Il diciannovesimo congresso del partito comunista cinese

30. ott, 2017

Il diciannovesimo congresso del partito comunista cinese

Un evento che cambierà il mondo I  – Il diciannovesimo congresso del partito comunista cinese (CPC)

Pechino, 25 ottobre (Xinhua) – Xi Jinping è stato eletto segretario generale del comitato centrale del CPC per il suo secondo mandato nella prima sessione plenaria del diciannovesiomo comitato centrale del CPC

Uno stringato comunicato ufficiale della Xinhua da un annunzio che avrà profondi riflessi sul futuro della Cina e del mondo intero. Questo evento è stato discusso a fondo dalla BBC e dai principali giornali inglesi e americani (alcuni di essi non sono stati ammessi alla conferenza stampa finale) ma i giornali italiani ne hanno parlato molto poco e nelle pagine interne. Nel seguito di questa nota cercherò di spiegare, nella maniera più obiettiva possibile, guardandola “Dalla Luna” come nel titolo del mio sito internet. Mi riferirò, oltre che alle dichiarazioni e ai commenti ufficiali della Xinhua, principalmente a quanto si è potuto leggere nelle pagine del “South China Morning Post” e della BBC, ma anche sul “New Work Times”, sul “Washington Post” e sul Guardian” che hanno commentato i fatti in maniera spesso molto diversa fra loro.

Partirò da lontano per rendere più chiaro, anche se più lungo (e me ne scuso) il filo logico degli avvenimenti.

Il 16 luglio 1966 una fotografia fa il giro del mondo; essa mostra Mao Tse Dong che nuota nelle acque del fiume Yangtse, con il seguente titolo “Seguiamo sempre il Presidente Mao attraverso le onde e i venti tempestosi”. Questa storica nuotata segna un punto di svolta nella politica cinese. Pochi giorni dopo Mao, ritornato a Pechino, lancia un violento attacco nei confronti dei suoi oppositori per la leadership del Partito. Egli, infatti, capovolse quasi tutte le decisioni prese dal Governo, anche quelle che aveva precedentemente approvate, con la seguente direttiva “Dobbiamo credere nel popolo, fidarci del popolo e rispettare le innovazioni del popolo. Non dobbiamo aver paura, non spaventatevi del caos”. Allo stesso tempo parlò alle Guardie Rosse in piazza Tienanmen il 18 agosto 1966.

A Pechino le Guardie Rosse dichiararono guerra contro i “Quattro vecchiumi”: i vecchi costumi, la vecchia cultura, le vecchie abitudini e le vecchie idee. Essi cominciarono a distruggere tutti i simboli della cultura e a perseguitare gli intellettuali in una massiccia campagna che dilagò velocemente in tutta la Cina. Soltanto nella Capitale in solo due mesi furono distrutti circa 5000 oggetti antichi (il 70% di quelli esistenti). In parallelo cominciarono violenti attacchi personali contro le “cinque categorie nere”: i proprietari terrieri, gli agricoltori ricchi, i contro-rivoluzionari, le persone capaci di influenzare negativamente il popolo, la destra. L’anarchia dilagò in Cina, forte dell’appoggio e dell’incoraggiamento del vertice a insorgere contro i governanti locali. Ci furono processi sommari in piazza, figli che denunziarono i genitori e ogni genere di violenze. Un solo numero può dare un’idea di ciò che successe in dieci anni di rivoluzione culturale. Essa causò (dati ufficiali) 1,72 milioni di morti, vale a dire il doppio dei morti di Gran Bretagna e USA insieme durante la seconda guerra mondiale. Io arrivai in Cina pochi anni dopo la fine di questo dramma collettivo ed ebbi la fortuna di guardare gli occhi e ascoltare le parole del mio “grande vecchio” di cui vi ho parlato, che mi raccontava inorridito della gigantesca catastrofe, umana più ancora che politica, che colpì il suo Paese e lui stesso. Oggi solo pochi anziani hanno un ricordo diretto di quei lontani avvenimenti ed evitano di parlarne con i loro figli e nipoti: troppo è l’orrore nei loro cuori e il tentativo, impossibile, di dimenticare! Noi possiamo percepire qualcosa di analogo parlando con i sopravvissuti alle deportazioni nei campi di concentramento tedeschi durante la seconda guerra mondiale. Ormai pochissimi, se non altro per motivi anagrafici, ne hanno un ricordo diretto, ma quelli di noi che hanno avuto la possibilità di parlare con qualcuno dei sopravvissuti non potranno mai dimenticare le loro parole. Purtroppo le nuove generazioni in Europa tendono a dimenticare i tragici avvenimenti della nostra storia recente, parlano di “avvenimenti del passato”, “di vecchiumi ormai superati di cui è noioso anche parlare”. Purtroppo non è vero, l’essere umano è sempre lo stesso è ciò che è accaduto può verificarsi di nuovo in ogni momento. Il detto di Cicerone “Historia magistra vitae” desta ormai il sorriso di chi ascolta “questi concetti ormai superati”. Niente di più falso e se ne potrebbe dare evidenza in ogni momento. Ma questo è un altro discorso.

