La Cina in pillole 2

IL XX CONGRESSO DEL PARTITO COMUNISTA CINESE E IL FUTURO DELLA CINA

17 novembre 2022

IL XX CONGRESSO DEL PARTITO COMUNISTA CINESE ED IL FUTURO DELLA CINA

Il 16 ottobre scorso si è inaugurato il XX congresso del PCC dopo la consueta lunghissima preparazione. Esso riveste un’importanza fondamentale perché durante la settimana di riunioni degli oltre 2000 delegati, il segretario generale uscente traccia un panorama di quanto è successo in Cina e nel mondo durante il suo mandato e fa una previsione del futuro. E’ importante però anche, e soprattutto, perché durante il congresso vengono proclamati i nuovi membri del comitato centrale e, all’interno di esso i membri del Politburo fra i quali vengono scelti i membri del comitato permanente  il vero consiglio supremo, fra i quali verranno scelti, nell’assemblea generale del parlamento che si terrà probabilmente subito dopo lo Spring Festival (il Capodanno cinese), i membri più importanti del governo. Tutte queste cariche sono state già stabilite nel corso di mesi di discussioni, talvolta molto aspre fra le varie anime del partito. Di esse traspare molto poco e spesso l’approvazione finale, scontata, riserva significative sorprese agli osservatori. E’ molto importante il discorso programmatico, perché attraverso di esso, si può capire cosa ci sarà da aspettarsi e quanto esso sia realmente condiviso o sia frutto di un faticoso compromesso, al di là dell’unanimità, o quasi, delle votazioni.

Una particolare coincidenza, probabilmente voluta, è stata la pubblicazione qualche giorno prima del congresso di un documento fondamentale che ogni nuovo Presidente americano emette poco dopo la sua elezione e delinea anch’esso la sua visione del Paese e del mondo e la politica americana nei successivi quattro anni. Si tratta della “National Security strategy” emessa dalla Casa Bianca e subito dopo delle linee applicative pubblicate dal Ministero della Difesa americano, che in questa occasione hanno tardato parecchio rispetto alle consuetudini. Di questo documento vi parlerò separatamente; oggi invece mi concentro su quanto è successo in Cina.

Credo che per capire quanto Xi Jinping abbia inciso nella storia cinese e continuerà a farlo ponendosi al livello di Ma Tse Dong e Deng Xiaoping, può essere utile parlare un po’ della sua biografia, sicuramente fuori del comune, e di ciò che ha fatto nella prima parte del suo mandato. Ne esistono varie versioni, prevedibilmente agiografiche quindi preferisco fare riferimento a fonti qualificate occidentali, per lo più il New York Times e l’ISPI.

