Testo

4. giu, 2020

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4 giugno 2020

Uno sguardo al futuro prossimo

In questi tre mesi di non-vita ho molto guardato dentro me stesso come penso sia accaduto a tante persone. Alcuni ne sono usciti distrutti per le attività economiche in crisi profonda e il loro futuro diventato improvvisamente nero, altri con relazioni familiari già traballanti a cui la convivenza forzata ed inaspettata ha dato il colpo di grazia. Io fortunatamente faccio parte di quel gruppo, temo abbastanza ristretto, a cui l’età, la buona salute, un saldissimo rapporto familiare e, non ultima, una buona situazione economica ha dato la possibilità di osservare il mondo che lascerà alla generazione futura.

Diciamocelo francamente, è un brutto mondo in cui tutto dovrà essere rifondato. Io, voglio dirlo chiaramente ancora una volta, credo fermamente nei valori con i quali sono nato e nei quali sono stato educato e mi sono formato. Non c’è alcun merito in ciò. Essi sono frutto di 2500 anni di storia che si è via via evoluta, talvolta con sussulti violenti ma senza negare mai se stessa. Credo nella libertà dell’individuo, il diritto innanzitutto di vivere, di essere curato, di avere un lavoro che crei dignità e benessere, e poi di pensare e di agire. Tutto ciò in un giusto equilibrio con la necessità di proteggere e salvaguardare i diritti della società che ci circonda. Credo quindi nell’uguaglianza vera delle persone, indipendentemente dal colore della pelle, della religione, del luogo in cui per avventura e senza alcun merito o demerito essi sono nati. Nego quindi ogni forma di razzismo, ogni forma di pena di morte, la coercizione del pensiero altrui, la guerra come espressione (di solito non dichiarata) del potere che fatalmente si trasforma in colonialismo. Tutto ciò, ripeto fino allo sfinimento, dipende per larghissima parte dal luogo in cui sono nato e sono stato educato. Un solo esempio banalissimo: nasco in Italia e quindi cattolico; se fossi nato in Germania sarei stato luterano, in Grecia ortodosso, in Oriente buddista, in Medio Oriente mussulmano. Crescendo forse sarei diventato agnostico ma difficilmente avrei cambiato formalmente religione. Ciò perché nella mia mente, nella mia anima, o dovunque siano collocati i principi più profondi del mio essere, essi sono il distillato di questo meraviglioso mondo greco-latino, mediterraneo in cui sono vissuto.

Questi principi, saldissimi quanto la mia stessa vita, mi permettono di capire ed accettare, il che non vuol dire condividere, chi per avventura sia nato e si sia formato in un mondo ed in una storia  assolutamente diversa dalla mia. Accetto quindi che in India, in Cina, in Giappone abbiano un modo di pensare il vivere civile in maniera assolutamente diversa da noi e fra di loro. Che non credano nell’”uno vale uno” come da noi, che credano in un diverso equilibrio fra il bene pubblico e quello privato, nell’importanza della meritocrazia nel governo dei popoli, nella forma importante quanto la sostanza, nell’importanza dei matrimoni legati non solo all’affinità e all’amore ma anche alla propria nascita. Credo infine che i popoli che trovano la loro stabilità in strutture di tipo tribale abbiano il diritto di autoregolarsi, come dimostra il fatto che tutte le volte che il nostro mondo ha cercato di cambiarle, si sono creati destabilizzazione e interminabili guerre civili.

Tutto ciò purtroppo viene negato dal nostro mondo, quello che formalmente proclama i diritti in cui crediamo (fra cui il diritto altrui di pensare diversamente) e nei fatti li nega platealmente. Non può esistere una “verità universale” come dicono i nostri media e, se esistesse, non sarebbe conoscilbile. Perché dovrebbe esistere? Nessuno è mai stato capace di dimostrare in maniera razionale quale essa sia. Si tratta di una forma di fideismo analogo al “Dio lo vuole” del famoso film “Brancaleone alle crociate”.

