JingJinJi Parte I

8. feb, 2018

JingJinJi Parte I

JINGJINJI Parte prima

Fra il sedicesimo ed il diciassettesimo secolo gli imperatori cinesi contornarono Pechino con alte mura per cercare di proteggere aree altrimenti indifendibili. Passarono i secoli, nel 1965 esse furono demolite pressoché totalmente per fare posto al secondo ring ed oggi Pechino invece che da mura è contornata da anelli stradali che rendono possibili comunicazioni ragionevolmente veloci. Esiste già il sesto ring, ma la città lo ha già scavalcato e numerosi quartieri suburbani al di là di esso sono già affollati di persone. Non basta, il settimo ring è in fase di avanzata costruzione (Fig. 1). Una volta completato (900 km) esso attraverserà la provincia dell’Hebei (Fig. 2) e ingloberà Langfang (Fig. 3), la seconda città di questa provincia. Passerà non lontano da Tianjin (l’antica Tientsin) e in alcuni punti sarà distante 175 km dal centro di Pechino.

Perché? In una parola, per le imponenti migrazioni, le più grandi mai sperimentate nella storia dell’uomo, che sono una caratteristica della Cina. Fino ad ora, a causa di questo fenomeno 500 milioni di persone hanno lasciato le enormi distese agricole per aumentare a dismisura gli agglomerati urbani. Essi si sono arrangiati a vivere come potevano ma fino ad ora, salvo rare eccezioni, la Cina ha evitato lo squallore delle gigantesche baraccopoli (le shanty towns) che caratterizzano la maggior parte dei Paesi in via di sviluppo.

Scienziati, economisti, sociologi, climatologi, urbanisti, esperti di trasporti di tutto il mondo si sono occupati di questo evento fondamentale, cercando di metterlo in rapporto a situazioni simili, e poi di muoversi in questo terreno inesplorato per proporre, in associazione con le maggiori università cinesi, la maniera migliore per affrontare e indirizzare questi fenomeni.

Il risultato è che oggi esiste una letteratura sterminata sull’argomento. Io vorrei limitarmi ad aprire una finestra su quest’aspetto del futuro che non interesserà solo la Cina ma l’India e tutte le grandi realtà dell' America meridionale e dell’Africa dove si aggiunge anche il problema di una grande natalità. Chi fosse interessato potrà facilmente approfondire l’argomento e sarò lieto di fornire la bibliografia cui ho attinto.

Partiamo da qualche definizione. Per “Mega city” si intende una città che, inclusi i suoi quartieri satelliti (Ostia per quanto riguarda Roma) supera i 10 milioni di abitanti. Nel mondo esistono tredici città che ricadono in questa categoria di cui sei in Cina. La realtà di oggi, prevalentemente ma non solamente in Cina, ci obbliga a inserire però una nuova definizione, “urban agglomeration (U.A.)”. Essa si può considerare come l'aggregazione di un numero considerevole di città di dimensioni e caratteristiche diverse con al centro una o due Mega Cities. Le U.A. si sviluppano in aree economicamente evolute, con reti di trasporti avanzate e con grandi prospettive di crescita. Fortunatamente a Pechino le infrastrutture stradali sono state realizzate prevedendo il futuro. Essa, come sa chi ci è stato almeno una volta, è costruita secondo un sistema radiale di vie scorrimento che incrocia sei anelli anch’essi di scorrimento rapido. L’aumento del traffico rende comunque molto ingorgate queste strade nelle ore di punta. Io per esempio alle diciassette per uscire dal terzo ring ed arrivare in albergo (un incrocio e 200 metri di strada) arrivo a impiegare 30 minuti o anche più in casi estremi. Fortunatamente sui ring un sistema di pannelli luminosi indica la situazione del traffico che si ha davanti e quella sugli anelli circostanti. In questo modo è facile spostarsi da un anello all’altro in caso di traffico pesante e poi ritornare sul precedente una volta oltrepassato il punto di ingorgo. Tutto a posto, se non fosse che la maggior parte dei luoghi di lavoro sono concentrati nel centro della città!