Lo stesso Mao, in una conversazione con Edgar Snow, il giornalista americano che fu testimone di tutta la storia cinese del ventesimo secolo disse “Questi conflitti sono necessari per ripulire la società dai contro-rivoluzionari e dai capitalisti, ma non sono contento degli abusi fatti sui prigionieri”. Purtroppo è facile scatenare le forze delle rivoluzioni ma è poi impossibile regolarle e fermarle. La rivoluzione francese ne da una chiara testimonianza. Le morti, le distruzioni e la ghigliottina in piazza che compie il suo macabro lavoro alla presenza delle “tricoteuses” che assistono allo spettacolo, si fermarono soltanto col ritorno di una dittatura ferrea. La rivoluzione francese dopo avere ingoiato i suoi stessi promotori finì con la morte violenta di Danton, Robespierre etc. in una gigantesca spirale che si fermò solo con Napoleone e in seguito con la restaurazione del congresso di Vienna. E oggi la “primavera egiziana “si è conclusa con l’avvento di Al-Sisi, probabilmente peggiore di Mubarak che era stato abbattuto.

Tornando alla Cina, nel settembre 1968 tutti i governi provinciali e regionali erano stati abbattuti e sostituiti.

Alla fine del 1968 Mao, impaurito dal mostro che aveva scatenato, diede una direttiva secondo la quale tutti gli studenti dovevano essere trasferiti in campagna. “ E’ necessario che i giovani istruiti vadano nei villaggi e siano rieducati dai poveri e dai contadini”. “Dobbiamo convincere i quadri e i cittadini a mandare i loro figli, al termine del loro ciclo di studi di base, nei villaggi e nei campi”.

Tutti i quadri del partito, i governanti, gli intellettuali e i professionisti furono assoggettati allo stesso trattamento. Il Presidente Cinese Liu Shaoqi fu arrestato, denunziato come traditore e assoggettato a ripetute violenze (vedi foto). Egli morì in carcere dopo due anni di detenzione.

Deng Xiao Ping, strettissimo collaboratore di Mao e segretario generale del partito, fu rimosso dalle sue cariche e mandato in provincia a ricoprire un oscuro incarico di impiegato.

Zhu Enlai fu l’unico a tenere in piedi l’organizzazione statale e tutti i rapporti internazionali in quel periodo tumultuoso. Quando si ammalò di cancro, riuscì a convincere Mao a “risuscitare” Deng e lo riportò al governo. La rivoluzione culturale non era però finita, e un gruppo radicale noto come “la banda dei quattro” cercò di impadronirsi potere e vide Deng come il suo grande avversario date le cattive condizioni di salute di Zhu Enlai. Nel frattempo Lin Biao, designato come successore di Mao, morì assieme alla sua famiglia in un misterioso incidente aereo in Mongolia. Si disse che era stato abbattuto nel tentativo di fuggire. Alla morte di Zhu Enlai, Deng, privo della sua protezione, fu di nuovo epurato. Morto Mao, il suo successore come segretario del comitato centrale del CPC  Hua Guofeng, graziò Deng, fece arrestare e processare la banda dei quattro, e dichiarò la fine della rivoluzione culturale. Eravamo nel 1976, dieci anni dopo l’inizio di questa catastrofe. Deng, senza accettare la carica di segretario generale del CPC, e di presidente del Paese, ottenne svariate cariche incluso quella, importantissima, di segretario della commissione centrale militare e lanciò, nel 1977, la “primavera di Pechino”, “Le quattro modernizzazioni”, la liberalizzazione dell’economia.  Si crearono numerose aspettative di liberalizzazione rapida e totale della società cinese, supportate da una parte del governo, e si arrivò al massacro di Tienanmen, soluzione tragica e violenta decisa personalmente da Deng.