Partendo da questo punto di vista analizzo il mondo a cui appartengo e che ci circonda. Cerco per quanto possibile di confrontare le fonti in modo da arrivare a capire per quanto possibile il punto di vista delle varie parti in causa. E’ questa la parte più difficile del mio “lavoro” perché molto spesso l’analisi di ciò che altri hanno detto e spesso la cronistoria dei fatti sono largamente travisate, sia dai politici che dai media. I politici, è comprensibile, cercano di affermare le posizioni che difendono e talvolta i loro interessi personali. Ciò li porta a far dire ad altri ciò che in realtà non è il loro pensiero. Per i media il possibile motivo è più complesso e talvolta assolutamente deprecabile. Da un lato sono obbligati a pubblicare i loro articoli o a parlare in televisione ogni giorno e talvolta più volte al giorno senza avere il tempo materiale di leggere qualcosa di più delle agenzie. L’altro aspetto è che, nel nome di quella verità universale, si da per assodato senza alcun briciolo di prova ciò che assodato non è. Ciò detto torno a parlarvi della situazione che si sta sempre più delineando e delle nubi sempre più scure all’orizzonte.

Venti di guerra

Parto da un articolo del “The Guardian” del 20 maggio che si riferisce a UK ma si applica benissimo anche a noi. Ve ne riassumo i punti salienti. Gli USA stanno decisamente distaccando se stessi, e la parte del mondo su cui hanno influenza, dalla Cina. Molti fra i Paesi in via di sviluppo, legati ad essa dalla “BRI”, ne restano invece ancor più aggrappati a causa dei debiti e dei possibili aiuti. La Cina sta inoltre sostituendo gli USA nelle assisi internazionali da cui gli Americani si ritirano. A prova di ciò il Guardian cita ciò che è appena successo all’assemblea dell’OMS e alle sue conclusioni. Ci stiamo avviando ad un mondo in cui due sistemi sociali, uno autoritario e l’altro democratico, si confrontano in maniera sempre più violenta. Tony Blair dieci anni fa scriveva che UK, assieme all’EU di cui faceva parte, in partnership con gli Stati Uniti avrebbe dovuto offrire alla Cina un nuovo modello di cooperazione globale, attraverso regole accettabili da entrambe le Parti. Il Guardian parla poi del possibile posizionamento del suo Paese, e conclude “<UK should> work with Germany, France, the EU, India, Australia and others to achieve a relationship with China that rejects both China and American bullying” Sono convinto da sempre, ma ancor di più ora, che l’unica maniera in cui i Paesi Europei possano evitare di essere stritolati in questa guerra fra le due potenze, sia quella di unirsi. Penso che la proposta congiunta di Merkel e Macron, se approvata, segnerebbe una vera rivoluzione all’interno della UE ed il suo fine ultimo sarebbe la creazione di una UE realmente unita e capace di negoziare alla pari con USA e Cina senza rendere i singoli Paesi vassalli di uno dei due imperi. Per la Merkel sarebbe il modo di chiudere la sua lunga storia politica entrando direttamente nei libri di storia.

Già nel mio ultimo articolo avevo paventato la possibilità di una nuova guerra (auspicabilmente) fredda, anche se ci sono segnali di possibili scontri aeronavali nei mari intorno alla Cina. Non penso che si tratti più di semplici segnali. Oggi mi limito ad elencarvi ciò che sta succedendo.

