essa ma fuori dal tema che sto trattando. La quarta e ultima tratta della maniera in cui, durante la dittatura nazifascista si debba cominciare a organizzare una forza nuova che, messe da parte le vecchie ideologie del passato, sia pronta a raccogliere le macerie del dopoguerra e iniziare la ricostruzione su nuove basi.

Sono passati 80 anni e che cosa è successo in questo periodo? I grandi statisti che nel dopoguerra si fecero carico della ricostruzione di un’Europa in macerie avevano bene in mente alcune parole “Mai più guerre in Europa”. Il ventesimo secolo, infatti, aveva visto in sostanza una sola guerra europea, dal 1915 al 1945, con una breve tregua al suo interno. La seconda guerra mondiale trovava, infatti, le sue cause dirette nel modo in cui si era chiusa la prima. E il secolo precedente? La guerra franco prussiana nel 1870, e prima ancora le guerre europee dal 1848 al 1860; e piu indietro le guerre napoleoniche che si chiusero con il Congresso di Vienna nel 1815. Se andiamo ancora indietro, e non voglio tediarvi oltre, arriviamo a Carlo Magno incoronato imperatore del Sacro Romano Impero la notte di Natale dell’anno 800. Egli è ritenuto comunemente (Monnet, Kohl, Schröder) il padre ideale dell’Europa unita dei giorni nostri. Carlo pose sotto il suo dominio quasi tutti i territori che oltre 1000 anni dopo costituirono il nucleo fondativo della Comunità Europea. Divise il suo impero in circa 200 province (riallacciandosi alle antiche città romane) e cercò di unificarlo da un punto di vista giuridico, finanziario, amministrativo ed anche linguistico cercando di ritornare al latino classico.  Soltanto dopo, con il trattato di Verdun dell’843 in cui i suoi nipoti si divisero l’impero, si cominciarono a delineare  tre stati che, specie la Francia, proseguirono per strade diverse formando, fra guerre continue, le odierne realtà nazionali. Nonostante ciò però nel Medioevo era frequente una specie di “Erasmus” ante litteram. I “Clerici vagantes” erano studenti universitari che perfezionavano i loro studi spostandosi fra una e l’altra delle grandi università europee, una testimonianza ulteriore dell’unicità della nostra cultura. Federico Barbarossa nel suo “Privilegium scholasticum”stabiliva dei privilegi e delle immunità speciali a favore degli studenti “stranieri” che perfezionavano i loro studi di diritto all’Università di Bologna. Nel frattempo si andavano formando le varie lingue nazionali che però furono sempre subordinate ai vari dialetti regionali.  Tullio De Mauro stimava che  nel 1861 solo una piccolissima percentuale degli abitanti dell’Italia unita (2.5%) sapesse esprimersi in lingua italiana.

Nel dopoguerra, e proprio per i motivi che vi accennavo all’inizio di questa nota, dei governanti illuminati non esitarono a costituire un embrione di una futura “Europa Unita” come quella sognata da Altiero Spinelli. Negli anni ’50 nasce la CECA e i suoi Paesi fondatori sono Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Olanda. Nel 1957 il trattato di Roma istituisce la CEE e con essa l’abbattimento progressivo dei dazi doganali. Negli anni ’70 il numero di stati aderenti cresce e nel 1979 il Parlamento Europeo viene eletto per la prima volta a suffragio universale. Nel 1986 nasce il Mercato Unico europeo, e si sanciscono gradualmente le “quattro libertà”: circolazione di beni, servizi, persone e capitali. Ci sono poi il trattato di Maastricht, quello di Amsterdam e quello di Lisbona. Il 1° gennaio 1999 nasce la moneta unica europea, il primo gennaio 2002 a mezzanotte mi ricordo ancora l’emozione di incassare al Bancomat i primi Euro, ed infine con la BCE siamo ad oggi.

Una grande corsa quindi e la federazione europea era considerata un obiettivo possibile. 

E poi?

Poi ci fu la crisi economica in cui tutti i governi, chi più chi meno, cominciarono ad attribuire all’Europa tutte le responsabilità delle proprie difficoltà nazionali; si formò una struttura centrale europea che andò sempre più burocratizzandosi proprio nel momento in cui bisognava parlare di ideali e non delle “dimensioni delle vongole”; un allargamento oltre misura del numero degli stati aderenti portò alla scomparsa degli ideali comuni. Il fenomeno dell’immigrazione in cui ogni Paese decise di badare a se stesso rinnegando ogni forma di solidarietà diede il colpo di grazia.

Oggi i partiti “sovranisti”, quelli cioè che reclamano un ritorno a una sovranità nazionale che ritengono ormai compromessa, hanno sempre più presa nell’opinione pubblica europea e sperano di raggiungere la maggioranza nel parlamento europeo che uscirà dalle urne nel prossimo aprile. Siamo quindi a un passo dalla distruzione di quanto era stato costruito negli ultimi ottant’anni, e il grido “mai più guerre in Europa” viene considerato come una favola dei libri di storia da parte di chi non conosce neanche per sentito dire i disastri della guerra e del dopo guerra.

Si dice: abbiamo storie e culture diverse, abbiamo diverse identità nazionali, abbiamo lingue diverse, vogliamo essere i padroni del nostro futuro. Ma è proprio vero tutto ciò? Vi do alcuni esempi che mi vengono subito in mente. Il sistema di comunicazioni europee, il TEN-T di cui vi ho parlato più volte ricalca il sistema viario dell’impero Romano come potete vedere nelle figure allegate. La generazione dei “millennials” oggi non riuscirebbe neanche a concepire la necessità di un passaporto per andare a Parigi o a Barcellona, e meno che mai concepirebbe la necessità di doversi munire in anticipo di Franchi e Pesetas perché le Lire non sarebbero accettate. La possibilità di studiare all’estero grazie all’Erasmus non è neanche messa in discussione. Il poter parlare per telefono o anche in videochiamata con i propri amici o parenti sparsi per l’Europa virtualmente gratis è dato per scontato. E potrei continuare a lungo.

Ma, si sostiene, dobbiamo, noi Italiani, o Francesi, o Tedeschi, avere la nostra totale indipendenza politica, economica e fiscale, lascio perdere l’indipendenza militare. Ma è ancora possibile nel mondo moderno? Nel 1992 un attacco speculativo senza precedenti costrinse la lira e la sterlina a uscire dal “serpente monetario europeo”, la lira perse il 40% del suo valore rispetto al marco tedesco, il presidente Amato fu costretto a fare in una notte un prelievo forzoso sui conti correnti degli italiani e per la prima volta ci fu una manovra finanziaria durissima (93000 miliardi). L’Italia, in un tentativo impossibile di resistere bruciò tutte le sue riserve valutarie e diede in pegno le sue riserve auree. Oggi, in un mondo inevitabilmente globalizzato dove le economie sono ormai su scala continentale, quale Paese Europeo potrebbe da solo opporsi agli USA, alla Cina e a breve anche all’India?  O più semplicemente alle forze transnazionali della speculazione? Ci rendiamo conto che l’intera Italia ha una popolazione pari a meno di metà della sola area metropolitana di Pechino (la Jingjinji di cui vi ho parlato)? Che nell’attuale guerra dei dazi che Trump ha mosso al resto del mondo, incluso l’unione europea, non avremmo alcun modo di opporci? Che il nostro debito è un fatto reale, non un’invenzione della politica, e che il  tasso di interesse nelle nostre aste di BTP andrebbe alle stelle? Che in un baleno ci ritroveremmo in una crisi ben peggiore di quella del 1992? Che non potremmo fare nulla di diverso di ciò che sta facendo l’Argentina in questi giorni, vale a dire la resa senza condizioni alle istituzioni internazionali? Questa è la verità che nessun politico vuole dire.

Resta l’ultimo argomento ed anche il più complesso: le differenze linguistiche e culturali. La nostra lingua, di cui andiamo giustamente orgogliosi, entro i prossimi cinquant’anni diventerà una “seconda lingua” perché chiunque vorrà viaggiare, commerciare, comunicare con il resto del mondo dovrà conoscere come “prima lingua” l’inglese, una lingua che paradossalmente dopo la Brexit non sarà lingua madre in nessun Paese dell’Unione Europea. Pensiamo forse di poter dialogare con il mondo in genovese, in Veneziano, in Siciliano o in Toscano? E allora, a livello mondiale (otto miliardi di persone) che differenza c’è fra il Veneto e l’Italiano? Sono entrambe minoranze trascurabili. Suvvia, siamo realisti, come è giusto mantenere i nostri dialetti, è anche giusto mantenere l’Italiano, ma di nuovo, a meno di pensare ad un’economia autarchica dovremo arrenderci all’evidenza. Resisterà un po’ di più lo Spagnolo (grazie al Sud America) ma sarà costretto a seguire la stessa via. Attenzione, anche l’Inghilterra dovrà rinunziare all’inglese perché la lingua che nel mondo per pigrizia chiamiamo inglese è in realtà il “Globish” il global English, una specie di lingua franca mondiale che deriva dall’inglese ma non lo è. Se guardate infatti in un qualsiasi computer le lingue fra cui scegliere per scrivere una lettera vi troverete una decina di “Inglesi” differenti.

La  cultura: l’argomento più difficile. Ho letto, studiato e riflettuto parecchio e mi sono fatto un’idea. Qual è l’essenza ultima della nostra cultura? La cultura “italiana”? A pensarci bene non credo proprio. Non esiste una vera e propria tradizione italiana, come non esiste una cucina italiana. Ne esistono varie: piemontese, veneta, toscana, romana, siciliana, lombarda etc. tutte con caratteristiche e gusti diversi. E le nostre tradizioni? Ogni città ha le sue, profondamente radicate in secoli e secoli di storia. Si può dire più o meno lo stesso se si confronta Amburgo e Monaco di Baviera o le realtà locali di qualunque nazione. Per non parlare della Spagna dove Castigliani, Baschi, Catalani etc. non si riconoscono neanche come parti di una stessa nazione.

