La via della seta-un mese dopo

14. apr, 2019

La via della seta-un mese dopo

14aprile 2019

La Via della Seta: un mese dopo

Durante la visita di Xi Jinping in Europa mi trovavo a Pechino e sono rimasto stupito dallo straordinario rilievo dato da tutti i media agli incontri di Roma (vedi il breve filmato allegato direttamente a questa nota). Le news della CCTV ne parlavano estensivamente a tutte le ore, e, cosa più inusuale, durante la trasmissione di altre notizie il “sottopancia” scorrevole continuava a dare informazioni sugli avvenimenti di Roma. I giornali cinesi erano pieni di notizie, commenti, interviste e fotografie dell’evento. Non c’era però da stupirsi visto il trattamento straordinario che Xi aveva riservato a Gentiloni quando, unico capo di governo dei G7, aveva partecipato a Pechino nel 2017 al primo Forum della BRI. In quell’occasione, durante la cerimonia ufficiale al National Theater,  Gentiloni sedeva alla destra di Xi Jinping, in una posizione quindi molto più importante di altri leaders che ne avrebbero avuto più diritto. In quell’occasione la stampa italiana ne parlò pochissimo, come pure quando l’Italia aderì come socio fondatore alla AIIRB, il cuore finanziario della BRI. Infatti, la nostra firma del Memorandum che tanto scalpore ha destato in Italia nasceva molto da lontano. Tutti i Paesi della UE (l’Inghilterra per prima) aderirono alla AIIRB, determinando i severi rimbrotti di Trump, a cui era rimasto fedele solo il Giappone. Quando poi Gentiloni partecipò al Forum la strada dell’adesione era stata già tracciata e bene ha fatto il governo successivo a proseguire su questa linea. Il punto però è stato che i nostri politici e tutti i nostri media, troppo occupati a seguire solo le polemiche e i fattarelli di casa nostra, non se ne curarono e solo all’ultimo momento, di fronte a questa “bomba”, si trovarono totalmente impreparati e disinformati. Si espressero quindi solamente in maniera ideologia e preconcetta nell’ignoranza assoluta dei fatti.

La critica maggiore che è stata fatta in Italia al Memorandum firmato con i Cinesi è stata “Si, è vero, anche gli altri Paesi europei hanno fatto affari con la Cina, ma non si sono legati ad essa a doppio filo come abbiamo fatto noi, rompendo la solidarietà europea e diventando il grimaldello per il colonialismo cinese in Europa”. Quest’asserzione presenta due errori fondamentali. In Cina, e chiunque sia realmente familiare negli affari con questo Paese lo sa bene, le definizioni hanno un significato profondamente diverso dalle nostre. Una “Letter of Intent” che da noi è quasi un contratto, in quella realtà è poco più di una richiesta d’offerta; un “Memorandum of Understanding” significa che le due Parti ai sono incontrate, hanno discusso certe iniziative, e sono più o meno d’accordo che, se e quando in futuro faranno affari in quell’ambito, i principi generali saranno quelli indicati nel MOU, a meno che una delle Parti ritenga di doverle cambiare e rinegoziare. Una “Minute of meeting” è la naturale conclusione di una qualunque riunione. Se non ci fosse, vorrebbero dire che si è trattato di una semplice visita di cortesia senza alcun seguito prevedibile.

Allora perché l’abbiamo firmata? Qui il discorso è più complesso. Come ho detto più volte, la Germania, l’Inghilterra, la Francia, ma anche il Belgio, l’Olanda e la Svezia, si sono mosse molto prima di noi nello stringere rapporti commerciali e nel promuovere investimenti reciproci fra i loro Paesi e la Cina. E’ un fatto che la Cina è piena di automobili tedesche mentre le FIAT, oggi FMC (Ferrari escluse) non esistono, ed è un fatto che la Cina è azionista della Daimler (Mercedes) e della SAAB e che la SMART cesserà la produzione in Europa e diventerà una city car elettrica, fabbricata in Cina e commercializzata anche in Europa ad un prezzo molto più competitivo della futura FIAT 500 elettrica. E vi ho già detto che i Cinesi sono estremamente presenti in tutti i grandi porti europei e che il traffico ferroviario è fiorente (con eccezione dell’Italia).