Bisogna anche dire che le Mega Cities in Cina hanno una densità abitativa inferiore che nel resto del mondo e questo è un fattore positivo. Inoltre la Cina ha dedicato da molti anni 8.5% delle sue risorse annue alla creazione di infrastrutture, contro 2.6% in Europa e USA e 3.9% in India. Ciò è un aspetto positivo perché modernizza il Paese ma anche negativo perché altri aspetti sono stati forzatamente lasciati indietro. Per esempio tutti i piani di creazione di nuove infrastrutture trascurano che esistono oltre 200 milioni di abitanti in città che non hanno HOUKU urbano (chi non ne ricorda il significato può rileggere la mia nota precedente) e quindi le grandi città, specie le megalopoli, hanno strutture abitative, sanitarie, scolastiche etc. assolutamente inadeguate. Fortunatamente il governo centrale si è reso conto che è ormai tempo di abbandonare la ricerca forsennata di una massimizzazione del GDP e rendere le città un posto migliore per vivere. Già si vedono decisioni rapidissime e realizzazioni concrete, tipiche di tutti i sistemi centralistici, come per esempio nella riduzione dell’inquinamento.

Questa è un po’ la fotografia della situazione a oggi, ma la Banca Mondiale (come per altro le autorità cinesi) sostiene che il grado di urbanizzazione della Cina (oggi al 54%) è molto al di sotto del 70% prevedibile per un Paese a questo livello di sviluppo. Sono quindi tutti concordi nel prevedere un’alluvione di migranti interni fino ad arrivare a superare entro il 2030 il livello di un miliardo di “cittadini”.

E’ necessario quindi muoversi su sentieri inesplorati almeno su questa scala e i provvedimenti di oggi avranno conseguenze (positive o negative) per molti decenni.

A partire dal 1980, due grandi leaders cinesi legarono il loro nome alla creazione di giganteschi aggregati urbani: il delta del fiume delle Perle con al centro Canton (Deng Xiaoping) e il delta del fiume Yangtse con al centro Shangai (Jang Zemin). Queste aggregazioni però nacquero più o meno spontaneamente, grazie alla stessa cultura, stesso dialetto, le stesse abitudini sociali ed alimentari e la presenza di un sicuro punto focale.

Oggi, gli strateghi dello sviluppo cinese stanno affrontando un’impresa a lungo sognata: trasformare la regione intorno alla Capitale integrando insieme Pechino, Tianjin e la provincia di Hebei, un sistema che include quasi 150 milioni di abitanti su un’estensione analoga a quella della Germania e con una densità abitativa simile a quella del Giappone. Sotto il decisivo impulso di Xi Jinping, che vuole legare il suo nome a questa impresa come fecero i suoi predecessori alle due precedenti, è tutto in rapido movimento, come ad esempio il settimo ring, l’inizio dei lavori di nuove linee ferroviarie ad alta velocità, di un nuovo aeroporto a sud di Pechino (sarà il più grande del mondo) che si aggiungerà a quello che tutti conosciamo a nord est di Pechino (oggi il secondo del mondo), ed a tutti gli altri esistenti nell’area. Tutto questo ha già un nome, JingJinJi (una sintesi dei tre nomi) e una data per sperare di far vedere i primi risultati, le Olimpiadi invernali del 2022 centrate appunto su tre città della JingJinJi: Pechino, Yanqing e Zhangijakou (Fig. 4 e 4a).