E allora? Non stiamo assistendo solamente ad un “sovranismo” nazionale , ma ad una tendenza molto più radicata e profonda, anche se meno visibile, a ritrovare le proprie origine nelle singole regioni o città. Le città che, con i circondari, traggono le loro origini nelle antiche città romane e sono le uniche entità sopravvissute al farsi e disfarsi delle varie entità politiche più vaste.

Pensiamo quindi a un’ Europa composta dalle città che si possano riconoscere nella propria storia e nelle proprie origini comuni, e comincio da dove è nata la civiltà europea: Atene, Corinto, Olimpia, Spalato, Durazzo, Zara, Lissa, Belgrado, Radstadt, Salisburgo, Linz, Budapest, Vienna, Innsbruck, Bellinzona, Bourges, Clermont-Ferrand, Limoges, Bordeaux, Poitiers, Cambrai, Metz, Reims, Amiens, Verdun, Tours, Orleans, Rennes, Brest, Lione, Parigi, Nantes, Rouen, le Mans, Aix-en-Provence, Arles, Carcassonne, Marsiglia Nimes, Tolosa, Bonn, Utrecht, Strasburgo, Wiesbaden, Francoforte, Cordoba, Siviglia, Coimbra, Merida, Lisbona, Oporto, Salamanca, Saragozza, Granada, Segovia, Toledo, Valencia, etc. e non vi parlo delle città Italiane.

In tutte queste città potreste trovare monumenti analoghi, tracce di una storia che ha attraversato tutta l’Europa, dove più e dove meno. Queste sono le nostre radici comuni, ciò che ci lega veramente.

“LE CITTA”, è questo il disegno ideale di Piero Fassino quando lanciò a Torino il primo “Forum delle città della via ferroviaria della seta” il 27 novembre 2015, con la partecipazione di 30 città oggi diventate più di 50. Fassino lanciò il concetto di una “metropolitana euroasiatica” le cui stazioni sono costituite dalle città attraversate. Ciò “crea una nuova importante prospettiva che non è solamente trasportistica e commerciale, ma anche sociale, culturale e politica”.” “In un mondo in cui prevalgono tendenze globalistiche, le città stanno cominciando ad avere come in passato un ruolo centrale a cui dovettero abdicare al momento dell’apogeo degli stati nazionali. “Oggi torna a galla la fondamentale importanza delle città come centri simbolici di territori più vasti. Esse sono non solo portatrici di bisogni inestirpabili e valori di una dimensione locale in un mondo globalizzato, ma possono diventare protagoniste di processi su larga scala, la “glocalization” combinando i micro e i macro livelli”. Il 5 maggio 2016 Torino è diventata la sede permanente europea del Forum. Le città, con la loro storia, la loro cultura le loro tradizioni sono il punto unificante dell’Europa di oggi

Mi piace chiudere questa nota con le parole di Hu Chunchun, professore di storia politica tedesca della Tongji University di Shanghai. Ne trascrivo un piccolo stralcio

“Ciò che in Cina si ammira dell’Europa coincide del tutto con il nucleo profondo della coscienza europea: la consapevolezza di una faticosa ma riuscita realizzazione del contratto sociale, che rende possibile democrazia, Stato di diritto, tolleranza e benessere collettivo superando le divergenze nazionali. Di fronte a un’Europa così civile, ogni ambizione di tipo imperialistico ed egemonico appare obsoleta, financo ridicola. In Cina si attende con ansia di ricevere le risonanze di alcune esperienze della civiltà europea; quelle stesse esperienze che in Europa qualcuno ritiene superate. L’incomprensione per la paralisi che attanaglia l’Europa riguarda soprattutto la mancanza di coraggio degli europei.” ……. “In realtà, il vero motivo della crisi europea risiede nella mancanza di solidarietà. Ma tornare indietro, al filo spinato alle frontiere e al cambio di valuta, non è un’opzione credibile. Sono le frontiere che esistono nella testa delle persone a dover essere superate. L’Europa, uno dei «più ambiziosi progetti politici e sociali della modernità» è ben lungi dall’essere conclusa. “La moderna trasformazione del significato del lavoro determina una spaccatura nella società. In un’epoca di crisi, la paura degli individui socialmente non integrati è del tutto comprensibile, ma si lascia anche facilmente manipolare. Per superare queste fratture sociali è necessario riportare al centro del processo di maturazione collettivo un altro, più essenziale concetto politico dell’essere umano: la dignità. La stessa concezione del lavoro tocca, in ultima analisi, la questione della dignità dell’uomo. Il concetto kantiano è la chiave per una narrazione migliore del progetto europeo, che va ripensato alla luce delle mutate condizioni. Cos’è più importante: offrire ai greci la possibilità di una vita dignitosa, o abbandonarli ai meccanismi neoliberisti del capitale? Offrire ai profughi una possibilità di sopravvivenza, o continuare a predicare i diritti umani dall’interno di un paradiso blindato? E quanto alte dovrebbero esserne le mura di recinzione? Per rispondere con Kant: «L’umanità in se stessa è una dignità, poiché l’uomo non può essere trattato da nessuno (né da un altro, né da se stesso) come un semplice mezzo, ma deve sempre essere trattato come un fine. Precisamente in ciò consiste la sua dignità, la sua personalità, per cui egli si eleva al disopra di tutti gli altri esseri della natura. Se queste parole non resteranno inascoltate, nessuna crisi potrà mai togliere ai cittadini la speranza e la fiducia nella rettitudine del proprio agire.”

Ecco ciò che siamo ( spesso nostro malgrado) e come la parte del mondo più lontana dai noi ci vede: un faro di civiltà! Saremo in grado di realizzarlo?

Per chi fosse interessato, l’ultima parte di questa nota è stata estratta dall’ultima parte di un saggio in tre parti “Tutti contro tutti” che ho inserito parecchi mesi fa nella sezione “Come va il mondo” di questo sito.

Fig. 1 L'Europa del trattato di Verdun

Fig. 2 Le strade di comunicazione dell'impero romano

Fig. 3 I grandi assi di comunicazione europei

Francesco fra i Buddisti

Papa Francesco fra i Buddisti

La visita di Bergoglio in Myanmar, la prima di un Papa cattolico, credo che debba essere annoverata fra i fatti importanti della storia così travagliata del mondo di oggi.

Prima della sua partenza era stato avvisato di non parlare direttamente e in pubblico del tema dei Rohingya, la minoranza mussulmana, oggetto in questi giorni di una vera persecuzione che li costringe a scappare (fino ad ora 620.000) in Bangladesh, uno dei Paesi più poveri del mondo che, nonostante ciò, li sta ospitando senza bloccare le frontiere (una lezione anche questa all’intero Occidente).

Si è però trovato ad affrontare la fascia più estremista dello stesso Buddismo birmano. La Patriotic Myanmar Monks Union (PMMU) si è schierata infatti contro la visita e contro il governo birmano stesso per aver invitato Francesco. La PMMU è oggi una frangia “anomala” nel buddismo e si caratterizza per il suo estremismo feroce e violento che considera nemici sia gli islamici che i cristiani. Come si vede, tutte le religioni e le filosofie senza alcuna eccezione, anche quelle intrinsecamente pacifiche, diventano estremiste quando si mescolano con nazionalismi e razzismi di tutte le specie.

Non era quindi un viaggio facile per Francesco che tuttavia non si è tirato indietro, nel tentativo di portare avanti il suo messaggio di pace al di là di ogni credo religioso.

Come sapete voi che mi leggete, la mia esperienza di contatti con gente di tutto il mondo mi ha portato alla convinzione profonda che tutti noi, qualunque sia la nostra razza, la cultura cui apparteniamo, il ceto sociale, e indipendentemente se credenti in qualsiasi religione oppure atei, agnostici o indifferenti, tutti noi abbiamo insiti in noi stessi fin dalla nascita i concetti di amore, di bene e di male. Essi sono assolutamente identici sotto ogni latitudine. Come ho detto una volta l’amore di una madre verso un figlio e il dolore per la sua morte sono identici in Cina come in Italia o in America: cambia, e notevolmente, solo il modo di esprimerlo. Allo stesso modo ognuno di noi non può, non riesce a nascondere a se stesso se un’azione sia buona o malvagia, indipendentemente da come si comporta, ed i canoni di giudizio sono assolutamente universali.  Diceva Seneca (cito approssimativamente a memoria senza fare alcuna ricerca) “Il fatto che io non persegua il bene non vuol dire che non lo conosca”.

Questa mia convinzione profonda rende per me ancora più significativo il messaggio di Bergoglio ben più autorevole del mio, soprattutto un passaggio di esso che mi ha colpito particolarmente.

Durante la terza giornata della sua visita, il Papa si è recato nel complesso del “Kaba Aye Center”, in uno dei templi più noti e venerati del Sud-Est asiatico. Lì, accolto dal Ministro per gli affari religiosi e la cultura, ha incontrato il consiglio Supremo “Sangha” dei monaci Buddisti. Entrato nella grande sala del complesso, Francesco si è tolto le scarpe come prescrivono le regole di molte religioni fra cui il buddismo, ha salutato il presidente dei monaci, ha ricevuto il suo benvenuto, e quindi ha pronunciato il suo discorso in Italiano.

Vi riporto qui ampli stralci di esso e in allegato l’intero discorso:

-          E’ una grande gioia per me essere qui con voi. Ringrazio il Ven. Bhaddanta Kumarabhivamsa, Presidente del Comitato di Stato Sangha Maha Nayaka, per le sue parole di benvenuto e per il suo impegno nell’organizzare la mia visita qui oggi.

-          Il nostro incontro è un’importante occasione per rinnovare e rafforzare i legami di amicizia e rispetto fra buddisti e cattolici. E’ anche un’opportunità per affermare il nostro impegno per la pace, il rispetto della dignità umana e la giustizia per ogni uomo e donna.