Rendiamoci conto che noi siamo gli ultimi arrivati e che nessuno sta ad aspettare che noi arriviamo come la manna dal cielo. Tanto meno gli altri Paesi europei che sono felici dell’assenza di un concorrente importante.

E quale vantaggio ci da la firma del Memorandum? Giuridicamente nessuno, ma, di fatto, un vantaggio enorme, se saremo capaci di sfruttarlo. Secondo la psicologia cinese noi siamo in questo momento “su un gradino più alto” dei nostri concorrenti e potremo certamente godere di un trattamento preferenziale nello sviluppo dei nostri rapporti commerciali.

“Se saremo capaci” ho detto, e qui arriviamo al punto dolente. I Cinesi non regalano niente a nessuno, non sono un Ente di beneficenza. Potremo concludere affari solo se essi creeranno un vantaggio reciproco. E iniziamo con il commercio. Noi, come tutti, chiediamo di bilanciare le nostre importazioni con altrettante esportazioni, ma ciò non vuol dire, per i Cinesi, importare “qualunque cosa”.  I Cinesi vogliono importare merci di alta qualità che loro non producono. Per questo importano Mercedes, Audi, BMW e non FIAT, anche se queste ultime sono più economiche. Loro apprezzano la moda italiana di qualità e tutti i grandi marchi italiani di vestiario e accessori vanno a ruba. Provate a regalare a una vostra cliente una borsa di Furla e ve ne sarà grata (la Cina è piena di negozi di Furla, anche se le borse sono carissime). E’ perfettamente inutile cercare di vendere prodotti dozzinali o “labour intensive”: le producono già in Cina a costi molto più competitivi, e, se non le producono, possono comprarle in Corea a un prezzo certamente più competitivo del nostro.

Per quanto riguarda gli investimenti nelle infrastrutture italiane, è ormai noto a tutti che oggi la Cina è interessata ai porti di Trieste e di Genova. Trieste darebbe loro un accesso rapido a tutta l’Europa centro-orientale e Genova a quella centro occidentale. Ovviamente i porti atlantici e del Mar del Nord ne sarebbero penalizzati ed è quindi ovvio che Francia, Belgio, Olanda e Germania non ne siano felici e cerchino di osteggiarci in qualunque modo, anche sventolando la bandiera europea se è conveniente per loro. Ma il nostro vero nemico è interno e si chiama “politica e burocrazia”. Nessuno, e tanto meno i Cinesi che fanno della rapidità di esecuzione la loro arma migliore, è disponibile ad aspettare qualche decennio per realizzare ed avviare un’infrastruttura programmata. Gli eventuali investimenti nell’ampliamento e nell’accesso al porto di Trieste, e soprattutto di Genova, richiedono una miriade di approvazioni a livello locale, regionale, nazionale contri i quali ci sarebbero immediatamente ricorsi, dimostrazioni, interrogazioni parlamentari etc. Questo è ciò che accade ogni volta che in Italia si vuole realizzare qualcosa, specie nel campo delle infrastrutture, grandi o piccole. Quanti ospedali, quante autostrade, quante semplici antenne per i segnali che permetto ai nostri cellulari di funzionare sono bloccate da anni? Su questa base nessuno è disposto a un investimento i cui tempi non siano certi. Trieste è più semplice perché le merci in arrivo o in partenza da esso richiedono una quantità ridotta di infrastrutture al di fuori del porto e fino alla frontiera. Ma Genova? Il grande problema di Genova, che la sta portando alla morte, è la mancanza assoluta di vie di comunicazioni rapide e ad alta capacità per l’afflusso e il deflusso delle merci da/per i mercati italiani e sopra tutto europei, ed esse hanno due nomi “terzo valico” e, ancora di più “TAV” la famigerata TAV di cui si discute da trent’anni. “A chi può interessare di risparmiare venti minuti per andare da Torino a Lione ?” dice il ministro Toninelli e mi auguro che sia solo una battuta, ma è comunque vero che nessuno dei governi precedenti ha realmente promosso quest’opera. “ E’ meglio tirare a campare che tirare le cuoia” diceva Andreotti, ma Genova sta rischiando di “tirare le cuoia” perché le merci, una volta sbarcate non possono andare da nessuna parte. E questa dovrebbe essere la “Politica” con “la P maiuscola”. Nessun calcolo di costi-benefici ha senso in un grande investimento se esso non si inserisce in una visione più ampia e di lungo termine che solo la politica può dare. Per questi motivi purtroppo prevedo che non saremo capaci di sfruttare il momentaneo  vantaggio che abbiamo acquisito sui nostri concorrenti europei.

