La mia conferenza - Capitolo I

12. giu, 2017

La mia conferenza - Capitolo I

La mia conferenza

Tempo fa sono stato invitato a fare una conferenza sulla mia esperienza in Cina. Non conoscevo, come capita spesso, il pubblico che avevo di fronte e quindi decisi di parlare un po’ di tutto cercando di dare in maniera organica un’idea della Cina a chi non la conosceva, ed un po’ più approfondita per chi ne avesse già qualche conoscenza.

Come al solito parlavo a braccio, facendo scorrere dietro di me sullo schermo alcune fotografie ed alcuni documenti che ritenevo interessanti. Siccome mi stavo dilungando molto più di quanto prevedessi, ho tagliato vari argomenti che qui invece presenterò come avevo in mente di fare. I miei lettori più assidui si renderanno conto di avere già letto una parte di quello che dirò in queste note, ma penso che averne una visione d’assieme possa essere interessante. 

Capitolo I -  Conosciamo veramente la Cina? 

Non so quanti di voi conoscono la Cina e quanto a fondo.

Per esempio, ma non voglio imbarazzare nessuno, se chiedessi “quando è vissuto Confucio?” quasi nessuno saprebbe che è vissuto nel sesto secolo. “Ma prima o dopo Cristo?” ancora meno persone saprebbero che è vissuto quando Roma era un villaggio e la Grecia stava entrato nel periodo di maggior fulgore.

Al “National Palace  Museum” di Taipei esiste il più bel museo cinese del mondo. Però l’importante per noi è che nel grande salone di ingresso, sulle quattro pareti, è distesa una lunga striscia dove in maniera sinottica sono indicati nella parte superiore i maggiori eventi delle storia cinese nell’ambito della filosofia, dell’arte e della tecnologia, e nella parte inferiore gli eventi più importanti della storia del resto del mondo.

Dopo averlo cercato a lungo, ho trovato in una libreria di Londra un libro che riproduceva questo sinottico ed ho copiato alcune pagine che mi sono sembrate più esemplificative.

Prima di proseguire vorrei che vi soffermaste un momento a guardarle (sono 18): farete molte scoperte interessanti. La civiltà cinese ha cominciato a svilupparsi contemporaneamente alle prime civiltà mediterranee, Sumeri, Egiziani etc. fino a raggiungere una notevole maturità già nel VII e VI secolo a.C. quando ancora la civiltà greca era nel periodo arcaico. A quel periodo risalgono infatti le prime raffigurazioni di una cometa (forse quella di Halley), una capacità di navigazione abbastanza progredita e soprattutto Confucio e gli altri grandi pensatori che ne hanno permeato e continuano a permeare il pensiero cinese.  Successivamente con l’avvento della civiltà greco-romana i due mondi si svilupparono per strade assolutamente diverse e questo si evince specialmente osservando le diverse produzioni artistiche. 

Ma torniamo a noi. Come ho appena detto, la civiltà cinese ha una caratteristica: essa è cresciuta, fin dalle sue origini, in maniera totalmente separata dalla nostra. Si parla di alcuni, sporadici contatti puramente commerciali durante il tardo impero romano ma non si sa se siano stati diretti o indiretti.

Successivamente ci fu Marco Polo, ma anche in questo caso si tratta di contatti puramente commerciali che non lasciarono nessuna traccia nelle culture o relazioni di entrambi i popoli.

Si arriva infine a Matteo Ricci che merita un discorso a parte.

Ricci era un gesuita il quale capì che per penetrare in Cina bisognava farsi “Cinese” ed in questa maniera riuscì ad arrivare fino alla soglia dell’imperatore, onorato e rispettato.  Parlava cinese correntemente, vestiva come un cinese, si occupò di letteratura, di storia etc. Disegnò il primo planisfero cinese (mostrato nelle figure allegate) e modificò il calendario rendendolo analogo al nostro. Insegnò anche la religione cattolica, ma senza essere “invasivo” facendo sfacciato proselitismo che si sovrapponesse alla loro cultura.