-          In tutto il mondo, le persone hanno bisogno di questa comune testimonianza da parte dei leader religiosi. Perché quando noi parliamo con una sola voce, affermando i valori perenni della giustizia, della pace e della dignità fondamentale di ogni essere umano, noi offriamo una parola di speranza.

-          In ogni epoca, l’umanità sperimenta ingiustizie, momenti di conflitto e disuguaglianza tra le persone. Nel nostro tempo queste difficoltà sembrano essere particolarmente gravi.

-          Le ferite dei conflitti, della povertà e delle oppressioni persistono, e creano nuove divisioni. Di fronte a queste sfide, non dobbiamo mai rassegnarci. Sulla base delle nostre rispettive tradizioni spirituali, sappiamo infatti che esiste una via per andare avanti, una via che porta alla guarigione, alla mutua comprensione e al rispetto. Una via basata sulla compassione e sull’amore.

-          Attraverso gli insegnamenti del Buddha, e la zelante testimonianza di così tanti monaci e monache, la gente di questa terra è stata formata ai valori della pazienza, della tolleranza e del rispetto della vita, come pure a una spiritualità attenta e profondamente rispettosa del nostro ambiente naturale. Come sappiamo, questi valori sono essenziali per uno sviluppo integrale della società, a partire dalla più piccola ma più essenziale unità, la famiglia, per estendersi poi alla rete di relazioni che ci pongono in stretta connessione, relazioni radicate nella cultura, nell’appartenenza etnica e nazionale, ma in ultima analisi radicate nell’appartenenza alla comune umanità.

-          Se siamo chiamati ad essere uniti, come è nostro proposito, dobbiamo superare tutte le forme di incomprensione, di intolleranza, di pregiudizio e di odio. Come possiamo farlo? Le parole del Buddha offrono a ciascuno di noi una guida “ Sconfiggi la rabbia con la non-rabbia, sconfiggi il malvagio con la bontà, sconfiggi l’avaro con la generosità, sconfiggi il menzognero con la verità” (Dhammapada, XVII, 223). Sentimenti simili esprime la preghiera attribuita a San Francesco d’Assisi “ Signore fammi strumento della tua pace. Dov’è odio che io porti l’amore, dov’è l’offesa che io porti il perdono, dove ci sono le tenebre che io porti la luce, dov’è tristezza che io porti la gioia” <Due persone di cultura così diversa, così lontane fra loro nel tempo e nello spazio sono state capaci di esprimere in poche parole gli stessi valori universali. La loro applicazione, anche parziale, risolverebbe i problemi del mondo . ndr>

-          Tali sforzi non sono mai solo prerogative di leader religiosi, né sono di esclusiva competenza dello Stato. Piuttosto, è l’intera società, tutti coloro che sono presenti all’interno delle comunità, che devono condividere il lavoro di superamento del conflitto e dell’ingiustizia.

-          La giustizia autentica e la pace duratura possono essere raggiunte solo quando sono garantite per tutti.

-          Possano i buddisti e i cattolici camminare insieme lungo questo sentieri di guarigione, e lavorare fianco a fianco per il bene di ciascun abitante di questa terra.

 

Non credo che esista alcun essere umano su questa Terra che non possa sottoscrivere queste parole, qualunque siano le sue opinioni su ogni aspetto dell’esistenza. In questo consiste la grandezza di Francesco.

Essere convinti che ciascuno di noi debba fare la sua parte e che non sia sempre compito di “qualcun altro”  è  purtroppo un altro paio di maniche.

 

Le manifestazioni degli oltransisti

immagine 1 - Il testo del discorso pag 1

immagine 2 - Il testo del discorso pag. 2

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Riflessioni di inizio anno

Riflessioni di inizio Anno

“Ciascuno ha diritto al lavoro, a giuste e favorevoli condizioni di lavoro, alla protezione per se stesso e la propria famiglia, e a un’esistenza conforme alla dignità umana……Ciascuno ha diritto a condizioni di vita sufficienti ad assicurare la salute e il benessere proprio e della propria famiglia, inclusa l’alimentazione, i vestiti, la casa e l’assistenza medica”

Non è la prima volta che cito la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, ma per me questo documento, l’unico condiviso (e poi disatteso per larga parte) da tutto il mondo, pur con i suoi limiti dovrebbe stare sui comodini di tutti noi.

Oggi sono dati accettati da tutti: la povertà nel mondo si è ridotta come mai nella storia (fig.1) e popoli che sono vissuti sempre nella miseria più nera cominciano a vedere una luce in fondo al tunnel. Da oltre settant’anni non abbiamo più il flagello delle grandi guerre ed anche questo non è mai accaduto nella storia del mondo occidentale negli ultimi duemila anni. E’ vero, esistono una miriade di conflitti locali e siamo costretti a vivere nell’incubo di un attentato, ma quasi nessuno di noi conosce il terrore generato dall’ululato delle sirene che annunziavano all’improvviso un bombardamento aereo. I nostri padri erano costretti a correre nei rifugi e non sapevano se, uscendone, avrebbero trovato la loro casa.

Osservando il mondo “dalla Luna” come è il titolo di questo blog dovremmo essere felici ed aspettare una nuova età dell’oro, questa volta a livello mondiale. E invece…..

Invece, se ci guardiamo intorno in Italia e più in generale nel mondo occidentale, vediamo che la tristezza, la disillusione, il pessimismo e la paura della povertà, la povertà vera che ormai da decenni non conoscevamo più, invade tutti noi.

Leggo sui giornali che in questi giorni di grande freddo otto poveri disgraziati sono morti  per strada nell’indifferenza sostanziale di tutti. Nella sua tragicità non è questo, o episodi simili, che determinano la cupezza del cielo intorno a me. E non lo sono neanche altre tragedie, più devastanti, che abbiamo visto negli ultimi mesi. Il tragico terremoto dell’Italia centrale ha certamente sconvolto la vita di migliaia di persone, ma, forse anche per i soccorsi immediati e questa volta (sembra) efficaci, forse per la partecipazione corale che questi poveri disgraziati hanno visto attorno a loro da tutta Italia, in mezzo al disastro (a quanto si vede dalle interviste) anche loro vedono una possibilità di luce, anche se incerta e lontana.

Ciò che scorgo intorno a me è la disperazione di un’intera classe, la cosiddetta “classe media”, che vede un futuro nerissimo per sé e per i propri figli, che guardando al 2017 e, peggio ancora al 2018, vede miseria, una miseria che non aveva mai sperimentato prima. Soprattutto vedo i giovani, quelli che dovrebbero essere i portabandiera del futuro e dell’ottimismo, preda di una disillusione assoluta, senza alcuna speranza per il futuro: una generazione perduta. Ho una marea di dati e di statistiche che, a livello di tutto il mondo occidentale, dimostrano ciò e una volta tanto non voglio chiudere i discorsi con numeri e statistiche, ma con uno stato d’animo.

Che sta succedendo? Sono io che ho gli occhi appannati e non vedo il sole attorno a me? Ho parlato con tante persone e sostanzialmente tutte, anche se da angolazioni diverse, hanno condiviso il fatto che una nebbia sempre più scura sta calando su tutta Italia e, credo, su tutto il mondo occidentale.

PERCHE’ STA SUCCEDENDO? CHE COSA POSSIAMO FARE?

Su questo sto riflettendo da qualche mese e giro a voi queste domande amare, ed ai più anziani di voi (incluso me stesso) un’ altra domanda: ABBIAMO IL DIRITTO MORALE DI LASCIARE AI NOSTRI FIGLI UN MONDO COSI’ BUIO?

Per carattere sono abituato ad affrontare i problemi, mi sono fatto qualche domanda e ho cercato di dare qualche risposta.

Nella mia vita sono stato in posti poverissimi, non da semplice turista ma partecipe della realtà locale. Il Vietnam quando cominciai ad andarci era uscito da poco da una guerra di una crudeltà inenarrabile, il famigerato “agent orange” aveva creato a causa della diossina (a parte i morti) un numero enorme di giovani profondamente deformi che si aggiravano per le strade, talvolta su carrellini improvvisati, intere famiglie nel delta del Mekong vivevano in una miseria infinita. Eppure ho qui con me fotografie e videoclip di folle di ragazzini che ridono felici per strada. Ho impressa nella mia mente la luce che vedevo negli occhi dei ventenni che correvano indaffarati nelle strade caotiche di Saigon. Cos’era quella luce che brillava in quegli occhi e non c’è più nei nostri giovani? Era, secondo me, più che una speranza, l’assoluta certezza che “fra un anno staremo meglio di come stiamo oggi” . E’ questo ciò che rendeva felici quei giovani: la speranza, la speranza di un futuro migliore che giustificava gli sforzi e le privazioni di quella fase della loro vita. La speranza che molti dei nostri giovani hanno perduto.

Quando io mi sono laureato, lavoravamo 48 ore la settimana “ nominali” perché la segretaria timbrava il cartellino per noi. In realtà il nostro orario di lavoro era più lungo e nessuno lo calcolava. Avevamo uno stipendio ridottissimo ma eravamo convinti che se avessimo lavorato duro, avremmo avuto come minimo la nostra tranquillità economica, e così è stato per tutti noi.

Negli ultimi anni della mia carriera mi sono trovato a parlare spesso con molti giovani colleghi, come pure con i miei figli ed i loro amici. Invariabilmente quasi tutti dicevano “ si, noi lavoriamo, ma siamo convinti che il nostro futuro non sarà influenzato dal nostro lavoro e dai nostri meriti”. E poi “Viviamo nel mondo delle raccomandazioni e solo questo permette di andare avanti o addirittura di mantenere il posto di lavoro”. Io mi sforzavo di dire “ Ragazzi, qualcosa di vero c’è; qualcuno va avanti spinto da energici calci nel didietro, ma sono una minoranza: chi vale, chi lavora, chi si sforza, avrà la sua soddisfazione”. Niente da fare. I più ottimisti di loro chiudevano la discussione, convinti che comunque li aspettava un futuro di privazioni e una vecchiaia senza neppure la pensione.