Nato da un altissimo funzionario cinese durante la “Lunga Marcia” e la guerra civile, Xi fa parte di quella schiera “i Principini” che passarono la loro infanzia in una posizione non agiata, ma migliore e più colta rispetto ai connazionali. Fu mandato in collegio come i suoi fratelli ma la sua vita era dura anche quando tornava a casa per le vacanze. Xi doveva rimanere in piedi fino a quando suo padre non si fosse seduto; sarebbe stato percosso se non si fosse inchinato adeguatamente davanti a suo padre durante il Capodanno e le cerimonie importanti perché “le persone che non rispettano i propri genitori a casa saranno un disastro una volta diventati adulti”. Il NYT attribuisce questo al maoismo ma a mio avviso, anche da quanto mi raccontava il mio “grande vecchio” che tutto ciò aveva vissuto, era da attribuirsi alla tradizione confuciana. La svolta avvenne con la Rivoluzione Culturale. Aveva 13 anni quando fu trascinato in un cortile e costretto ad indossare il cappello da asino di pesante acciaio ricoperto di caratteri cinesi che rivelavano il suo crimine. “Controrivoluzionario - la folla gridava - abbasso Xi Jinping” e la madre agitava anch’essa il pugno in aria urlando insieme ai rivoltosi, per cercare di salvare se stessa e gli altri figli che non erano stati ancora catturati. Siamo nel 1966, Xi finì in un centro di detenzione da cui fuggì poco dopo cercando rifugio a casa e gridando “mamma ho fame!”. La madre non lo fece entrare in casa, dove aveva gli altri figli, e lo denunziò. Questa era la Cina durante la rivoluzione culturale.  A 16 anni Xi fu mandato in campagna, assieme a milioni di altri ragazzi che vivevano in città per essere rieducati attraverso il lavoro. Nello stesso periodo il padre Xi Zhongxun era già stato epurato, umiliato, sottoposto a numerose sessioni di autocritica e mandato anche lui in un campo di lavoro. Successivamente anche una sorella di Xi Jinping fu catturata, perseguitata e morì suicida. Non fu un caso eccezionale ma qualcosa di molto comune ai giovani dell’epoca. Dal campo di Liangjiahe dove era stato inviato, Xi fuggì di nuovo, fu catturato e inviato per punizione in un gruppo di condannati ai lavori forzati. Dopo un anno, fu “graziato” e inviato di nuovo a lavorare nei campi a Liangjiahe.  Questo fu il momento di svolta della sua vita: prese la decisione di studiare di notte sui libri che era riuscito a procurarsi per evitare l’abbrutimento, e di non respingere gli ideali del maoismo, ma approfondirli e capire le cause di ciò che stava succedendo. Xi, ma questo potrebbe essere frutto almeno in parte di una leggenda, arrivò alla conclusione che la causa della tragedia che la Cina stava vivendo non fosse dovuta alle idee del Partito, ma al fatto che il Partito aveva perso il contato col popolo e il controllo del Paese. Vera o falsa che sia l’attribuzione al giovane Xi, l’analisi era sostanzialmente vera. Mao e il suo entourage stavano cercando di sovvertire dalle fondamenta il partito.

Questo discorso è ricorrente e spiega molto della storia cinese contemporanea. Come vi ho accennato più volte nei miei articoli, il “grande vecchio” mi parlava spesso del fatto che nessuna forza esterna avrebbe mai potuto distruggere la Cina ma il vero rischio possibile in ogni momento era che essa collassasse dall’interno, sopraffatta da forze scatenatesi dal suo popolo e che nessuno sarebbe mai stato in grado di fermare per decenni. Tutta la storia cinese era punteggiata da questi terremoti; il Paese non aveva eserciti degni di questo nome, ma “quando una dinastia perdeva il favore del cielo per il suo malgoverno” le forze della natura si sarebbero scatenate, il popolo si sarebbe ribellato fino a quando una nuova dinastia fosse subentrata. In fondo anche la strage di Piazza Tienanmen fu scatenata quando i disordini, nati da scontri interni al potere, si erano allargati a tutta la Cina al punto di non essere quasi più controllabili e rischiavano di provocare una nuova guerra civile di proporzioni spaventose.

Finita la rivoluzione culturale e scomparso Mao, Xi padre tornò al governo al seguito di Deng Xiaoping, il figlio prese la laurea nella migliore università di Pechino e poi ottenne un lavoro “di scrivania” come assistente di un generale famoso. Si sposò con la figlia dell’ambasciatore cinese a Londra ma poco dopo iniziarono i dissidi perché la moglie aspirava a una vita comoda, possibilmente all’estero, mentre Xi Jinping aveva deciso che la sua vita sarebbe stata la politica. Per far ciò doveva iniziare la sua carriera in provincia. Nel sistema meritocratico cinese, infatti, la scalata al potere comincia sempre in ruoli subalterni in aree lontane dalle grandi metropoli principali. Una volta fatta esperienza ed arrivati ai vertici locali si può tentare di passare alla guida di una grande provincia. Questo è il momento in cui si può tentare il grande salto, questo sì politico, che conduce ad un ruolo centrale nel partito e nel governo. Xi lasciò il comodo lavoro che aveva e andò, come numero due, in una comunità rurale nella provincia di Hebei. Nel 1989, durante Tienanmen, Xi era già diventato un alto funzionario nella provincia del Fujian, sulla costa meridionale.   Anche lì c’erano violente manifestazioni come a Pechino, con l’aggiunta di proteste specifiche per la grande corruzione che regnava nella provincia.  Xi riuscì a fermare un convoglio che dall’interno si stava dirigendo in città e riuscì a convincere i dimostranti a tornare indietro rievocando il disastro della rivoluzione culturale e il rischio che essa si ripetesse. Divenne un campione della lotta contro la corruzione che fu la sua “bandiera” nel resto della sua carriera politica sempre in periferia, con incarichi via via più importanti. In ultimo, dopo una breve permanenza a Shanghai, la “fucina dei futuri leaders nazionali” arrivò al potere, come vicepresidente e ottenne le tre cariche importanti nel 2012. Fu la prima volta che il leader precedente, in questo caso Hu Jintao, non tenne per sé per qualche anno ancora la carica di presidente della commissione centrale militare come era sempre successo in passato, ma la cedette subito al nuovo leader. L’elezione di Xi fu tutt’altro che indolore. Egli rappresentava la “destra” del partito, favorevole a una maggiore apertura al mercato e all’iniziativa privata, Gli si contrapponeva una fortissima sinistra, rappresentata da Bo Xilai e altri leaders di ispirazione neo-maoista che erano invece favorevoli a porre un freno a quello che ritenevano un “capitalismo senza regole”. Poco tempo prima del congresso Xi non fu più visto in giro per vari giorni e si sospettò addirittura che fosse stato vittima di un attentato.

