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7. ott, 2017

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Perché non capiamo la Cina – II

Vi ho parlato della politica del figlio unico, delle reazioni che essa ha provocato in Cina e ho cercato di darvi un quadro obiettivo delle motivazioni che hanno portato a questa politica e delle mie perplessità in un senso e nell’altro. Ho soprattutto cercato di guardare una realtà molto diversa dalla nostra astraendomi per quanto possibile da quella in Europa dove il problema della fame, quella vera, sostanzialmente non esiste e così pure quello della sanità, dell’istruzione e della sicurezza sociale. In queste condizioni, infatti, è certamente più facile parlare di principi. Ma, ripeto, anch’io non ho certezze su questo argomento.

Devo però fare una precisazione: ho detto che fino a qualche anno fa era vietato ai medici di rivelare ai futuri genitori il sesso dei nascituri. In questi giorni ho avuto una testimonianza diretta da quattro future madri: nessuna di loro conosce il sesso dei loro figli e il divieto è ancora in vigore e molto rigido.

Passiamo però al secondo argomento, che a noi qui pare ancora più illogico, e che è molto criticato e avversato da una gran parte della popolazione, specie quando è mossa dai propri interessi personali (come è normale) e non guarda alle problematiche generali. Mi riferisco al problema della libertà di residenza, molto legato al concetto di Hukou.

L’ Hokou, la cui origine viene spesso legata a Mao Tse Dong, è invece un istituto molto antico, che esiste in varie forme anche in Giappone, Vietnam e Corea del Nord ( nella Corea del Sud è stato abolito nel 2008).

Esso consiste in un sistema di “registrazione domestica” che include tutti i membri di una famiglia e ne registra tutti i fatti fondamentali: nascite, morti, matrimoni, divorzi e ovviamente ogni spostamento. Crea inoltre una differenziazione sostanziale fra “rural” e “urban” e questo è il punto storicamente più controverso perché lo status di residenza rurale o urbana impatta fortemente su una serie di diritti e vantaggi che creano, di fatto, un sistema di caste (anche se non basate su motivi religiosi) molto rigide.

Del registro familiare si ha notizia in Cina fin dalla dinastia Xia (circa. 2000 AC). Nei secoli seguenti il registro familiare divenne un sistema di suddivisione delle famiglie e dei clan familiari per scopi fiscali, di coscrizione militare e per scopi sociali. Non ci interessa entrare in dettaglio nella storia, ma andando a tempi recenti, con l’avvento al potere di Mao Tse Dong e dell’economia di piano, il registro familiare divenne soprattutto un sistema di controllo dei movimenti della popolazione fra le aree rurali e quelle urbane. Esistevano quindi sostanzialmente due categorie: le famiglie “rurali” e quelle “urbane”. Un cittadino che voleva spostarsi dalla campagna alla città e quindi non lavorare più nell’agricoltura doveva fare una domanda, la cui approvazione era rigidamente controllata. Le persone che si spostavano senza autorizzazione perdevano ogni diritto alla tessera alimentare, all’alloggio da parte del datore di lavoro (allora solo di Stato) e a ogni protezione sanitaria. Subiva inoltre svariate vessazioni. Qual era il motivo? Non era ideologico ma intendeva limitare migrazioni di massa dalle campagne alle città. In maniera più surrettizia aveva anche l’obiettivo di controllare strettamente le persone non allineate con la nuova politica appena iniziata e quindi “pericolose”.

Si riteneva che la realizzazione dei primi “piani quinquennali” e soprattutto del “Grande balzo in avanti” avrebbe automaticamente risolto ogni problema creando le basi per un rilassamento di queste regole. Il fallimento totale di questa politica condannò a morte decine di milioni di abitanti delle campagne perché i raccolti erano in pratica confiscati dalle istituzioni locali, lasciando ai contadini quasi niente. Tutto ciò mi fa pensare a quanto leggiamo nei libri di storia quando in epoca medioevale i gabellieri andavano nei mulini e sequestravano la farina che non si riusciva a nascondere. Nelle città invece si poteva sopravvivere perché lo stato distribuiva il minimo vitale di cibo agli abitanti.