Questa è l’opinione di chi ha un lavoro stabile. E quella miriade di persone che hanno lavori saltuari, che addirittura arrivano a un diploma o a una laurea per poi ingrossare il numero dei giovani disoccupati, che è la vera piaga italiana? Di fronte a queste considerazioni non potevo, e non posso, far altro che tacere.

Se osserviamo persone più avanti negli anni, ci rendiamo conto che uomini e donne che fino a pochi anni fa vedevano di fronte a sé una vecchiaia serena, se necessario aiutati dai figli nei loro bisogni, si sono trovati espulsi improvvisamente dal mondo del lavoro e costretti spesso loro stessi, pur con i problemi derivanti dalla nuova situazione, a mantenere figli che sarebbero dovuti essere ormai assolutamente autonomi.

La povertà nel mondo è diminuita , ma è altrettanto evidente che la classe media da noi è in gravissima crisi e vede di fronte a sé un futuro di povertà e non di serenità. Le statistiche sono spesso divergenti ma nessuno contesta questo concetto che è alla base del pessimismo diffuso che oggi pervade almeno due generazioni.

E’ questo però il moneto di chiedersi: quali sono le responsabilità di tutti noi?

E’ facile dire “ la colpa è di chi ci governa”; “piove governo ladro” è un detto che sentivo da bambino, è il modo più banale di autoassolversi.

“E’ colpa degli immigrati”. Indubbiamente l’immigrazione clandestina è un grave problema, ma il numero di questi malcapitati e la tipologia di lavori che essi spesso fanno,lavori  rifiutati dai nostri connazionali (tipico la raccolta dei pomodori in condizioni molto simili alla schiavitù) non sono tali da distruggere un sistema economico. Ne parleremo in un’altra occasione.

“E’ colpa dell’Europa e dell’Euro”. E’ questa l’ultima spiegazione fra tutte quelle che ho sentito. E’ vero, l’Europa non ha risposto alle attese di quando fu creata, ma secondo me senza questo embrione di Europa oggi noi saremmo più vicini al Nord Africa che al G8. Quest’ultimo però è sicuramente il problema più grande fra quelli che ho menzionato ed anche di questo sarà opportuno discutere.

Mi permetto però di farvi notare un punto comune a tutte queste argomentazioni. “Il governo”, “gli immigrati”, “l’Europa”. I responsabili sono tutti “altro da noi”! E noi, io e chi mi legge, siamo così innocenti da poter lanciare la prima pietra? Io non so esattamente chi legga le mie note ma sono certo che tutti appartengono alla classe media e molti alla classe che è (o è stata) la classe dirigente del nostro Paese. Siamo nati in un’Italia che era appena risorta dalle macerie della guerra, ci siamo formati in un’Italia che aveva negli occhi la stessa luce che vedevo, e vedo, nei giovani vietnamiti, abbiamo vissuto negli anni dell’Italia prospera fino a superare per un attimo la Gran Bretagna e diventare la sesta potenza economica mondiale. Se quindi oggi l’Italia è quella che è, non abbiamo nessuna responsabilità?

L’Italia del dopo guerra, Paese poverissimo, con bassi salari e tanta voglia di lavorare era riuscita a creare un sistema economico capace di crescere e competere sui mercati mondiali. E poi? Poi ci siamo adagiati, incapaci di capire che un Paese ormai ricco, con un welfare invidiabile, un’inventiva forse unica al mondo, non poteva sopravvivere confrontandosi con Paesi che erano a loro volta poveri, con bassi salari, una gran voglia di lavorare e gli occhi pieni di luce.

Non siamo stati capaci di innovare, di essere sempre avanti a quelli che spingevano da dietro, di far diventare “un’opportunità” quello che invece fu considerato in maniera superficiale e generica “il pericolo giallo”. Se noi fossimo capaci di considerare i Paesi nuovi ricchi come un mondo “ di consumatori dei nostri prodotti” e non di “concorrenti”, se fossimo capaci di essere sempre dieci anni avanti a loro, saremmo molto probabilmente più ricchi di quanto non lo siamo mai stati, approfittando del fatto che la povertà nel mondo sta decrescendo. E invece non solo non facciamo innovazione, ma diventiamo preda di chi compra i nostri gioielli per portare a casa propria i relativi profitti. Anche nel turismo, il settore dove dovremmo essere per “diritto storico e di natura” il primo Paese al mondo, scendiamo anno dopo anno nella classifica internazionale e i nuovi ricchi scelgono a milioni la Francia, l’Inghilterra o la Spagna. “Peggio per loro! Se non sono capaci di apprezzare le bellezze d’Italia non sanno cosa si perdono” sento dire. Ancora una volta un’autoassoluzione.

Quello del rilancio d’Italia è un argomento così importante e così profondo che vorrei continuare a scriverne in maniera specifica e possibilmente dibatterne in qualunque sede fosse possibile, ma la nostra politica (e i suoi fan), qui si per sua responsabilità, è troppo occupata a dibattere di questioni formali, di potere e sottopotere etc. e, questa  è la vera responsabilità della politica.

Comunque oggi il mio obiettivo è semplicemente evidenziare che:

in un mondo che va avanti, noi restiamo indietro,

i nostri figli saranno la prima generazione ad essere più poveri e con meno speranze dei loro padri,

nessuno di noi può dichiararsi privo di responsabilità anche personali e tutti abbiamo il dovere di fare qualcosa per aiutare i nostri figli a non essere più “la generazione perduta”

Non so quanti di voi condivideranno le mie riflessioni, ma mi auguro che tutti, veramente tutti, siano d’accordo sul fatto che nessuno può tirarsi fuori. Vi auguro Buon Anno e spero che il 2017 possa essere migliore dell’anno appena trascorso.

 

 

IL MONDO E' CAMBIATO

La nuova centralità del Mediterraneo: e l’Italia?

 

Vi ho parlato varie volte dell’importanza del Mediterraneo nella strategia della Via della seta Marittima, ma esiste un altro aspetto che mi interessa farvi notare ed è legato ad una visione ancora più globale e che ha cominciato a svilupparsi prima e in maniera parallela alla BRI. Partiamo da alcuni dati: i flussi di navi porta containers sulla tratta Asia-Europa attraverso il canale di Suez negli ultimi 20 anni sono aumentati dal 27% al 42% dei traffici mondiali con una parallela riduzione dei trasporti sulle rotte trans-pacifiche e trans-atlantiche.

I parametri che dobbiamo analizzare sono sostanzialmente tre:

-          Le navi porta containers stanno diventando sempre più grandi. Se infatti fino a qualche anno fa esse non superavano i 10.000 TEU di carico (1 TEU è sostanzialmente equivalente ad un container da 20 piedi ed ha una capacità di 21600 kg.) oggi arrivano fino a 18-19000 TEU e presto si arriverà ad oltre 20000. Ciò è dovuto alla necessità di creare una riduzione dei costi di trasporto. L’effetto negativo è determinato dal fatto che, mentre una nave piccola può essere riempita con un singolo carico che viaggi dal punto di partenza a quello di arrivo finale, le enormi navi moderne possono riempirsi solamente caricando e scaricando containers in vari porti intermedi lungo la rotta. Difficilmente infatti un singolo carico dalla destinazione iniziale ad una sola destinazione finale potrebbe riempirle.

-          Il raddoppio del Canale di Suez che oggi consente un traffico contemporaneo nelle due direzioni e che può accettare anche le grandi navi moderne.

-          Il profondo ammodernamento del Canale di Panama che permette un incremento di traffico ma può ospitare davi fino a 13000 TEU (prima erano solo 4500 TEU) 

Tutto ciò ha delle conseguenze importanti sui traffici mondiali.

Anzitutto la rotta attraverso Suez permette una serie di punti di carico-scarico intermedi in India, in Medio Oriente e nel Mediterraneo prima di arrivare alla destinazione finale, mentre la rotta trans-pacifica non ha scali intermedi fino al territorio americano.

In secondo luogo, se consideriamo la rotta Hong Kong – New York, ci rediamo conto che il viaggio attraverso il Pacifico è solamente un giorno più corto di quello attraverso Suez ed il Mediterraneo; la rotta Shanghai – New York solo quattro giorni più corta.

Su queste premesse ci rendiamo conto che il Canale di Panama ed il Canale di Suez, pur così lontani, sono in concorrenza diretta nei traffici intercontinentali mentre Panama continua ad avere il monopolio per i traffici fra la costa pacifica e quella atlantica del continente americano.

Di ciò si sono rese conto le autorità di Suez che offrono sconti superiori al 50% alle grandi navi che dall’Asia hanno come destinazione finale i porti della costa Atlantica americana. Se ne sono resi conto anche i Cinesi. La Cosco infatti, oltre al grande investimento nel porto del Pireo di cui vi ho già parlato, ha acquisito il 20% di Porto Said all’imbocco mediterraneo del canale di Suez e sta trattando per un investimento anche nel porto di  Cherchell in Algeria. Questi porti nei loro piani sono necessari per lo scarico di una parte dei containers da smistare in seguito e avviare per via terrestre o marittima su navi più piccole alle destinazioni finali Europee ( sia mediterranee che dell’Europa continentale o del Nord-Europa) ed Africane.

Diventa quindi evidente la rinnovata centralità del Mediterraneo dopo oltre 500 anni, quando (come ho detto in passato), con la scoperta dell’America il baricentro del mondo si spostò sull’oceano Atlantico e su Spagna, Portogallo ed Inghilterra. 

Che cosa comporta tutto ciò per l’Italia?

Ne abbiamo parlato in occasione del Forum di Pechino di metà maggio e dei colloqui fra il nostro primo ministro Gentiloni e le autorità cinesi.