Passiamo ora ai nostri possibili investimenti in Cina per bilanciare quelli cinesi nel nostro Paese. “Nessun gruppo industriale è disponibile a fare investimenti in Cina se non può avere il controllo della società locale e non può essere sicuro della sua proprietà intellettuale” si grida a gran voce dalle nostre parti, facendo una flebile eco a quanto dichiara l’amministrazione Trump. Ma quanto è vero tutto ciò?

Gli investimenti europei e americani in Cina nel campo automobilistico sono un dato di fatto e nessuno dei grandi produttori ha rinunziato a prendersi una parte del più grande mercato mondiale del settore (18milioni di auto prodotte nel 2018).

Ma non c’è solo questo. Nell’autunno scorso un comunicato ufficiale della EXXON MOBIL comunica che essa ha firmato un accordo di cooperazione con la provincia del Guandong per la realizzazione di un investimento nel settore petrochimico. Sempre da notizie di stampa  facilmente verificabili su Internet, tale investimento ammonterebbe a dieci miliardi di dollari. Il primo ministro cinese in un incontro con il presidente della EM, trasmesso dalle maggiori televisioni del mondo, ha salutato con favore questo investimento che promuove  la politica del “win-win” fra USA e Cina. Stiamo parlando di una delle più grandi società industriali americane, quasi il simbolo stesso dell’America che, in contrasto totale con la politica del suo Paese e nel pieno delle sanzioni decide di investire in settori tecnologicamente avanzati.

E non è la sola. Anche la tedesca BASF, anch’essa un simbolo storico dell’industria chimica tedesca ha deciso un investimento analogo e nella stessa provincia.

Sono tutti matti? Accettano che le loro tecnologie siano predate e copiate dai Cinesi? Non credo proprio. Forse erano al corrente che dal 2015 la Cina sta modificando la sua politica sugli investimenti esteri e finalmente il 15marzo 2019 il congresso nazionale del popolo ha approvato la nuova legge sugli investimenti esteri che entrerà in vigore a partire dal 1/1/2020. Essa riforma tutto il sistema degli investimenti, delle società miste, della protezione della proprietà intellettuale etc. In particola l’articolo 22 recita “The state protects the intellectual property rights of foreign investors and foreign-invested enterprices, protects the lawful rights and interests of intellectual rights holders thereof, and strictly holds those who infringe upon other’s intellectual property rights legally accountable …...” e l’articolo 23 “Administrative agencies and the employees thereof shall, in accordante with law, keep confidential the commercial secrets of foreign investors and foreign-invested enterprices they obtain in performing their duties, and shall not disclose or illegaly provide them to others. “

Si tratta di una legge molto ampia, di 42 articoli e ve la risparmio. Alcuni commentatori dicono che essa è ancora troppo vaga, ma certo non lo è per quelle grandi imprese che stanno investendo (ed hanno già iniziato) capitali ingenti anche in difformità con le politiche del proprio Paese. E qui faccio riferimento non solo agli USA ma alla stessa Germania che parla di fronte unito dell’Europa ma i propri affari se li fa da sola e anche in fretta.