Ancora molti anni dopo, quando la situazione aveva cominciato a incamminarsi sulla via della ripresa, mi ricordo le mie esperienze personali del primo anno in Cina. Vivevo, come ho detto altre volte, in una piccola città vietata agli stranieri e quindi ero testimone della situazione reale in un ambiente che era una via di mezzo fra le campagne e le pochissime grandi città trattate meglio per ovvi motivi. Il Cliente ci trattava bene e faceva il possibile per accontentarci, nei limiti delle derrate che arrivavano periodicamente su camion. Quando il camion ritardava non c’era niente per nessuno, neanche per noi! Ricordo (e rimpiango) l’atteggiamento che assumemmo in varie occasioni. Infatti, quando eravamo al limite della sopportazione per trattative interminabili, reagivamo a mensa prendendo e poi lasciando nei piatti una grande quantità di cibo. I cinesi (e non dico i capi che non avevano certo questi problemi) ma i camerieri della mensa non ebbero mai alcuna reazione negativa verso di noi vedendo buttare tanto cibo che certamente loro non possedevano nelle proprie case per sé e per i loro figli o genitori. Devo dire, a nostra discolpa, che in quei primi anni pur vivendo lì avevamo una percezione molto edulcorata della vera realtà.

Ma torniamo a noi.

Per ciò che ho detto, fino all’inizio delle riforme di Deng Tsiaoping, la Cina era divisa in almeno due caste rigidamente separate: i cittadini e i contadini. I primi vivevano in condizioni relativamente migliori dei secondi. Quando questi ultimi decidevano di tentare la fortuna “da clandestini” (un po’ come l’ondata dei migranti che cercano di entrare oggi in Europa) le autorità, pur sapendolo perché il controllo era ferreo, li ignoravano e li lasciavano vivere in questa situazione fino a quando ciò era funzionale ai loro interessi. Se essi per qualsiasi motivo tralignavano, erano posti in carcere e, se andava bene, deportati con un provvedimento sostanzialmente amministrativo perché vivevano in un posto diverso da quanto registrato nel loro Hukou.

L’inizio delle riforme di Deng suscitò grandi speranze ma all’inizio, per vari motivi, peggiorò la situazione. Centinaia di milioni di persone si trovarono espulsi dal lavoro. I possessori di Hukou cittadino continuarono a sopravvivere ma la situazione diventò ancora più grave per i clandestini. Inoltre i loro figli non avevano diritto ad alcuna educazione scolastica nelle città in cui non potevano risiedere e in molte famiglie i genitori furono costretti a separarsi dai figli e affidarli ai nonni nei luoghi di origine, dove avevano il loro Hukou e quindi potevano andare a scuola. Tenete presente che questo problema s’interseca con quello del “figlio unico” e spiega in un certo senso perché i cinesi fossero e siano ancora oggi molto più sensibili al problema dell’Hukou che non a quello della “libertà di procreare”. Per molti, infatti, non era possibile neanche prendersi cura e vivere con il loro unico figlio.

La situazione era diventata esplosiva e man mano che l’economia cominciava a crescere fu lentamente permesso alle persone che avevano un lavoro stabile nelle città di avere un permesso di residenza nel luogo dove lavoravano, valido fino a quando avessero mantenuto il loro impiego. Era già un miglioramento ma intanto il mercato si era cominciato ad aprire e l’iniziativa privata generava un ampio rischio di perdere il lavoro e di conseguenza il permesso. Cominciarono a fiorire società di lavoro interinale (come la nostra Adecco) per cui il lavoro non era più garantito e, se si perdeva, bisognava tornare nel luogo di registrazione. Inoltre il trattamento di queste persone era (ed è ancora) nettamente peggiore sia da un punto di vista stipendiale che da quello pensionistico, come pure per l’accesso dei figli alle scuole, specie alle migliori.

Questa liberalizzazione, unita al fatto che la crescita economica cinese, ne aveva fatto “ la fabbrica del mondo” creò un immenso flusso migratorio dalle campagne alle città, dove si sperava in condizioni di vita migliori. La crisi del 2008, con il peggioramento delle condizioni economiche del mondo intero, determinò un imponente flusso di ritorno verso i paesi di registrazione (per la perdita del posto di lavoro) che il governo cercò di arginare applicando i metodi classici del capitalismo occidentale, vale a dire un piano gigantesco di investimenti pubblici infrastrutturali che arginarono il contro esodo e posero le basi della creazione della “nuova Cina” con le sue reti di modernissime ferrovie, di autostrade, di centrali elettriche etc.

Il vero problema era ed è che qualunque movimento o riforma in Cina ha conseguenze per noi inimmaginabili, vista la massa di persone a cui esse si applicano. Ricordatevi sempre che parliamo di una popolazione pari  grosso modo a quella totale dell’intera Africa più l’area Euro o, se preferite, a quasi tre volte l’Europa, e che la Cina è ripartita da zero un secolo fa. Ogni errore, e sono stati tanti, crea conseguenze che per noi sono impensabili, e non esistono nella storia precedenti analoghi cui fare riferimento.