Purtroppo, e devo dire “come al solito”,  siamo arrivati tardi. Il porto del Pireo che prima dell’intervento cinese movimentava cinquecentomila containers l’anno, oggi è arrivato a 3 milioni ed è previsto il raddoppio. In più è in acque profonde, capaci di ospitare le grandi navi e i Cinesi stanno investendo in una ferrovia trans balcanica moderna, capace di integrarlo nella rete trans europea, la Ten-T.

Qualcosa però si muove. Una delegazione cinese ha visitato Genova e la Cosco ha firmato un accordo preliminare  per la gestione del terminal container di Vado Ligure. Il fatto più importante secondo me, per quello che dirò dopo, è che la North Adriatic Port Association (NAPA) sta cominciando a operare. Essa mira a promuovere lo sviluppo congiunto dei porti di Venezia, Trieste, Ravenna, Capodistria (Slovenia) e Fiume (Croazia). Dico sembra perché, come al solito, ognuno tira acqua al suo mulino.

Cerchiamo di capire qualcosa di questa iniziativa e partiamo dai fatti. Un consorzio italo-cinese si è aggiudicato la progettazione definitiva del sistema portuale off-shore di Venezia a fronte di una gara internazionale del valore di quattro milioni di Euro. Esso comprende  la piattaforma d’altura al largo di Malamocco e un terminal container  che sorgerà in area Montesyndial a Porto Marghera. 

In che consiste questa iniziativa? Intanto si parla di un terminal offshore perché, a causa dei fondali, il porto di Venezia potrebbe ospitare navi fino a 7000 TEU a fronte nelle capacità di 18000 TEU minimo di cui abbiamo parlato prima. Esso consiste:

-          In una piattaforma posta a circa 8 miglia dalla costa dove i fondali sono di 20 metri. Essa si comporrà di una diga foranea lunga 4,2 km al cui interno troveranno posto un terminal di prodotti petroliferi ed un altro dedicato alle navi porta containers.

-          Il trasferimento dei containers ai vari terminali a terra sarà realizzato con speciali navi autoaffondanti chiamate “mama vessels” capaci di caricare i containers in blocchi preassemblati in maniera molto rapida.

-          Il terminal di Marghera sarà in grado di movimentare 1.5 milioni di containers/anno cioè la metà del Pireo nella sua configurazione odierna, e solamente un quarto di quella prevista.

Si prevede  un investimento di oltre 2 miliardi di Euro coperti da capitali italiani e cinesi.

 

Penso che le fotografie allegate possano dare un’idea più chiara di tutto il sistema.

Che dire: questo piano è forse l’unico praticabile, almeno in teoria perché restano comunque in piedi tutte le mie perplessità espresse in dettaglio nella nota “Il mondo è cambiato” nella sezione “Riflessioni” a cui vi rimando.

Riassumo qui brevemente le problematiche, aggiungendone qualcuna più specifica. Il terminale offshore permette di risolvere il problema dei fondali e in parte quello della capacità di stoccaggio del terminal a terra. Parliamo però di capitali importanti da investire e soprattutto di costi e tempi certi perché, nessun Paese baserebbe le proprie strategie su ipotesi aleatorie.

E quali sono i problemi? Ve ne elenco qualcuno.

-          Pensate che una struttura di oltre quattro chilometri per due nell’alto mare Adriatico si potrebbe realizzare senza proteste superabili in tempi brevi da parte di cittadini, organizzazioni ambientaliste, comuni, province, regioni etc.?

-          Pensate che un investimento di questo genere possa essere realizzato senza che i costi ed i tempi previsti si raddoppino o più probabilmente triplichino?

-          A parte queste problematiche specifiche, perché un sistema di questo genere abbia senso sarebbe necessario sviluppare in parallelo le connessioni europee  est-ovest e nord-sud per poter smistare rapidamente tutti i containers in arrivo che sarebbero destinati in maggior parte ai mercati esteri. Queste connessioni sono già previste nel piano dei vari corridoi prioritari europei ( il Ten-T) e dovrebbero essere in opera entro il 2030 quindi in teoria nessun problema.

-          In pratica però uno di questi corridoi, come ho detto nella mia nota a cui ho fatto riferimento, include la famosa Torino-Lione. Se tanto mi da tanto….. 

La mia amara conclusione è quella di prima. Tutti gli investitori internazionali conoscono le problematiche italiane, oppure, se per caso non le conoscono, si informano e chiedono garanzie. Senza di esse, in un mondo che corre sempre più veloce, cercano altre soluzioni. Saremmo ancora in tempo ma occorrerebbe un governo forte e quasi certamente delle leggi ad hoc che garantiscano costi e tempi realmente fissi e soprattutto decisioni rapide da applicare senza indugi e ritardi.

 

Pensate che sia possibile? Gradirei da voi una rapidissima indicazione della vostra opinione e, se mi sbaglio, un cenno di ottimismo

Grazie

LA NUOVA CENTRALITA' DEL MEDITERRANEO: E L'ITALIA?

La nuova centralità del Mediterraneo: e l’Italia?

 

Vi ho parlato varie volte dell’importanza del Mediterraneo nella strategia della Via della seta Marittima, ma esiste un altro aspetto che mi interessa farvi notare ed è legato ad una visione ancora più globale e che ha cominciato a svilupparsi prima e in maniera parallela alla BRI. Partiamo da alcuni dati: i flussi di navi porta containers sulla tratta Asia-Europa attraverso il canale di Suez negli ultimi 20 anni sono aumentati dal 27% al 42% dei traffici mondiali con una parallela riduzione dei trasporti sulle rotte trans-pacifiche e trans-atlantiche.

I parametri che dobbiamo analizzare sono sostanzialmente tre:

-          Le navi porta containers stanno diventando sempre più grandi. Se infatti fino a qualche anno fa esse non superavano i 10.000 TEU di carico (1 TEU è sostanzialmente equivalente ad un container da 20 piedi ed ha una capacità di 21600 kg.) oggi arrivano fino a 18-19000 TEU e presto si arriverà ad oltre 20000. Ciò è dovuto alla necessità di creare una riduzione dei costi di trasporto. L’effetto negativo è determinato dal fatto che, mentre una nave piccola può essere riempita con un singolo carico che viaggi dal punto di partenza a quello di arrivo finale, le enormi navi moderne possono riempirsi solamente caricando e scaricando containers in vari porti intermedi lungo la rotta. Difficilmente infatti un singolo carico dalla destinazione iniziale ad una sola destinazione finale potrebbe riempirle.

-          Il raddoppio del Canale di Suez che oggi consente un traffico contemporaneo nelle due direzioni e che può accettare anche le grandi navi moderne.

-          Il profondo ammodernamento del Canale di Panama che permette un incremento di traffico ma può ospitare davi fino a 13000 TEU (prima erano solo 4500 TEU) 

Tutto ciò ha delle conseguenze importanti sui traffici mondiali.

Anzitutto la rotta attraverso Suez permette una serie di punti di carico-scarico intermedi in India, in Medio Oriente e nel Mediterraneo prima di arrivare alla destinazione finale, mentre la rotta trans-pacifica non ha scali intermedi fino al territorio americano.

In secondo luogo, se consideriamo la rotta Hong Kong – New York, ci rediamo conto che il viaggio attraverso il Pacifico è solamente un giorno più corto di quello attraverso Suez ed il Mediterraneo; la rotta Shanghai – New York solo quattro giorni più corta.

Su queste premesse ci rendiamo conto che il Canale di Panama ed il Canale di Suez, pur così lontani, sono in concorrenza diretta nei traffici intercontinentali mentre Panama continua ad avere il monopolio per i traffici fra la costa pacifica e quella atlantica del continente americano.

Di ciò si sono rese conto le autorità di Suez che offrono sconti superiori al 50% alle grandi navi che dall’Asia hanno come destinazione finale i porti della costa Atlantica americana. Se ne sono resi conto anche i Cinesi. La Cosco infatti, oltre al grande investimento nel porto del Pireo di cui vi ho già parlato, ha acquisito il 20% di Porto Said all’imbocco mediterraneo del canale di Suez e sta trattando per un investimento anche nel porto di  Cherchell in Algeria. Questi porti nei loro piani sono necessari per lo scarico di una parte dei containers da smistare in seguito e avviare per via terrestre o marittima su navi più piccole alle destinazioni finali Europee ( sia mediterranee che dell’Europa continentale o del Nord-Europa) ed Africane.

Diventa quindi evidente la rinnovata centralità del Mediterraneo dopo oltre 500 anni, quando (come ho detto in passato), con la scoperta dell’America il baricentro del mondo si spostò sull’oceano Atlantico e su Spagna, Portogallo ed Inghilterra. 

Che cosa comporta tutto ciò per l’Italia?

Ne abbiamo parlato in occasione del Forum di Pechino di metà maggio e dei colloqui fra il nostro primo ministro Gentiloni e le autorità cinesi.

Purtroppo, e devo dire “come al solito”,  siamo arrivati tardi. Il porto del Pireo che prima dell’intervento cinese movimentava cinquecentomila containers l’anno, oggi è arrivato a 3 milioni ed è previsto il raddoppio. In più è in acque profonde, capaci di ospitare le grandi navi e i Cinesi stanno investendo in una ferrovia trans balcanica moderna, capace di integrarlo nella rete trans europea, la Ten-T.

Qualcosa però si muove. Una delegazione cinese ha visitato Genova e la Cosco ha firmato un accordo preliminare  per la gestione del terminal container di Vado Ligure. Il fatto più importante secondo me, per quello che dirò dopo, è che la North Adriatic Port Association (NAPA) sta cominciando a operare. Essa mira a promuovere lo sviluppo congiunto dei porti di Venezia, Trieste, Ravenna, Capodistria (Slovenia) e Fiume (Croazia). Dico sembra perché, come al solito, ognuno tira acqua al suo mulino.