  • Trump ha dichiarato “ tagliare tutte le relazioni con la Cina ci farebbe risparmiare 500 miliardi” ed ha aggiunto che ha deciso di non avere più comunicazioni dirette con Xi JinPing. Ricorderete che in Gennaio, quando aveva una grande esigenza di firmare l’accordo per la Fase 1 delle relazioni commerciali con la Cina Trump ha lodato per ben 15 volte (il conto è del New York Times) il Presidente cinese “A nome del popolo americano, voglio ringraziare il Presidente Xi”, “loro hanno fatto un lavoro veramente professionale” riferendosi al modo in cui la Cina stava gestendo l’epidemia.
  • FBI e le altre agenzie americane hanno lanciato un allarme sulle possibili intrusioni dello spionaggio cinese negli istituti americani di ricerca sui vaccini. Il livello di protezione di questi istituti è simile alla protezione assicurata alla NASA e alle altre organizzazioni americane durante la “corsa allo spazio” con l’URSSS.
  • Il fondo pensioni federale non è più autorizzato ad acquistare fondi o azioni con partecipazioni in aziende cinesi
  • Embargo tecnologico. Per esempio Huawei non può più installare il software Android sui propri telefoni cellulari.
  • Il disegno di legge “Forging Operational Resistance to Chinese Expansion (FORCE)”, in discussione al Senato, prevede stanziamenti per la costruzione o l’ampliamento di basi militari attorno alla Cina (quindi chiaramente offensive come i missili sovietici a Cuba). Esso prevede inoltre lo spostamento sul territorio americano produzioni oggi effettuate in Cina.
  • Blocco dei finanziamenti cinesi alle Università americane
  • Pressioni sempre maggiori sui Paesi alleati perché si allineino a questa politica. Due esempi: Pompeo ha ottenuto il congelamento da parte di Israele della partecipazione di un’azienda di Hong Kong alla gara per la realizzazione di un dissalatore; la minaccia pesantissima all’Australia (il più fedele fra i Paesi vassalli) perché blocchi le trattative del Victoria State per alcuni investimenti nell’ambito della BRI
  • La fornitura di sei sottomarini e altri sistemi d’arma a Taiwan, e i passaggi dimostrativi sempre più frequenti di navi militari nei mari intorno alla Cina e nello stretto di Taiwan. Queste azioni sarebbero equivalenti al passaggio di navi militari cinesi ne mare fra Florida e Cuba e la fornitura di armi a quest’ultima.
  • Il tentativo di due stati Americani di poter processare in Patria la Cina e i leaders cinesi per violazione dei diritti umani, un’arma che gli USA adoperano in maniera assolutamente discrezionale verso Paesi a loro avversari.
  • Questa lista potrebbe continuare ancora ma credo che sia abbastanza chiara per capire come la situazione stia arrivando a un punto molto pericoloso.

La Cina d’altronde risponde in maniera più cauta alle roboanti dichiarazioni di Trump ma comincia a far vedere le sue reazioni.

  • Una volta risolta almeno temporaneamente la vicenda dell’ OMS (WHO) in maniera ad essa favorevole con l’approvazione della mozione europea appoggiata da circa 140 Paesi su 180, lancia i primi segnali di reazione contro le accuse dei “Five Eyes” il sistema di spionaggio messo insieme da USA, Canada, Australia, UK e Nuova Zelanda  per dimostrare, senza riuscirci, le colpe Cinesi nell’epidemia di Covid 19. La Cina ha bloccato le importazioni di alcuni prodotti alimentari australiani ed ha posto un dazio dell’80% sulle importazioni di carni di cui è il principale consumatore.
  • La situazione di Hong Kong. Come avevo cercato di dirvi, la Cina aveva il massimo interesse, più di chiunque altro, a risolvere la situazione di Hong Kong in maniera pacifica. Infatti il prolungamento delle dimostrazioni avrebbe certamente determinato (come è successo) la sconfitta del KMG, il partito favorevole al mantenimento dello status-quo con la Cina, nelle elezioni di Taiwan. Oggi al Parlamento di Pechino si sta parlando dell’emanazione di una legge contro le azioni di sovversione a Hong Kong. Ancora non si conosce il testo della legge e neppure chi dovrà applicarla. Sarà molto diverso, infatti, se dovrà occuparsene il sistema giudiziario di HK, assolutamente libero e indipendente, o questa legge ricadrà nella giurisdizione diretta di Pechino. Ve ne parlerò in seguito quando avrò disponibili elementi più certi. Bisognerà anche capire perché la Cina ha scelto questo momento per occuparsene dopo che da almeno 15 anni abbiamo assistito a periodiche proteste, molto spesso violente, dei cittadini di Hong Kong. Una cosa è certa, e forse è questo il movente principale: si tratta di un pesantissimo avvertimento agli USA e al mondo di ciò che succederebbe se Taiwan dovesse compiere atti riguardanti l’indipendenza dell’isola. Un esempio marginale potrebbe spiegare quanto ho detto. Per quanto si sa, il vilipendio all’inno nazionale cinese ed alla bandiera cinese è punito in maniera molto pesante (anche con il carcere). Certamente questo è un reato in tutti i Paesi del mondo. In Italia purtroppo nessun magistrato (che io ricordi) ha chiesto l’autorizzazione a procedere contro Bossi quando diceva che “con la bandiera Italiana si puliva ….”  ma continuo a  pensare che fosse un episodio molto, molto grave ed un’offesa a chi è morto per quella bandiera. Tre anni di carcere (questa sembra essere la nuova legge a HK) mi pare però eccessivo e non avrebbe senso se non ci fosse qualche altro motivo sottostante.