A questo proposito è interessante sapere cosa è successo  durante la riunione a Parigi di Macron, Merkel e Junker  con Xi Jinping. Dopo i rimproveri formali all’Italia e i dichiarati pericoli dell’invasione cinese questa riunione, giunta abbastanza inaspettata, generava aspettative e perplessità. Che cosa sarebbe successo? E’ stata, anche questo in maniera abbastanza inaspettata, una “charming offensive” come è stata descritta da parecchi giornali. Invece di mettere in risalto le pratiche commerciali scorrette, le promesse di riforme non mantenute, la politica interna oppressiva e anti-democratica, i tre leaders hanno assunto un atteggiamento conciliante, proponendo soltanto un maggiore bilanciamento nelle relazioni commerciali reciproche. In sostanza, parole di Macron, questa riunione, mai avvenuta prima, doveva essere vista come uno sforzo per una definizione comune di un nuovo ordine internazionale basato sul multilateralismo. Secondo Nicola Casarini dell’ Institute of International Affairs di Roma, Macron voleva mostrare un’unità di intenti quanto meno fra le due nazioni europee leaders e la Commissione europea stessa, in uno sforzo che però non poteva ignorare gli USA, nei confronti dei quali nessuna delle Parti avrebbe potuto permettersi uno show-down senza vanificarne ogni possibilità di realizzazione.  “Noi Europei - ha dichiarato la Merkel - siamo interessati a partecipare alla BRI, ma in un clima di reciprocità.”

In sostanza quest’ atteggiamento intendeva mandare due messaggi: il primo all’Italia che “si era permessa di fare il battistrada” senza “accodarsi” alle strategie di Francia e Germania ed il secondo alla Cina stessa con l’asserzione che l’Europa, attraverso i suoi Paesi leader, intendeva partecipare alla BRI ma le relative basi si dovevano discutere a quel livello. Sullo sfondo c’era Trump, il convitato di pietra di cui non potevano ignorare la posizione di “confrontation” a tutto campo nei confronti della Cina. E infatti Trump ha reagito, con l’imposizione anche all’Europa di dazi punitivi per gli aiuti di stato concessi ad Airbus che hanno danneggiato Boeing, trascurando il fatto che lo stesso WTO aveva già condannato gli analoghi aiuti americani alla Boeing. Inoltre era ed è ancora in piedi la richiesta pressante americana di mettere fuori gioco le tecnologie cinesi per il 5G, alla quale sia Francia che, specialmente Germania non hanno, almeno per ora, intenzione di “obbedire”. Come vi ho detto in precedenza infatti sono in piedi trattative per ammettere le società cinesi alle varie gare che ogni Paese sta per lanciare. Wang  Yiwei, Beijing Renmin University, ha commentato la riunione evidenziando che, con l’uscita di scena ormai prossima di Angela Merkel, Macron ambisce a diventare il leader europeo nella politica internazionale, in ciò agevolato dalla storica politica francese abbastanza distaccata da quella americana ma, a causa dei suoi seri grattacapi interni, “ha bisogno più che mai di raggiungere un accordo con la Cina”. E Xi Jinping non è stato da meno offrendo alla Francia (Xinhua) il supporto cinese per giocare un ruolo leader nello sviluppo della UE e chiedendogli di esercitare un ruolo maggiormente positivo nel miglioramento dei rapporti Cina-UE. Questo supporto però non è incondizionato e, come ha dichiarato Steve Chang (direttore del SOAS China Institute di Londra) non si può non vedere che il più grande successo di Xi Jinping è stato l’essere riuscito a rompere il fronte dei grandi Paesi europei con l’adesione italiana al BRI. E in questo caso il convitato di pietra era l’Italia, della quale non si potrà evitare di tener conto nelle future discussioni interne alla UE.  Questo, secondo me è un indubbio successo del Prof. Geraci che è riuscito a togliere l’Italia dalla marginalizzazione in cui era stata relegata dai rapporti diretti di Francia, Germania e Gran Bretagna con l’Impero di Mezzo.

Restava l’ultimo ramoscello d’olivo. La Commissione europea, in un documento ufficiale, avvera indicato la Cina come “rivale sistemico”, e ciò non era piaciuto alla Cina che ne aveva visto un grande allineamento con la politica americana. Lo stesso Juncker ha dichiarato in una conferenza stampa “ Ci rendiamo conto che alla Cina non piace la parola “rivali”, ma essa è un complimento per descrivere le nostre ambizioni condivise”, e Francois Godement, dell’ Institut Montaigne a Parigi ha spiegato “la dichiarazione di Juncker voleva intendere che oggi la Cina ha destato la nostra attenzione”. A tutto questo miele sparso a piene mani Xi Jinping ha risposto “ La Cina è determinata a proteggere il multilateralismo internazionale ed è pronta a continuare la sua apertura ai mercati……. Oggi, nei rapporti Cina-UE, l’obiettivo è la cooperazione, anche se esistono differenze e competizione ….. Dobbiamo andare avanti fianco a fianco… guardando al futuro……E senza voltarci indietro per paura che i nostri partners  tramino dietro le nostre spalle”. Angela Merkel ha chiuso “Noi consideriamo la BRI una buona visualizzazione delle interazioni, correlazioni e interdipendenza fra Cina e UE….., ma il triangolo UE, Cina, USA è molto importante. Senza gli USA non potremo avere un reale multilateralismo, e la guerra commerciale di questo periodo sta danneggiando anche l’economia tedesca”.