Pechino, come tutti sappiamo, ospita un gigantesco apparato di governo e le sedi delle più grandi imprese industriali e commerciali, è un grande centro intellettuale con le sue grandi università etc. Tianjin ha un grande porto da cui partono la gran parte delle merci prodotte nel nord della Cina. Ma non solo, ha una grande capacità industriale: una per tutte è la grande area di assemblaggio degli Airbus, l’unica al di fuori dell’Europa, da cui escono una gran parte degli aeroplani destinati al gigantesco mercato asiatico. Hebei è una grande provincia con due caratteristiche: una grande concentrazione di industria pesante, specialmente la produzione di cemento e di una quantità inimmaginabile di acciaio, maggiore di Italia, USA e Germania messe assieme (Fig. 5) e inoltre quella di essere una gigantesca “area dormitorio” di lavoratori che ogni giorno si muovono avanti e indietro verso il loro posto di lavoro nell’area di Pechino. Secondo il Paulson Institute questa provincia sarebbe in una posizione ideale per creare un polo di industrie hi-tech, specie  di sfruttamento dell’energia solare ed in generale delle  energie rinnovabili. Questo è un aspetto importante perché la riduzione della produzione di acciaio a cui la Cina si è impegnata e che è già iniziata comporterà la perdita di numerosi posti di lavoro che dovranno essere sostituiti da altri. Una parola sul Paulson Institute: è un importante “think tank “ americano basato a Chicago e con filiali in tutta l’America. Una sua sede in Cina, in collaborazione con le università e i centri di ricerca locali, rappresenta uno dei “suggeritori” per lo sviluppo e la pianificazione cinese e pubblica con frequenze più che annuali rapporti sul Paese. Ne ho letti tre, interessantissimi, proprio sul problema di JingJinJi.

Fin qui abbiamo visto tutto positivo, ma esistono anche notevoli difficoltà e partiamo da quelle "psicologiche”. Come si evince da una bella pubblicazione dell’Economist gli abitanti di JingJinJi hanno molto poco in comune. Gli abitanti di Pechino hanno un enorme senso di sé, della loro storia e della loro importanza ed hanno storicamente oscurato il ruolo di Tianjin, nonostante anch’essa abbia lo status di città posta sotto il controllo diretto del governo centrale. Tianjin, oltre a essere un grande porto diverrà il polo di ricerca delle JingJinJi (Fig. 6). Hebei, nonostante l’importanza delle sue industrie è considerata da entrambe come la “cugina povera”, poco sofisticata e capace solo di generare inquinamento. Non esistono significativi legami culturali e perfino linguistici e alimentari fra le tre. In poche parole è un po’ ciò che avviene fra le varie nazioni dell’Unione Europea che litigano e non si rendono conto che l’unica maniera di sopravvivere è quella di legarsi in maniera sempre più stretta e fronteggiare insieme giganti continentali come appunto la Cina, gli USA, la Russia e fra qualche anno l’India (vi ricordate i polli di Renzo nei Promessi Sposi?).

Il piano è comunque arrivato a un certo livello di consolidamento e, secondo un sistema tipico dei Cinesi è riassunto in un semplice simbolo, la lettera “PI Greca”, chiarito in questo modo:

-              Un Nucleo: Pechino con una funzione di coordinamento e l’obiettivo di ridurre la sua congestione limitandone la popolazione a 23 milioni;

-              Due centri urbani principali: Pechino e Tianjin con la funzione di motori dello sviluppo;

-              Tre Assi: Est-Ovest , cioè Pechino – Tianjin; verso Sud-Est cioè Pechino – Sud Est della provincia di Hebei; verso Nord – Est cioè Pechino – Nord Est della Provincia di Hebei (la P greca  appunto)

-              Quattro zone: una centrale intorno a Pechino, una orientale attorno a Tianjin ed al suo porto, una meridionale per nuovi sviluppi industriali in Hebei ed una a Nord – Ovest con funzione di investimenti su energie alternative.

Le problematiche da affrontare nei prossimi anni sono sostanzialmente tre:

-              Problema sociale, ottimizzazione dei trasporti, riduzione dell’inquinamento.

-              Il corollario di tutto ciò è la ridefinizione della vocazione dei tre “Parners” e lo smantellamento, la rilocazione o la creazione delle realtà industriali della nuova JingJinJi.

Ma di questo parleremo la prossima volta

Ultimi commenti

23.11 | 15:42

Grazie, leggo sempre con piacere i tuoi articoli.

19.09 | 17:02

O.K. !!!

31.05 | 14:33

Grazie a te. So bene che i miei articoli sono abbastanza "pesanti" e quindi talvolta noiosi

31.05 | 13:16

Notevole questo articolo del 30 maggio. Attendo con impazienza il seguito tra un mesetto! Grazie Nino per il tempo che dedichi a provare a colmare la nostra immensa ignoranza. A presto.

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