Deng, che che aveva vissuto in prima persona il recentissimo dramma della rivoluzione culturale, riteneva che una crescita ordinata e graduale dell’economia fosse necessaria come primo passo. La liberalizzazione della società si sarebbe affrontata in un secondo tempo e in maniera estremamente graduale, se si voleva evitare, in un Paese così vasto e con problematiche così complesse, un altro periodo di instabilità catastrofica. La Cina, infatti, poteva essere distrutta in maniera irreparabile solo da se stessa e dai suoi conflitti interni.

 I risultati si videro: per un lunghissimo periodo la Cina sperimentò una crescita “a due cifre”, i dati sull’aspettativa di vita, sulla mortalità infantile, sull’educazione e sulle condizioni di vita della popolazione, crebbero ad una velocità che non si era mai vista nella storia e che non si ripeterà di nuovo. La Cina divenne “la fabbrica del Mondo” e diventò la seconda potenza economica mondiale: certamente non si risolse il problema del “figlio unico” e dell’”Hukou”, nei termini di cui vi ho parlato nelle mie note precedenti, né tanto meno quello della libertà di stampa ed altri diritti fondamentali che dovranno essere affrontati da ora in poi.

E qui dobbiamo cominciare a parlare di Xi Jinping, la cui politica vi ho già delineato in parecchi dei miei articoli precedenti.

Xi Jinping è nato a Pechino nel 1953, figlio di un veterano della rivoluzione, uno dei padri fondatori del CPC e vice primo ministro; è quindi uno dei “principini”, figlio cioè di uno dei grandi della nuova Cina sorta nel 1949. La sua vita cambiò quando, nel 1962, prima della rivoluzione culturale ma come anticipo di essa, suo padre, coinvolto in una purga, fu imprigionato.  La sua famiglia, come tante altre, subì varie umiliazioni e la morte di una sua sorella, probabilmente per suicidio. A tredici anni di età la sua carriera scolastica terminò con l’inizio della rivoluzione culturale e la sua vita, senza alcuna protezione familiare, cambiò totalmente con minacce di morte e la detenzione. Molti anni dopo Xi raccontò uno degli interrogatori subiti: avevo quattordici anni quando le guardie rosse mi chiesero “Quanto pensi che siano gravi i tuoi crimini?”. Io risposi: potete giudicarlo voi stessi. Ce n’è abbastanza per giustiziarmi?” E loro risposero “potremmo giustiziarti cento volte” ed io “Dal mio punto di vista non c’è differenza fra essere giustiziato una o cento volte”. Non fu giustiziato ma, come tanti altri ragazzi della sua generazione, mandato in campagna. La vita era molto dura: niente elettricità, né trasporti pubblici o mezzi meccanici. Imparò a fare lavori manuali (vedi foto) e a dormire in una grotta, su un letto di mattoni assieme ad altri tre giovani. Uno di essi, un contadino rintracciato e intervistato dalla BBC disse “ Tutto ciò che avevamo da mangiare era minestra, erbe e “steamed buns” (delle focacce di farina cotte a vapore e tuttora popolari in Cina)”. “Del resto, se tu sei affamato, non ti importa cosa stai mangiando. “Mi ricordo di lui che quando tornava la sera leggeva tutto ciò che gli capitava a tiro: le opere di Mao e i giornali ufficiali, alla luce fioca di una lampada a cherosene. Era un grande fumatore e non aveva alcun senso dell’humour.” “Non si univa agli altri ragazzi, non giocava a carte e non faceva la corte alle ragazze”. Alla fine della rivoluzione culturale era pronto per ricominciare sia gli studi che la carriera politica. Si iscrisse alla lega giovanile comunista e finalmente, a 21 anni, dopo vari rifiuti dovuti alla detenzione del padre e alla caduta in disgrazia della famiglia, la sua domanda di iscrizione al partito fu  accettata. Nel frattempo si era laureato in ingegneria chimica. Nel 1978 suo padre fu riabilitato e mandato a governare il Guandong. Dei rapporti diplomatici pubblicati da Wikileaks lo descrivono come un giovane estremamente ambizioso e dedicato completamente a recuperare il tempo perduto e a sviluppare la sua carriera. Durante la sua vita da “principino” e la successiva deportazione aveva però imparato una cosa: era necessario non esporsi e vivere sotto traccia. La cosa che si ricorda di lui in quel periodo fu il matrimonio in seconde nozze (il primo con la figlia di un diplomatico cinese durò pochissimo) con una celebre cantante. In quel periodo e per molti anni girava la battuta “Chi è Xi Jinping?”, “ E’ il marito di Liyuan.”. Un giornalista che lo conobbe quando Xi muoveva i primi passi della sua carriera lo descrisse come “ una persona noiosa che badava a non farsi notare e a non fare alcun passo falso. Cercava solo di non farsi nemici”. Eleanor Dvorak lo ospitò in Iowa nel 1985 quando visse qualche mese negli USA in una missione ufficiale. Quando Xi tornò negli USA nel 2012, poco prima della sua ascesa al vertice della Cina dichiarò ai giornalisti “Era un giovane modesto. Dormiva insieme a mio figlio in una stanza con alle pareti i poster di Star Trek. Nessuno avrebbe mai potuto pensare che sarebbe diventato il Presidente della Cina”.