Cerchiamo di capire qualcosa di questa iniziativa e partiamo dai fatti. Un consorzio italo-cinese si è aggiudicato la progettazione definitiva del sistema portuale off-shore di Venezia a fronte di una gara internazionale del valore di quattro milioni di Euro. Esso comprende  la piattaforma d’altura al largo di Malamocco e un terminal container  che sorgerà in area Montesyndial a Porto Marghera. 

In che consiste questa iniziativa? Intanto si parla di un terminal offshore perché, a causa dei fondali, il porto di Venezia potrebbe ospitare navi fino a 7000 TEU a fronte nelle capacità di 18000 TEU minimo di cui abbiamo parlato prima. Esso consiste:

-          In una piattaforma posta a circa 8 miglia dalla costa dove i fondali sono di 20 metri. Essa si comporrà di una diga foranea lunga 4,2 km al cui interno troveranno posto un terminal di prodotti petroliferi ed un altro dedicato alle navi porta containers.

-          Il trasferimento dei containers ai vari terminali a terra sarà realizzato con speciali navi autoaffondanti chiamate “mama vessels” capaci di caricare i containers in blocchi preassemblati in maniera molto rapida.

-          Il terminal di Marghera sarà in grado di movimentare 1.5 milioni di containers/anno cioè la metà del Pireo nella sua configurazione odierna, e solamente un quarto di quella prevista.

Si prevede  un investimento di oltre 2 miliardi di Euro coperti da capitali italiani e cinesi.

 

Penso che le fotografie allegate possano dare un’idea più chiara di tutto il sistema.

Che dire: questo piano è forse l’unico praticabile, almeno in teoria perché restano comunque in piedi tutte le mie perplessità espresse in dettaglio nella nota “Il mondo è cambiato” nella sezione “Riflessioni” a cui vi rimando.

Riassumo qui brevemente le problematiche, aggiungendone qualcuna più specifica. Il terminale offshore permette di risolvere il problema dei fondali e in parte quello della capacità di stoccaggio del terminal a terra. Parliamo però di capitali importanti da investire e soprattutto di costi e tempi certi perché, nessun Paese baserebbe le proprie strategie su ipotesi aleatorie.

E quali sono i problemi? Ve ne elenco qualcuno.

-          Pensate che una struttura di oltre quattro chilometri per due nell’alto mare Adriatico si potrebbe realizzare senza proteste superabili in tempi brevi da parte di cittadini, organizzazioni ambientaliste, comuni, province, regioni etc.?

-          Pensate che un investimento di questo genere possa essere realizzato senza che i costi ed i tempi previsti si raddoppino o più probabilmente triplichino?

-          A parte queste problematiche specifiche, perché un sistema di questo genere abbia senso sarebbe necessario sviluppare in parallelo le connessioni europee  est-ovest e nord-sud per poter smistare rapidamente tutti i containers in arrivo che sarebbero destinati in maggior parte ai mercati esteri. Queste connessioni sono già previste nel piano dei vari corridoi prioritari europei ( il Ten-T) e dovrebbero essere in opera entro il 2030 quindi in teoria nessun problema.

-          In pratica però uno di questi corridoi, come ho detto nella mia nota a cui ho fatto riferimento, include la famosa Torino-Lione. Se tanto mi da tanto….. 

La mia amara conclusione è quella di prima. Tutti gli investitori internazionali conoscono le problematiche italiane, oppure, se per caso non le conoscono, si informano e chiedono garanzie. Senza di esse, in un mondo che corre sempre più veloce, cercano altre soluzioni. Saremmo ancora in tempo ma occorrerebbe un governo forte e quasi certamente delle leggi ad hoc che garantiscano costi e tempi realmente fissi e soprattutto decisioni rapide da applicare senza indugi e ritardi.

 

Pensate che sia possibile? Gradirei da voi una rapidissima indicazione della vostra opinione e, se mi sbaglio, un cenno di ottimismo

Grazie

Liu Xiaobo

Liu Xiaobo 

Lo scorso 13 luglio Liu Xiabo è morto all’ospedale di Shenyang. Le notizie che lo riguardano sono state diffuse in tutto il Mondo così tanto da non permettermi di  aspettare che esse decantino almeno un po’ per evitare che l’ovvia reazione emotiva offuschi un’analisi “vista dalla Luna” come penso sia giusto fare.LXB era nato il 28 dicembre 1995 e trascorse la sua infanzia in Mongolia, dove la sua famiglia era stata mandata durante la Rivoluzione Culturale. Ritornata una certa tranquillità, si laureò a Jilin e successivamente ottenne un master all’università di Pechino con una tesi su “Estetica e libertà dell’uomo”. In seguito studiò in Europa e negli Stati Uniti dove insegnò anche alla Columbia University di New York.

In aprile 1989 decise che non poteva ignorare il richiamo della madre patria e le dimostrazioni studentesche che avrebbero portato ai tragici fatti di piazza Tienanmen. Tornò quindi in Cina, divenne subito uno dei capi del movimento, organizzò lo sciopero della fame e partecipò in prima persona alle trattative con i militari e le forze di polizia che stavano per iniziare la repressione violenta.Quando si rese conto però che quella battaglia era perduta scongiurò i compagni e gli allievi di sospendere le agitazioni e ritirarsi per evitare il massacro che tutti noi ricordiamo.

Venne arrestato e condannato a tre anni di lavori forzati. In quel triste periodo fu aiutato da Liu Xia la poetessa che aveva conosciuto e che voleva sposare.

La sua vita aveva preso la svolta definitiva e la spese fra un processo e l’altro, fra un carcere e l’altro fino alla battaglia finale nel 2008 quando fondò Charta 08 e ne pubblicò il manifesto con cui chiese la fine del partito unico e il rispetto dei diritti umani. Il manifesto, firmato da 303 attivisti, fu sottoscritto da circa 12000 persone.

Fu la goccia che fece traboccare il vaso e nel dicembre 2009 fu condannato a 11 anni di carcere e due anni di interdizione dai pubblici uffici. Nel 2010 gli era stato conferito il Premio Nobel della Pace “per il suo impegno non violento a tutela dei diritti umani in Cina”. Non gli fu consentito di andare a ritirare il premio e Liv Ulmann lesse a Oslo il suo discorso davanti alla sua sedia vuota.

Prima di commentare fatti che credo tutti voi conoscano, è opportuno riportare alcune sue frasi celebri:

-          La libertà di parola è alla base dei diritti umani, è la radice della natura e la madre della verità. Uccidere la libertà di parola è insultare i diritti umani, soffocare l’umanità e sopprimere la verità.

-          L’odio è corrosivo della saggezza e della coscienza delle persone. La continua ricerca del nemico può avvelenare lo spirito di una nazione, istigare a una vita brutale e a lotte all’ultimo sangue. L’odio distrugge la tolleranza e l’umanità della società bloccando il progresso verso la libertà e la democrazia.

-          Spero di essere l’ultima vittima della lunga tradizione cinese di trattare le parole come crimini.

-          La mia tendenza a idealizzare la civiltà occidentale nasce dal desiderio nazionalistico di usarla per riformare la Cina. Questo però mi ha portato a trascurarne le problematiche. Ho guardato all’occidente non solo per la salvezza della Cina ma anche per la naturale e definitiva destinazione di tutta l’umanità.

Che dire?

Quest’uomo era sicuramente un idealista. Non esitò un attimo a lasciare una vita comoda negli Stati Uniti dove avrebbe potuto sedersi in cattedra e “pontificare”: sarebbe stato tanto facile quanto inutile. Decise invece di lasciare tutto e andare incontro a un destino che probabilmente prevedeva, pur sperando di sbagliarsi. 

Era anche sicuramente un pacifista e lo dimostrano le sue frasi che ho riportato, come pure il suo tentativo estremo a Tienanmen di salvare da morte sicura centinaia e forse migliaia di giovani quando i carri armati cominciarono a dettare legge. No, le sue armi erano e dovevano restare le parole, non il sangue e i proiettili. Liu era disposto a sacrificare la sua vita per i suoi ideali ma non a guidare verso una morte probabilmente inutile qualche migliaio di giovani. 

Per tutto ciò Liu Xiaobo deve restare nella memoria di tutti noi e nella storia fra i più limpidi eroi di questo secolo.

 I giornali italiani che probabilmente avete letto, e più in generale i giornali di tutto il mondo, hanno duramente stigmatizzato e condannato la Cina senza però alcun approfondimento. Purtroppo, come al solito, si sono lanciati a testa bassa contro un facile e demagogico obbiettivo senza un briciolo di analisi.

 

Fatta salva la premessa, che deve restare ferma e indelebile nella mente di tutti, cercherò, per quanto possibile vista la vicinanza degli avvenimenti, di darvi qualche spunto di analisi guardando i fatti un po’ più da lontano, dalla Luna, per capire se e quanto la politica internazionale si sia impadronita dei suoi ideali e se e quanto essi fossero in linea con la mentalità prevalente dei suoi compatrioti.

Prima ancora di iniziare il mio difficile tentativo CI TENGO A RIBADIRE CHE SECONDO ME LA LIBERTA’ DI PAROLA E DI OPINIONI E’ SACROSANTA E INDISCUTIBILE E DEVE ESSERE TALE IN TUTTO IL MONDO. NON SI PUO’ MANDARE IN GALERA UNA PERSONA SOLO PERCHE’ HA ESPRESSO IN MANIERA ASSOLUTAMENTE PACIFICA LE SUE IDEE.

 

Chiarito questo, vediamo per prima cosa come i giornali cinesi hanno trattato il fatto:

-          “Liu Xia (la moglie) è libera e il Governo Cinese proteggerà i suoi interessi legittimi secondo la legge” è stato detto ufficialmente da tutte le autorità a tutti i livelli.

-          “Alle 6.30 di sabato, Liu Xia è stata la prima a rendere omaggio al  marito, accompagnata dalle note del Requiem di Mozart. Subito dopo i fratelli di Xiabo, gli altri parenti e gli amici; mancavano la prima moglie e il figlio di Xiabo che vivono in America e non si sono potuti muovere.”