E arriviamo al giorno d’oggi, vale a dire alle riforme di Xi Jin Ping.

Com’è la Cina di oggi? Ne ho parlato nella mia nota del 20 agosto scorso proprio in questa sezione.

Stiamo parlando di una Cina diversa rispetto al passato, che perciò deve affrontare problemi di tutt’altra natura, cioè:

-          Trasformarsi da un’economia di esportazione in un’economia più rivolta al mercato interno;

-          Creare un sistema di welfare universale

-          Evitare la concentrazione sempre maggiore di abitanti nelle megalopoli.

-          Altri aspetti che vi risparmio

Uno dei problemi pratici più importanti da risolvere è costituito dal welfare. La situazione è quanto mai confusa ed è difficile districarsi. Innanzitutto esiste, come ho detto, un sistema totalmente diverso fra “contadini” e “cittadini” e per i primi la pensione in pratica non esiste e sopravvive il concetto millenario di affidare gli anziani alla “pietà filiale e al rispetto degli anziani” che risale a Confucio (sesto secolo AC). Anche nelle città però la situazione è molto variabile perché il sistema sanitario e quello pensionistico dipendono dalle province e dalle istituzioni locali. In generale oggi le singole persone hanno diritto a un trattamento pensionistico e sanitario che deriva in parte dai contributi versati durante il periodo lavorativo, integrato da una forma di assicurazione privata che contribuisce per almeno metà del totale. Specialmente la parte pubblica però non è trasferibile da una provincia all’altra. I genitori di una mia amica, medici pensionati, che per molta parte dell’anno abitano a Pechino per stare vicini alla figlia ma hanno il loro Hukou nello Xinjiang, sono stati di recente costretti a tornare fisicamente a Urumqi per rinnovare la loro assicurazione sanitaria e effettuare altre pratiche burocratiche per confermarne la validità anche a Pechino. Contemporaneamente la figlia, che ha l’Hukou a Tianjin (è riuscita ad averlo perché ha frequentato l’università lì e poi è stata assunta da una società locale) ma ha un permesso di lavoro a Pechino perché oggi lavora per una società di Pechino, deve ritornare fisicamente a Tianjin e star lì almeno una settimana ogni volta che le serve un documento (carta d’identità, passaporto etc.,). Inoltre ha comprato un appartamento a Pechino in cui vive, ma la proprietà di questo è limitata a 50 anni contro i 100 di chi ha l’Hukou a Pechino.

Probabilmente non sono stato chiaro a sufficienza, ma è la situazione in sé che è molto confusa.

Una cosa però sembra chiara: il trasferimento dell’Hukou di una perso dallo stato di “contadino” a quello di “cittadino” costa alle istituzioni fino a 100.000 yuan (circa 13500 € ) e per il passaggio da una provincia all’altra un po’ di meno. Parametrandolo alla quantità di persone (centinaia di milioni) che già ora per regolarizzarsi dovrebbero effettuare il passaggio, ci si rende conto che si tratta di cifre rilevantissime. Bisogna anche dire per completezza che da molti questa cifra è contestata sulla base di due considerazioni: una parte di questa cifra deve essere versata dagli individui (ma lo stato risponde che questa parte di risparmi verrebbe sottratta ai consumi e quindi bloccherebbe la conversione dell’economia che è anche chiesta a gran voce dall’Occidente) e che questo costo dovrebbe essere pagato in più anni. In ogni caso si tratta al minimo di una cifra paragonabile allo sforzo effettuato per sostenere gli investimenti e superare la crisi del 2007.

L’altro punto che volevo indicarvi è anch’esso molto pratico: l’accoglimento nelle grandi metropoli di chiunque già ci lavora oppure della moltitudine che preme per entrarvi non implica solo la costruzione di nuovi quartieri, ma anche la creazione di tutte le infrastrutture necessarie. E anche se ciò si facesse, il costo della vita e soprattutto la sua qualità sarebbero inaccettabili.

XI Jinping considera un punto essenziale del suo governo la riforma del collegamento dell’Hukou al luogo effettivo in cui si vive e si lavora, e soprattutto l’equiparazione di tutti gli aspetti del welfare, dell’istruzione etc. fra le persone che hanno un Hukou in una certa città e quelle che vi si trasferiscono e vi lavorano. Naturalmente in maniera graduale e rispettando i criteri di una buona vivibilità.