Le idee di Xi e la parte politica che rappresentava erano però ben note, sia la Partito che anche ai commentatori internazionali che avessero voluto leggerle senza basarsi su stereotipi, come purtroppo succede spesso. Esse possono riassumersi in pochi punti, a parte l’impronta liberista che ho già menzionato e che si andò modificando a partire dal secondo mandato. Il primo di essi era la lotta alla corruzione che era stata il simbolo di tutta la sua carriera politica fin dai suoi inizi. Dopo Tienanmen, e per i decenni successivi ci furono decine di migliaia di proteste popolari contro la corruzione, l’inquinamento e gli abusi nel mondo del lavoro; Xi non dimenticò ciò che aveva dovuto affrontare durante i suoi trascorsi di leader ai vari livelli della sua carriera politica. Altro aspetto che contribuì alla formazione politica del futuro leader fu l’analisi della fine della guerra fredda e del crollo dell’Unione Sovietica. All’inizio del suo primo mandato nel 2012 egli lo dichiarò chiaramente. In Unione Sovietica il popolo aveva perso la fiducia in un partito corrotto e senza più idee e poi “perché la leadership del partito nei confronti dell’esercito deve essere salda? Perché lo abbiamo imparato dal crollo dell’Unione sovietica. La sua leadership era così debole che perse il controllo e nessuno fu più in grado di riprenderlo”. In un’intervista al Washington Post già nel 1992 Xi disse “Le persone che hanno pochi contatti con il potere, che sono lontane da esso, pensano che sia una favola misteriosa. Ma ciò che io ho visto non è solo la superficie, il potere, i fiori, la gloria, gli applausi. Io ho visto il carcere… e l’ipocrisia del mondo”.   Nello sceglierlo come leader supremo, i membri influenti del Partito si affidarono a una persona che vi credesse fermamente e ne proteggesse l’eredità.

Nel suo discorso programmatico nel 2012 compaiono alcune affermazioni che sono poi state la base dei dieci anni successivi di governo. La Cina è al punto iniziale di un’immensa, storica opportunità; di diventare un Paese grande e ricco, e il Partito Comunista è essenziale perché ciò avvenga. Esso non può continuare ad essere infestato dalla corruzione, da interessi personali, e con una disciplina praticamente inesistente. Il fossato fra il popolo, il Partito e il governo è sempre più ampio. Egli parlò di una grandiosa missione da compiere e di una Cina ormai prossima a diventare più influente e più grande. E fece riferimento al desiderio del popolo di avere una vita migliore, un clima meno inquinato e un mondo più armonioso. Sostanzialmente in questi dieci anni Xi è stato fedele al suo mandato. Ciò che è invece molto cambiato è il mondo attorno a lui a cominciare dalle relazioni con gli USA. Ma mano che la Cina cresceva e diventava più forte e sicura di se stessa e della sua fede politica, il comportamento americano mutò. Obama spostò l’attenzione, dagli scacchieri a cui si era sempre riferita l’America: Russia e Medio Oriente, verso l’Asia-Pacific con la sua politica del “Pivot to China” che fu la grande novità del suo messaggio sulla sicurezza nazionale. I rapporti fra le due potenze si mantennero però nell’ambito della normalità. Il grande cambiamento avvenne con Trump e ve ne parlerò fra un attimo.