-          “La salma è stata cremata e le sue ceneri disperse in mare secondo il volere dei familiari e le tradizioni locali”

-           “ Era ricoverato in ospedale e sottoposto a tutte le cure possibili da parte dei maggiori specialisti cinesi per il tumore al fegato che lo aveva colpito……… Era stato anche visitato dal Prof. Markus Buacher dell’università di Heidelberg e dal Prof. Joseph Herman Dell’ US Anderson cancer Center che hanno partecipato a un consulto con i medici Cinesi.

-          “Liu Xiabo era stato condannato a 11 anni di carcere il 25 dicembre 2009 per aver cercato di sovvertire le strutture dello stato”

-          Il fratello di LXB, Liu Xiaoguang in una conferenza stampa a cui non era presente la vedova Liu Xia per le sue cattive condizioni di salute ha dichiarato “ A nome di Liu Xia e di tutti i familiari di LXB desidero esprimere la mia gratitudine per il trattamento umanitario che il Governo ha dimostrato nei confronti di LXB nella sua speciale situazione.” <E’ presumibile che questa dichiarazione sia stata frutto di una dettagliata trattativa con le autorità.> 

Segue poi la parte più esplicitamente politica delle dichiarazioni cinesi. 

Xinhua riporta in maniera stringata una dichiarazione “ La morte di LXB è senza dubbio una grande disgrazia, aggravata dal modo in cui è stata politicizzata.” “Concedendogli il Nobel l’Occidente ha dimostrato che LXB era una pedina nel suo gioco per minare l’immagine della Cina” e poi “ E’ sciocco dire che la Cina si oppone a democrazia e diritti umani semplicemente perché il suo sistema è diverso a quello Occidentale.” 

In un articolo intitolato “ La deificazione di Liu Xiaobo non può negare i suoi crimini” il Global Times scrive: 

-          I Paesi occidentali hanno deificato LXB chiamandolo “grande combattente per la libertà”, “un gigante dei diritti umani”, “Il Mandela della nostra epoca”. LXB è stato un criminale in carcere che è morto di cancro.

-          La detenzione di LXB secondo la legge cinese è ciò che la società cinese pensa che egli abbia meritato. Ci possono essere alcuni che hanno solidarizzato con lui perché è stato così tanti anni in carcere. Ma quelle persone che si sono allineate agli occidentali e guardano a lui come a “un grande martire” o addirittura lo comparano a Mandela sono una sparuta minoranza.

-          Quella in cui LXB si era avventurato, non era una critica costruttiva ampiamente riconosciuta dalla società cinese. Egli ha cercato di sovvertire il sistema politico definito nella costituzione cinese e sostituirlo con il sistema politico occidentale.

-          Le sue affermazioni che la Cina ha bisogno di essere colonizzata per 300 anni sono molto note in Cina.

-          Egli si è allontanato dai maggiori temi della società cinese e per questo è diventato un uomo del passato, un agitatore e un oppositore politico.

-          Gli Occidentali usano LXB come una pedina contro la Cina e in questo modo cercano di aumentare le difficoltà della Cina per migliorare la governabilità e la coesione interna.

-          LXB si è allineato con le forze occidentali ed il supporto occidentale è diventato un fattore chiave della sua influenza. Essa ha rotto i principi morali fondamentali del patriottismo cinese ed ha cercato di sovvertire la stabilità e la sicurezza nazionale cinese.

-          “Diritti umani” sono parole meravigliose, sporcate dagli Occidentali in una partita contro la Cina

-          Quando gli Occidentali parlano di diritti umani, essi si riferiscono sempre alle persone che agiscono contro la Cina e il suo sistema istituzionale. Questo termine è diventato, in un certo senso, un’arma del loro tentativo di fare sporchi trucchi diplomatici e lanciare attacchi politici contro la Cina.

-          Qualunque sia stata la molla del comportamento di LXB, egli è stato senz’altro un distruttore della tematica dello sviluppo cinese in questo periodo di riforme e apertura della nazione. 

“Un gigante dei diritti umani” è la definizione citata nell’editoriale del Global Times. Essa è stata data da Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International, un’istituzione che io considero assolutamente fuori dalle manovre politiche che si sono appropriate di questa vicenda e quindi merita una grande considerazione.

Shetty dice “ Dobbiamo fare tutto il possibile per porre fine agli arresti domiciliari e alla sorveglianza di Liu Xia e per garantire che non sia più perseguitata dalle autorità”. E poi “ LXB per decenni ha combattuto instancabilmente per far progredire i diritti umani e le libertà fondamentali in Cina.” “Lo ha fatto a dispetto della più implacabile e spesso più brutale opposizione da parte del governo cinese. Di volta in volta hanno cercato di ridurlo al silenzio e ogni volta hanno fallito.” “Nonostante gli anni passati a subire persecuzione, repressione e carcerazione, LXB ha continuato a battersi per le sue convinzioni”. 

Ho cercato a lungo di farmi un’opinione scevra da condizionamenti e il mio ragionamento mi ha portato lontano, fino ad analizzare noi stessi ed il nostro mondo. 

Non sono arrivato ad alcuna soluzione né credo ci si possa arrivare in questo momento storico se si vuole veramente uscire da facili definizioni che sfuggono ad ogni analisi serena ed approfondita.

Vi propongo quindi alcune riflessioni. Di primo acchito credo che solamente qualcuno le condividerà ma vorrei che ognuno di noi riflettesse a lungo e pacatamente con se stesso, perché, al di là di LXB, delle sue vicende e della Cina stessa, è un tema che riguarda il futuro dei più giovani fra i miei lettori, e dei nostri figli. 

Credo anzitutto, e su questo punto forse saremo d’accordo, che la grande politica internazionale e parte della stampa si siano impadronite della vicenda di LXB essenzialmente per scopi di lotta politica e talvolta anche per problemi di politica interna e per poter raccattare qualche voto, come succede spesso da noi dove ormai sono i sondaggi e non le idee a guidare le dichiarazioni di tutti gli esponenti politici. Nel mondo una gran quantità di casi simili passano sotto il silenzio più assoluto. 

Credo altresì che se leggiamo la stampa nazionale ed internazionale, come io ho cercato di fare, solo in un numero veramente sparuto di casi mi sono trovato di fronte a giornalisti che ponevano a base delle proprie opinioni un briciolo di analisi e di approfondimenti. Quasi tutti si limitavano a leggere un certo numero di notizie di agenzia e scrivere in fretta ciò che i lettori si aspettavano che fosse scritto.

Allo stesso tempo quei giornalisti che hanno dato una scorsa alle agenzie e ai giornali cinesi, hanno liquidato le loro dichiarazioni come espressioni del “regime” senza neanche porsi il problema che possa esistere un altro punto di vista e di cosa possa pensare la popolazione.

 “Regime”, secondo la TRECCANI significa “Ordinamento politico, forma o sistema statuale o di governo.” “Regime parlamentare” è l’ordinamento italiano; “Regime presidenziale” l’ordinamento degli Stati Uniti, etc. Oggi, però la parola “regime” identifica qualunque ordinamento diverso dagli  ordinamenti democratici e odierni.

E’ quasi un insulto da lanciare contro i Paesi che non si identifichino con la nostra pietra di paragone assoluta.

Attenzione, alla parola “democratici” ho aggiunto un’altra parola “odierni” e questo ha un significato. Noi chiamavamo democratici gli ordinamenti in cui si votava per censo o altri sistemi che oggi giudicheremmo assurdi. Ma c’è di più. Ancora all’inizio del ‘900 in tutti gli ordinamenti, anche quelli che noi abbiamo sempre considerato ultra democratici come quello inglese, molto meno della metà della popolazione aveva diritto al voto: infatti, a parte i minorenni, anche le donne non erano considerate degne di votare! (l’Inghilterra per esempio credo che sia stata la prima nazione al mondo ad ammettere al voto le donne nel 1894 e non in tutte le elezioni). La democrazia è quindi nata dopo la seconda guerra mondiale, oppure il concetto di democrazia è, diciamo così, variabile con i tempi? 

Ma torniamo a noi.

Mi sarei aspettato che la vera, dura persecuzione di LXB fosse dovuta avvenire dopo i fatti di Tienanmen, quando la Cina si trovò a fronteggiare una grande sommossa, molto più dura delle varie altre della sua storia recente anche perché si svolgeva a Pechino, sotto gli occhi del mondo. Invece, leggendo i vari articoli sulla stampa occidentale e cinese, ho avuto l’impressione che i veri guai di LXB cominciarono dopo la scrittura e la diffusione di “Charta 08”, un vero e proprio programma di governo in totale contrapposizione con l’ordinamento cinese.

Vi allego il link in cui, chi è interessato,  può leggere l’intero manifesto di Charta 08  https://www.dropbox.com/s/6j7d2o8a93er07a/CINA%20Il%20testo%20integrale%20di%20Carta%2008%2C%20per%20i%20diritti%20umani%20in%20Cina.pdf?dl=0

Essa si ispira a Charta 77 che seguì la Primavera di Praga del ’68 e fu seguita dalla dissoluzione del sistema sovietico, e dalla democratizzazione di parte delle repubbliche che ne risultarono. 

Leggendo il manifesto di Charta 08 io mi sono sentito nel mio mondo, ho letto un documento che proclamava tutti gli ideali in cui noi europei abbiamo sempre creduto e che in parte non si sono mai realizzati. E questo è secondo me ciò che ha reso impossibile per la Cina di accettare LXB.

Infatti, a parte il brevissimo riferimento alla “bellezza di tutti sotto il cielo”, evidente aggancio alla millenaria tradizione cinese, Charta 08 è un documento scritto da una persona di cultura Occidentale, in un ambiente e con vincoli esterni Occidentali, e in un mondo con problematiche sociali di tipo occidentale.