Cerchiamo di volare alto

Simon Tisdall, editorialista del Guardian, risponde a un’affermazione di Hu XiJin, editorialista del Global Times cinese “ Se i 100000 morti americani fossero stati in Cina, la Casa Bianca sarebbe stata distrutta dai cittadini” e si chiede in maniera molto più appropriata “Come mai, a parte poche proteste marginali, i popoli di tutto il mondo non si sono ribellati violentemente contro i loro governanti di ogni segno politico e colore che si sono rivelati incapaci di dare una risposta appropriata ai loro cittadini, specie le classi più disagiate?”. E’ una domanda importante a cui risponde dicendo che, secondo le opinioni di economisti, scienziati ed esperti di tutto il mondo, questa epidemia costituisce uno spartiacque e niente sarà più come prima. Non cita però le solite motivazioni che tutti abbiamo letto, ma qualcosa di più serio e generale “Che ci piaccia o no – egli dice – siamo all’alba di una nuova rivoluzione”.” Sarà violenta, ideologica e incontrollabile come le rivoluzioni del ventesimo secolo nate dalle idee di Marx, Mao, Castro e Guevara, oppure una modifica non violenta ma ugualmente profonda e rapida del modo in cui questo mondo interdipendente dovrà funzionare? La sua risposta è che tutto dipenderà dalla maniera in cui le ode d’urto e gli effetti di questa pandemia si evolveranno. Tisdall, in una maniera che io condivido profondamente, si rifà al passato remoto e in questo caso al Libro V della “Politica” di Aristotele. Il grande filosofo scrive che giustizia e uguaglianza sono le fondamenta di uno stato e la disuguaglianza, essendo una forma importante di ingiustizia è la causa principale delle rivoluzioni. Io aggiungerei che “uguaglianza” è una delle tre parole alla base della rivoluzione francese, e che questa parola appare nelle costituzioni di tutto il mondo. Perché tutto ciò? Oggi assistiamo ad una grande ingiustizia sociale fra Paesi ricchi e Paesi in via di sviluppo ed all’interno di uno stesso Paese fra le varie classi sociali. La pandemia e la conseguente crisi economica mondiale hanno acuito tutto ciò. Il CEO di JP Morgan Jamie Dimon considera l’epidemia “ una sveglia per gli uomini d’affari e il governo, a pensare, agire, e investire per il bene comune”. Non ce lo aspetteremmo da un capitalista americano, piuttosto da un socialista europeo. E’ necessario, secondo moltissimi sociologi ed economisti porre mano a un’agenda rivoluzionaria che includa azioni efficaci per affrontare la povertà, le differenze fra il Nord e il Sud del mondo, il problema del clima, dell’energia, delle risorse d’acqua. In sostanza la “doughnuts economics”, cioè “ assicurare che a nessuno manchi ogni elemento necessario alla vita (cibo, casa, salute, lavoro, libertà politica etc.) facendo in modo di non superare i limiti che ci vengono posti da questo pianeta (clima stabile, fertilità dei suoli, inquinamento, strato dell’ozono etc.)” come sintetizzato da Kate Raworth e sinteticamente descritto nelle fig. allegata.

Torno al Guardian. In America l’amministrazione Trump ha dimostrato l’inadeguatezza di un sistema creato due secoli fa. E’ necessaria una seconda rivoluzione americana che, a partire dal sistema elettorale ormai anacronistico ricostruisca una democrazia accessibile a tutti, e un coinvolgimento globale del Paese. In UK, l’inadeguatezza nella gestione della pandemia ha dimostrato una crisi dell’attuale sistema rappresentativo e della coesione nazionale. Per sopravvivere come “Regno Unito” sarà necessaria una riforma epocale come quella del 1832. In Europa il vecchio sistema deve essere rifondato per evitare il rischio di essere travolto dal populismo e dal nazionalismo. Anche in Russia e Cina sarà necessario un ripensamento totale per evitare che i due sistemi siano travolti dalla recessione economica.