Xi Jinping, quando asceso al potere cominciava a creare il suo mito, si descriveva come un figlio  del popolo, formato nella terra gialla in cui aveva vissuto, e, successivamente, a contatto col popolo nei vari ruoli che aveva ricoperto in tante province della periferia cinese. Quando poi nel 2012 arrivò al vertice come un candidato di compromesso, aveva scolpite in mente tutte le tappe della sua vita: l’infanzia dorata passata negli studi e nel quartiere esclusivo in cui viveva la classe dirigente cinese, la caduta in disgrazia del padre che trascinò tutta la famiglia, il periodo delle guardi rosse e la sua vita in una grotta a lavorare di pala e piccone, la riabilitazione successiva e la carriera trascorsa passo dopo passo, in provincia, lontano dai riflettori di Pechino, lavorando tanto, apprendendo la realtà e i bisogni della società cinese, ma soprattutto badando a stare nell’ombra, a non commettere errori e a non crearsi nemici. Ancora oggi ama creare di se l’immagine di una persona frugale, “uno del popolo”.

Che cosa aveva imparato?

Che era facilissimo scatenare la violenza e la distruzione; che però, in un Paese immenso ed esteso come la Cina, era difficilissimo controllare il drago che si era scatenato e alla fine fermarlo. La Cina si era salvata una volta dal collasso definitivo ma ciò non doveva più ripetersi.

Le riforme di Deng Xiaoping avevano spinto una parte della classe di governo a pensare che il processo si sarebbe potuto accelerare, e si era arrivati a Tienanmen. Anche questa volta Deng, nell’incertezza e l’indecisione dei leaders, si era assunto personalmente di fronte alla storia la responsabilità del massacro. Anche quella volta si era arrivati sull’orlo del collasso e il Paese si era salvato, causando però tanti morti. Bisognava essere cauti.

La liberalizzazione dell’economia, iniziata da Deng, poteva espandersi, ma bisognava trasformarsi da “fabbrica del mondo”, ad un’economia di servizi e di consumi. Bisognava soprattutto migliorare le condizioni di vita del popolo, eliminare le disuguaglianze ancora notevoli, mettere mano alle problematiche create dalla politica del figlio unico e le distorsioni create dall’Hukou, migliorare il sistema pensionistico e la sanità.

Più di ogni altra cosa era necessario evitare ogni turbamento alla gradualità dei processi di liberalizzazione, le “fughe in avanti” propiziate da una ridottissima parte della popolazione, cercare di rivalutare i principi della cultura e delle tradizioni cinesi, senza cristallizzarli però come era successo per oltre duemila anni, ma adattandoli ai tempi nuovi. Evitare ogni omologazione e asservimento alla cultura occidentale.

Questo era il bagaglio che derivava da tutte le esperienze della sua vita, ed a questo improntò la sua politica, quando per la prima volta dopo due secoli la Cina era ritornata ad essere una stella di prima grandezza nel firmamento mondiale. Di questi primi cinque anni vi ho parlato già ampiamente in tanti articoli e ad essi vi rimando.

E arriviamo ora al diciannovesimo congresso del CPC che, come ho detto net titolo di questa nota, ha dato una grande svolta alla Cina le cui ricadute influenzeranno, nel bene e nel male, il mondo intero, proprio nel momento in cui stiamo affrontando le conseguenze del “Trumpismo” e della progressiva disgregazione degli ideali e del concetto di “Europa”, l’unico che può dare speranza e futuro a noi Europei.

Di ciò vi parlerò la prossima volta, fra una decina di giorni.   

Ultimi commenti

23.11 | 15:42

Grazie, leggo sempre con piacere i tuoi articoli.

19.09 | 17:02

O.K. !!!

31.05 | 14:33

Grazie a te. So bene che i miei articoli sono abbastanza "pesanti" e quindi talvolta noiosi

31.05 | 13:16

Notevole questo articolo del 30 maggio. Attendo con impazienza il seguito tra un mesetto! Grazie Nino per il tempo che dedichi a provare a colmare la nostra immensa ignoranza. A presto.

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