Ma eravamo in Cina!

Quasi 40 anni fa conobbi un Cinese vecchissimo, nato all’inizio del ‘900, con una padronanza notevole della cultura occidentale e ovviamente di quella cinese, che  dopo aver vissuto sulla sua pelle tutte le traversie e le tragedie del suo popolo senza cedere mai alla tentazione di fuggire all’estero, era riuscito a sopravvivere e aveva la saggezza e la pace interiore che derivava dal suo passato. Con lui ebbi un gran numero di colloqui serali, seduti uno accanto all’altro su due sedie che portavamo davanti al portone della guest house in cui abitavo. Fumavamo una sigaretta dopo l’altra, alternando le mie domande alle sue riflessioni fatte con parole lente e pesate ad una ad una, seguite da lunghi silenzi in cui non osavo disturbare la sua mente che vagava in un universo tutto suo.

 A lui dedicherò una nota specifica quando me la sentirò. Per adesso, e in questo contesto, voglio citarvi qualche frase che è scolpita nella mia mente. “ Ti rendi conto che, ogni anno che nasce, noi abbiamo un’Italia in più da sfamare?”, e poi “Noi siamo un paese enorme e poverissimo, ma con una grande storia, tutti devono avere da mangiare, anche se poco”.

Faceva riferimento all’impetuoso aumento della popolazione e al problema della fame, quella vera per cui la gente moriva, che affliggeva il Paese. Era inevitabile il confronto con l’India, che frequentavo negli stessi anni, in cui la fame e il degrado sociale erano sotto gli occhi di tutti, specie in alcune aree come Calcutta.

E poi “la Cina diventerà un grande Paese se riuscirà ad evitare i conflitti sociali ed il collasso del suo sistema”

Ed infine “ La Cina dovrà essere capace di restare unita e fare in modo che tutti crescano più o meno insieme senza squilibri eccessivi”.

Queste e molte altre ancora erano le problematiche che la Cina si trovava ad affrontare 40 anni fa. Nessun altro Paese al mondo se non l’India si trovò di fronte a problemi così giganteschi. L’India lo affrontò in maniera totalmente diversa, aderendo, almeno da un punto di vista formale, agli ideali occidentali e la Cina invece con un sistema autocratico che reprimeva ogni libertà. Oggi, 40 anni dopo, mi sento di dire che mediamente un cittadino cinese vive meglio di un suo equivalente indiano.

David Lampton, direttore dei China Studies della John Hopkins School of Advanced International Studies di Washington, intervistato dopo la morte di LXB ha detto:

-          Non c’è dubbio che Xi Jinping ha puntato molto sulla sicurezza interna….. e stretto le maglie della censura a scapito delle libertà individuali. Il controllo della società cinese è sempre più severo. Ma è anche vero che su aspettative di vita e sociali dei ceti medio-bassi, Pechino ha fatto molti progressi. Anche questi sono diritti umani.

-          Piazza Tienanmen avvenne anche a causa dell’economia fragile e dell’inflazione, che avevano spinto alla rivolta i colletti blu, oltre agli attivisti per la democrazia. Oggi la situazione è molto diversa.

 In parallelo, negli stessi giorni, un’indagine americana arrivava alla seguente conclusione:

-          Se oggi i Cinesi fossero liberi di votare con sistemi, libertà e regole di tipo occidentale, Xi Jinping otterrebbe il 90% dei voti” 

Queste due analisi, che io condivido sulla base di ciò che vedo in Cina, nascono dal fatto che oggi i Cinesi godono, sia pure con notevoli disuguaglianze, di condizioni di vita accettabili e molto spesso buone. Hanno cinema, teatri, pub e discoteche affollatissime e del tutto analoghe alle nostre; allestiscono spettacoli di musica moderna, del tutto analoghi ai nostri, in stadi giganteschi; vestono secondo le mode internazionali più recenti. Allo stesso tempo non hanno le nostre libertà politiche ma ho l’impressione che non se ne curino più di tanto. Sentono molto di più il problema delle restrizioni che hanno per “registrarsi” nelle grandi megalopoli che sono il loro miraggio. E’ una delle richieste di Charta 08 (al punto 8) e questo è un caso tipico in cui un diritto per noi fondamentale, non è assolutamente applicabile in quello sterminato Paese. Già oggi il movimento dai piccoli (si fa per dire: un milione di abitanti) centri periferici alle gigantesche megalopoli, anche se frenato, è inarrestabile. Se fosse liberalizzato, assisteremmo a masse di qualche centinaio di milioni di persone che migrerebbero tutte insieme. In confronto i nostri problemi di assorbimento dei migranti attraverso il Mediterraneo sarebbero risibili.

Quaranta anni fa in Cina non esisteva nessuna libertà, neanche quella per due adolescenti di tenersi per mano in pubblico. Tutto era sacrificato alla necessità di sfamare e di dare un tetto a tutti! A poco a poco sono arrivate le libertà di vestirsi a proprio piacimento, poi il piccolo commercio, fino alla libertà di iniziativa economica pressoché totale.

Solo i diritti politici sono quasi inesistenti e la libertà di parola fortemente condizionata. Secondo l’opinione ufficiale la Cina è troppo grande e ci sono ancora troppe disuguaglianze: i freni dovranno essere allentati in maniera estremamente graduale per evitare sommovimenti tali da portare alla disgregazione totale del Paese. Le preoccupazioni di oggi sono quelle di quaranta anni fa! Comunque, anche quando la Cina diventerà un Paese prospero “la democrazia in salsa cinese” sarà del tutto diversa da quella occidentale ed in linea con la loro cultura e le loro tradizioni. Il loro concetto di democrazia mi è stato spiegato più volte ma ancora devo capirlo bene. Ve ne parlerò in futuro. 

Qual è la conclusione? Non la ho.

Posso solo dire che secondo me (esperienza diretta non solo in Cina ma in parecchi Paesi in via di sviluppo) la vera felicità consiste nella consapevolezza che oggi le condizioni di vita sono migliori di quelle di ieri e domani saranno migliori di quelle di oggi. E di questo i Cinesi sono assolutamente convinti. Purtroppo ciò non accade da noi, dove per la prima volta i nostri figli vivono in condizioni peggiori e con un’insicurezza maggiore dei loro genitori. Se potessero scambiare condizioni di vita e sicurezza sociale migliori contro una minore libertà politica, la gran maggioranza di essi probabilmente accetterebbero. L’enorme, generalizzata disaffezione verso la “cosa pubblica” e la politica è figlia di tutto ciò e sotto gli occhi di tutti.

 

Dobbiamo anche porci due domande:

La prima: ovunque abbiamo cercato di portare la democrazia in Paesi la cui cultura era del tutto estranea a questa filosofia abbiamo creato dei disastri epocali sia per le popolazioni locali che per noi stessi. Cito solo due esempi: la Libia e l’Irak. Qualcuno può credere che ci sia una sola persona in Libia a preferire la situazione odierna a quella sotto Gheddafi?  E se questo è vero in un Paese senza una forte radicazione culturale propria, quanto è più vero in un Paese come la Cina la cui storia e civiltà sono più antiche e totalmente incompatibili con la nostra? I nostri canoni sono legati alla nostra storia e alla nostra civiltà. Come possiamo pensare che essi siano degli assiomi universali legati solo alla natura umana. In altre parole siamo sicuri che il nostro sistema democratico sia applicabile al di fuori del mondo occidentale ed in particolare alla Cina? Non è forse un po’ presuntuoso?

La seconda: io ricordo che nel dopoguerra in Italia il lavoro minorile era ampiamente diffuso e accettato. Oggi inorridiremmo, ma allora l’alternativa era la fame, quella vera. E nei paesi in via di sviluppo dobbiamo sacrificare tutto, la pace sociale ed un minimo di benessere ad una libertà totale del tipo di cui godiamo in Europa?

 

Secondo punto di riflessione che mi affascia e mi terrorizza (ma su cui non mi dilungo perché ho parlato anche troppo) è la risposta alle seguenti due domande.

-          Siamo proprio sicuri di vivere ancora in un REALE sistema democratico?

-          Ma è proprio sicuro che il sistema “democratico” (anche considerando che sotto questo nome abbiamo identificato sistemi del tutto differenti e che oggi disconosceremmo) costituisca “la fine della storia” e che in un mondo che cambia fin nelle sue fondamenta esso debba restare un “motore immobile” per l’eternità?

Le risposte più semplici sono due SI convinti, ma l’ovvio è spesso dettato semplicemente da pigrizia mentale.

La mia vera conclusione è che dovremmo cominciare a pensare al nostro mondo e al nostro futuro. Rivoluzioni, guerre e distruzioni di enormi proporzioni hanno caratterizzato tutti i grandi cambiamenti della storia, incluso l’avvento dei moderni stati democratici.

Oggi in Europa godiamo il più lungo periodo di pace della storia moderna. Purtroppo però nubi fosche si delineano all’orizzonte, esiste un rischio concreto di migrazioni sempre più imponenti, paragonabili solo alle grandi invasioni barbariche che furono una delle cause della caduta dell’impero romano.

All’interno dei nostri Stati siamo preda di populismi che hanno sempre più presa.

I giovani sono sempre più indifferenti alla politica e non è un caso che nessuno dei leader dei quattro più grandi partiti italiani sia un parlamentare eletto dal popolo.

Non è altrettanto un caso che quasi tutte le cinghie di trasmissione che permettevano di mettere in contatto la volontà popolare con le istituzioni, inclusi i partiti politici e i sindacati, stiano perdendo presa, sostituiti dai sondaggi. 

Forse dovremmo pensare che, come dicono alcuni grandi pensatori, ci stiamo avvicinando ad un “punto singolare” della storia, quello in cui tutto cambia in un bagno di sangue e di distruzioni. Dovremmo provare a creare una transizione pacifica per evitare una catastrofe più violenta delle altre.

Ma di questo parlerò un’altra volta