Per sopravvivere sarà necessario dare di nuovo un ruolo alle Nazioni Unite, ritornare all’idealismo della conferenza di San Francisco del 1945 e lavorare insieme. Purtroppo oggi stiamo andando in direzione opposta.

Michael Vatikiotis è un giornalista, scrittore e membro di varie organizzazioni diplomatiche non governative che si è occupato di Asia e rapporti internazionali fin dal 1987. E’ stato editorialista del Far Eastern Economic Review per 16 anni ed oggi è direttore per l’Asia del “Centro per il Dialogo umanitario”, una fondazione privata di base a Ginevra. Vive a Singapore. Ha scritto due saggi molto interessanti. Nel primo, del marzo scorso, egli sostiene che le autocrazie in Asia trovano sostegno nell’erosione delle istituzioni democratiche occidentali che una volta potevano essere uno standard di libertà e giustizia.  L’ondata di democrazia che dall’Europa Occidentale si diffuse in Europa Orientale e Asia negli anni ’70 e ’80, portò ad una crescita notevole dei principi democratici nel mondo. <Su questo vedi anche il bel libro “Il tramonto del liberalismo Occidentale” di Edward Luce che ho citato più volte>. Con la nascita dei movimenti populisti in Occidente questo esempio si è andato spegnendo. Gli USA, una volta esempio di democrazia, sotto l’amministrazione Trump hanno creato seri dubbi sulla reale esistenza di questi principi. V. cita una serie di esempi. Il più importante è dato dall’ atteggiamento americano verso l’India. Durante la sua visita di mesi addietro Trump non menzionò a Modi il supporto alle violenze contro i mussulmani e la minaccia al loro diritto di avere una cittadinanza in India; né parlo della repressione dei dissidenti in Kashmir. Sempre durante la sua visita un magistrato che stava investigando sulle azioni della polizia durante le dimostrazioni  fu rimosso. Ci fu un accenno americano anche timido alla minaccia all’indipendenza del sistema giudiziario, uno dei principi fondamentali di un sistema democratico quale l’India dichiara di essere? Niente di tutto ciò. Discorso analogo si può fare per eventi accaduti in Tailandia, Malesia, etc. In Asia si ha l’impressione che il supporto americano in questi Paesi sia dettato solamente dall’obiettivo di creare una cintura contro la Cina che viene definita da Pompeo il diavolo, il più grande pericolo per il mondo intero. Non sembra che in USA si dia alcun peso all’oppressione di quasi 200 milioni di mussulmani, il 15% della popolazione indiana. In Asia ci sono certamente molte perplessità circa la richiesta della Cina all’America di non ingerirsi negli affari della regione, giacché anche la Cina chiude un occhio su gli stessi abusi di cui vi ho parlato. La stessa UE è stata molto incerta nel condannare la messa al bando delle opposizioni in Cambogia nel 2017. Visto dal punto di vista dei governi asiatici bisogna smettere di guardare a occidente come modello a cui ispirarsi. Ne è un esempio ciò che accade in Indonesia che organizza regolarmente una serie di incontri a Bali per un “forum della democrazia” che riunisca i leaders dei Paesi emergenti. I leaders indonesiani vorrebbero ad esempio supportare l’Afghanistan nel suo tentativo di realizzare un sistema che garantisca i diritti umani. Trump al contrario ha raggiunto un accordo molto controverso con i Talibani, ignora il pericolo che essi costituiscono e mira solo a ritirare le sue truppe dopo averlo invaso come reazione 1ll’11 settembre. Gli stessi leaders europei e americani chiudono gli occhi di fronte ai trattamenti repressivi e inumani dei rifugiati di tutto il mondo. Come ci si può stupire quindi del progressivo scivolamento verso i tradizionali “valori Asiatici”?