Pochi giorni dopo, il 9 aprile, si è tenuto a Bruxelles il consueto meeting annuale fra la UE e la Cina. Da parte europea erano presenti Donald Tusk e Jean-Claude Juncker, mentre la Cina era rappresentata dal primo ministro Li Keqiang. L’Europa è il primo partner commerciale per la Cina, davanti agli USA, mentre la Cina è il secondo per la Ue, dopo gli Stati Uniti, e questi semplici dati dimostrano l’importanza del mercato europeo. E’ stato facile raggiungere un accordo sul multilateralismo, il fare fronte comune contro le pretese commerciali americane, l’importanza delle azioni per risolvere il problema del clima, dell’Iran come pure per i rapporti commerciali reciproci. La Cina si è mostrata molto conciliante e a questo proposito un analista francese ha scritto “la Cina ha usato il miele mentre gli americani usano l’aceto”. Il comunicato congiunto stava saltando sul problema degli aiuti di stato e della riforma del WTO ma all’ultimo momento è stato trovato un testo accettabile da entrambe le parti.

Che cosa dire, in conclusione, a un mese di distanza dalla visita di Xi Jinping?  In questa nota, come nella precedente, vi ho dato una serie di elementi oggettivi e verificabili per farvi un’idea vostra, ma vorrei dire la mia.

Francia e Germania che si considerano i veri leaders europei (e nei fatti lo sono) sono rimaste spiazzati dalla mossa dell’Italia che non si aspettavano. Dopo aver abbondantemente realizzato i loro obiettivi commerciali, sostanzialmente in linea con i principi della BRI, si apprestavano a negoziare con la Cina a nome dell’Europa per un ingresso in cui avrebbero continuato a fare la parte del leone. L’adesione italiana ha posto il nostro Paese in una posizione allo stesso livello degli altri due e sarà difficile non tenerne conto.

Ho cercato di dimostrare con i fatti che non risponde a verità la dichiarazione che noi saremo la “testa di ponte” per l’ingresso cinese in Europa, giacché ciò è già abbondantemente avvenuto per opera di Francia e Germania ma anche di Belgio e Olanda, a parte la Grecia.

Ho cercato anche di spiegare che l’adesione alla BRI non ha alcun valore né giuridico né pratico, non è l’adesione al Piano Marshall che era un vero accordo impegnativo, ma è semplicemente una condivisione dei principi su cui potrebbero realizzarsi gli scambi commerciali nei prossimi cinquant’anni.

Ho cercato infine di spiegare che quest’ accordo non approderà a nulla se non saremo capaci di realizzare in fretta i contratti necessari. Nessuno sta ad aspettare noi e le nostre beghe interne. Un solo esempio: il porto di Genova, con o senza i cinesi, è destinato ad uscire dall’elenco dei grandi porti europei se non si realizzerà un sistema rapido ed efficiente per il trasporto delle merci da e per l’Europa del centro nord. Questo significa una cosa sola, TAV e terzo valico. Senza di essi Genova sarà destinata a rimanere asfittica.

Nel prossimo articolo avrò altro da dirvi sullo stesso argomento, sempre “osservando il mondo dalla Luna” in maniera neutrale.

Ultimi commenti

23.11 | 15:42

Grazie, leggo sempre con piacere i tuoi articoli.

19.09 | 17:02

O.K. !!!

31.05 | 14:33

Grazie a te. So bene che i miei articoli sono abbastanza "pesanti" e quindi talvolta noiosi

31.05 | 13:16

Notevole questo articolo del 30 maggio. Attendo con impazienza il seguito tra un mesetto! Grazie Nino per il tempo che dedichi a provare a colmare la nostra immensa ignoranza. A presto.

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