Dopo la sua morte un erroneo comportamento “da colonizzatore” dei suoi successori, e lotte intestine fra i vari ordini monastici, portarono alla espulsione definitiva di tutti.

Il mausoleo di Li Ma Du (Matteo Ricci) esiste ancora nella zona centrale di Pechino e vi segnalo un bellissimo libretto di Giulio Andreotti che ne racconta la vita e le opere. Se vi capitasse di trovarlo vi consiglio di leggerlo: basta un pomeriggio.

Dopo di ciò l’ultimo vero contatto fu il periodo coloniale delle legazioni fra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, durante la decadenza del tardo impero e subito dopo. 

Cosa voglio dire?

 Che l’imprinting” il ”chi siamo“ di chiunque di noi, cristiano o ateo, progressista o conservatore, di qualunque credo e ideologia, è basato senza che ce ne accorgiamo sulla filosofia greco-romana, su Aristotele, Platone i Pitagorici etc., sulla filosofia cristiana, Sant’Agostino, San Tommaso, la Riforma e la Controriforma. Ripeto, non ce ne accorgiamo, possiamo non conoscere la tomistica, ma fa parte della nostra vita. E poi Cartesio, Kant, l’illuminismo, le Costituzioni, Marx, la democrazia nella sua versione occidentale.

In Cina tutto ciò è sconosciuto. Nel sesto secolo prima di Cristo, quando Roma era un villaggio e la Grecia non era ancora entrata nel periodo classico, Confucio dettava le regole della convivenza sociale e tali regole sono rimaste fino ai giorni nostri. Mao Dse Dong tentò di distruggerle, ma ci riuscì solo in superficie ed oggi stanno ritornando, supportate dal governo per ricostituire l’identità cinese. 

E’ quindi normale che noi ed i Cinesi non ci capiamo e ci accusiamo uno con l’altro di essere imbroglioni: abbiamo processi mentali diversi totalmente a causa di una storia diversa.

A proposito, sto parlando di CINA e tutto ciò che dirò in queste note può valere in parte per il Vietnam ma assolutamente non per il Giappone che ha una cultura totalmente diversa.

Faccio due soli esempi:

Se io occidentale, durante un discorso di affari, faccio una domanda, mi aspetto una risposta. Positiva, negativa, interlocutoria, ma ritengo che una risposta mi sia dovuta.

Per un Cinese la mia domanda è un atto intrinsecamente invasivo della sua sfera personale, più o meno come pensiamo noi quando riceviamo una telefonata da un “call center”. Io ho quindi il diritto di farla, con la dovuta educazione, ma lui non ha alcun obbligo di rispondere. Ciò succede spesso e non per noncuranza: la non risposta deve essere interpretata ed ha sempre un significato ben preciso.

Secondo ed ultimo esempio: in una riunione d’affari noi siamo abituati a sederci ai due lati di un tavolo in una grande sala e dialogare come in una partita di ping-pong. Per i Cinesi ciò era assolutamente impossibile fino a una decina d’anni fa e lo è ancora oggi a parte quando si discute con persone che hanno trascorso una parte della loro vita lavorativa in America o in Europa: i Cinesi infatti, nella gran maggioranza, hanno bisogno di tempo per far funzionare i loro processi mentali. Sono giocatori di scacchi più che di poker.

Per questa volta penso che basti. Vi raccomando solo di guardare con attenzione le figure che ho allegato; sono 18 e penso che siano molto utili per cominciare a capire l’assoluta impermeabilità delle due culture che, dall’inizio della storia umana, solo ai nostri giorni stanno cominciando a conoscersi

Ultimi commenti

23.11 | 15:42

Grazie, leggo sempre con piacere i tuoi articoli.

19.09 | 17:02

O.K. !!!

31.05 | 14:33

Grazie a te. So bene che i miei articoli sono abbastanza "pesanti" e quindi talvolta noiosi

31.05 | 13:16

Notevole questo articolo del 30 maggio. Attendo con impazienza il seguito tra un mesetto! Grazie Nino per il tempo che dedichi a provare a colmare la nostra immensa ignoranza. A presto.

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