Il secondo articolo, di qualche giorno fa, ne è la continuazione ideale, alla luce del coronavirus. Anche in questo caso V. si domanda “cambierà qualcosa dopo questa epidemia?” La sua risposta è netta “certamente non cambierà la conflittualità mondiale, anzi tutte le divisioni fra potenze, regioni del mondo, Paesi confinanti ne verranno esacerbate e si creeranno nuovi argomenti di divisione in analogia con la fine del secondo conflitto mondiale che determinò, immediatamente dopo la sua conclusione, la guerra fredda” V. sostiene la necessità immediata di anticipare le nuove linee di faglia create dalla pandemia e di creare in Asia un nuovo sistema atto a contenere i dissidi e risolvere i problemi prima che si determinino nuove catastrofi. Un esempio è costituito dal vaccino anti-Covid. Ancora non si sa se, quando e da chi esso sarà prodotto, ma già assistiamo al conflitto fa Trump e Macron su chi debba esser il primo a procurarsi le quantità necessarie al proprio Paese, che saranno forse prodotte da Sanofi. Nelle nostre società così profondamente ineguali come sarà risolta la distribuzione del vaccino che assicurerà un passaporto per la vita e contro la disoccupazione? Quando esso sarà disponibile per il cittadini del Terzo e Quarto mondo? La stessa pressione per lo “smart working” stando a casa, non è una mancanza di attenzione verso i poveri e i marginalizzati che saranno certamente gli ultimi della fila mondiale? L’OMS è stata marginalizzata, le sue decisioni e i suoi allarmi sono largamente ignorati e lo stesso Consiglio di Sicurezza dell’ONU non riesce a far approvare una risoluzione di tregua globale. E’ necessario quindi che l’Asia faccia da se e trovi la maniera di condividere metodi e risorse per proteggere la propria salute e la propria sicurezza. L’Asia è il posto dove il virus è nato ed anche la regione dove esso è stato contenuto più efficacemente, anche con metodi diversi. Bisogna anzitutto coordinare le diverse metodologie e abbassare le barriere per un’azione efficace. Questo gruppo potrebbe basarsi sul nucleo storico dei dieci Paesi dell’Asean , a cui dovrebbero aggiungersi altri Paesi come il Bangladesh che ospita quasi un milione di rifugiati Rohingya pur essendo uno dei Paesi più poveri del mondo, e poi Cina, India Giappone e Corea (sia sud che Nord). possibilmente anche Australia e Nuova Zelanda, sul modello degli “ad-hoc Bali process”. Questo schema darebbe la possibilità alla Cina di abbandonare la sua politica difensiva fin ora adottata nella lotta alla pandemia. Soprattutto, mettendo da parte la “tossica rivalità geopolitica fra USA e Cina” dall’equazione regionale si potrebbe ottenere una reale cooperazione cinese. “Non è più tempo per manovre assertive nel mar Cinese Meridionale e confronto fra le marine militari americana e cinese”. I Paesi dell’Asia vogliono che essi smettano la loro guerra a spese degli altri Paesi che sono strattonati da una parte e dall’altra. Tutto ciò è un sogno difficile da realizzarsi ma forse è l’unico per poter evitare una catastrofica guerra del Sud contro il nord del mondo. E’ questo sogno il vero futuro?

A mio parere il nuovo mondo dovrebbe vedere la rinascita dell'Europa, unita, forte, rispettata da Occidente e Oriente e unica capace di fare da punto di equilibrio fra due mondi incapaci di comprendersi e portatori di valori antitetici. Un'Europa che non rinunzi ai propri valori che al contrario devono essere la sua base fondativa. Un'Europa capace di creare un dialogo costruttivo fra tutte le parti in causa evitando populismi, estremismi e pretese di dominio mondiale. Purtroppo sono molto pessimista

Ultimi commenti

23.11 | 15:42

Grazie, leggo sempre con piacere i tuoi articoli.

19.09 | 17:02

O.K. !!!

31.05 | 14:33

Grazie a te. So bene che i miei articoli sono abbastanza "pesanti" e quindi talvolta noiosi

31.05 | 13:16

Notevole questo articolo del 30 maggio. Attendo con impazienza il seguito tra un mesetto! Grazie Nino per il tempo che dedichi a provare a colmare la nostra immensa ignoranza. A presto.

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