I risultati di questa politica si cominciano a vedere ma le polemiche e il malcontento, per lo più a mezza bocca, continuano.

Che cosa sta cercando di fare il governo? Semplificando molto, l’idea sarebbe di rendere subito libero il trasferimento (e tutto ciò che ne consegue) dalla campagna alle piccole città; liberalizzare gradualmente il trasferimento in città “a misura d’uomo” (fino a qualche milione di abitanti) già esistenti o la cui creazione si sta già incentivando per aggregazione o sviluppo di piccole città esistenti; affidare infine alle istituzioni locali la regolamentazione della residenza nelle grandi metropoli.

Ove fosse realizzato, e si tratta di un piano ciclopico visto che si applica a migrazioni o regolarizzazioni di un numero di persone pari all’intera popolazione europea, secondo me sarebbe un compromesso valido. Senza voler fare confronti del tutto impropri, tenete presente come sia considerata già poco vivibile Roma con i suoi tre milioni e mezzo di abitanti (Pechino circa 25 milioni), e le grandi problematiche che attraversano l’Italia e più in generale l’Europa per l’accoglienza di qualche milione di migranti (qualche per cento rispetto ai numeri cinesi ed anche qui parliamo di etnie, culture etc. diverse che si spostano e si devono integrare).

Ho chiesto a vari  amici, che vivono e lavorano a Pechino, la loro opinione. Chi possiede oggi un Hukou a Pechino è favorevole in generale a questa strategia, perché limita fortemente l’accesso alla città e contribuisce alla sua vivibilità. L’opinione è del tutto diversa se si parla con le persone che già vivono e lavorano a Pechino con un semplice permesso di lavoro. Essi dicono “ Io non riuscirò mai ad avere una residenza piena a Pechino e dovrò accontentarmi del permesso di lavoro. La conseguenza, a parte me, è che i miei figli non potranno mai essere ammessi nelle migliori università di Pechino (e fra le migliori della Cina) indipendentemente dal merito, perché i residenti pieni avranno la precedenza. Saranno quindi costretti a frequentare università secondarie e tutta la loro vita futura ne sarà penalizzata. Che cosa devo fare? Sposare una persona con la residenza a Pechino per assicurare un futuro migliore ai miei figli?” Ovviamente un’altra giovane donna che sta per avere un figlio ed ha l’Hukou a Pechino si è dichiarata contenta di queste limitazioni perché suo figlio vivrà in un ambiente migliore e dovrà affrontare una minore concorrenza per accedere alle università migliori.

E’ vero tutto ciò?

Ho voluto controllare quanto le opinioni di queste giovani donne fossero ragionevoli. Ho parlato quindi con un altro mio amico, già nonno e altissimo funzionario governativo cinese, e gli ho chiesto delucidazioni. Ricevuto un chiarimento generale, sono andato nello specifico e gli ho chiesto “Ma una persona con l’Hukou a Tianjin e che lavora a Pechino, come deve fare per spostare il suo Hukou o comunque avere gli stessi diritti di una persona con Hukou a Pechino?”

“E’ in pratica impossibile, Pechino è troppo grande e congestionata.” “ Ma anche se effettivamente si realizzerà la JingJinJi ?” ho ribattuto. Ha sorriso, perché conoscevo anche questo piano di sviluppo e mi ha detto “Molto probabilmente sarà possibile trasferire l’Hukou da Pechino a Tianjin, ma non viceversa. Secondo me dovrebbe prima o poi trasferirsi a Tianjin o comunque ipotizzare l’università a Tianjin per i suoi figli. Del resto, proprio la JingJinJi, se si realizzerà, farà crescere l’importanza e il livello di Tianjin”

Chi ha ragione? Anche in questo caso si tratta di problematiche che toccano tutti gli aspetti della vita di ogni persona e la cui soluzione è difficilissima e senza punti di riferimento nel mondo.

Vi parlerò presto di un altro piano gigantesco: appunto la JingJinJi.

Ultimi commenti

23.11 | 15:42

Grazie, leggo sempre con piacere i tuoi articoli.

19.09 | 17:02

O.K. !!!

31.05 | 14:33

Grazie a te. So bene che i miei articoli sono abbastanza "pesanti" e quindi talvolta noiosi

31.05 | 13:16

Notevole questo articolo del 30 maggio. Attendo con impazienza il seguito tra un mesetto! Grazie Nino per il tempo che dedichi a provare a colmare la nostra immensa ignoranza. A presto.

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