Un chiaro esempio della politica interna di Xi Jinping si è visto durante la vicenda del Covid. Xi si rese conto che se esso fosse dilagato avrebbe rotto pesantemente il “patto sociale” fra leader e popolo su cui si regge ancora oggi il sistema di governo cinese, in cui salute, prosperità etc. sono “scambiati” contro vari livelli di libertà. L’intero sistema poteva crollare come stava per succedere durante i fatti di Tienanmen. Non appena la notizia di ciò che accadeva arrivò al vertice del partito egli prese in mano direttamente la situazione e si recò personalmente a Wuhan dando fiducia che l’intero Paese stava prendendo a cuore con priorità assoluta la situazione di una singola Provincia. Le misure severissime imposte fecero sì che l’epidemia rimanesse confinata a una sola provincia e che la mortalità fosse ridotta al minimo (valori analoghi a quelli della Germania) e si tornasse presto a una relativa normalità. Ancora oggi Xi impone misure draconiane in ogni luogo al semplice manifestarsi di pochi casi. Secondo i media cinesi, se l’epidemia dilagasse in tutto il Paese e non semplicemente in una provincia come avvenne nel 2020, essa potrebbe provocare milioni di morti e svariate decine di milioni di ospedalizzati; numeri che il sistema sanitario cinese non è in grado di affrontare. Ciò provocherebbe probabilmente rivolte pesantissime finio al crollo di tutto il sistema. Nonostante ciò che si dice, a me risulta che la popolazione in gran maggioranza comprende e accetta la situazione e ciò è confermato da alcuni osservatori internazionali “ Molte persone nell’intero Paese approvano la capacità straordinaria dello stato di controllare  la situazione e  proteggere il popolo da un’epidemia che ha già provocato milioni di morti nel mondo”  (economist 19/10/2022). Proprio nei giorni in cui sto scrivendo c’è stata una grande manifestazione a Canton, di protesta contro i problemi indotti da questa politica nell’assicurare l’approvvigionamento alimentare e tutta una serie di problemi pratici. L’intervento è stato ancora una volta tempestivo, ad ulteriore prova di quanto il Covid sia un rischio enorme per la stabilità dell’intero sistema. Ovviamente oggi (28/11) alla luce dei disordini di questi giorni che hanno chiesto le dimissioni di Xi Jinping questa parte della nota dovrà essere aggiornata, una volta che la situazione sarà più chiara.

All’inizio del secondo mandato, cinque anni fa, la posizione politica di Xi Jinping si spostò da una destra liberista verso una posizione nettamente più “di sinistra”. Questo fatto, unito alla modifica costituzionale che aboliva il termine dei due mandati per il ruolo di capo dello Stato, portò moltissimi commentatori occidentali a ipotizzare un’involuzione “maoista” di Xi che fu definito da allora “imperatore a vita”. Faccio notare che le due altre cariche del sistema cinese, quella di segretario generale del PCC e l’altra di presidente della commissione centrale militare, ben più importanti di quella di presidente, erano già senza questo limite. In realtà la svolta a sinistra di Xi fu dettata da una richiesta pressante della popolazione di ridurre la forbice dei redditi individuali che si era allargata in maniera spropositata creando delle ricchezze esorbitanti e dei monopoli inconcepibili anche nelle democrazie liberali occidentali. Xi non fece altro che applicare leggi già esistenti ma fino ad allora inapplicate in Cina come la procedura antitrust, che aveva già più di una volta colpito pesantemente vari giganti economici sia in Europa che negli USA. E’ in corso di modifica anche la politica fiscale aumentando ulteriormente la tassa sugli alti redditi, la tassa di successione etc.

Il grande cambiamento che Xi invece non aveva previsto, nel corso del secondo mandato arrivò, abbastanza inaspettato, dall’esterno e precisamente dagli USA della presidenza Trump. Come ho detto, già durante il mandato di Obama si erano evidenziati i primi scricchiolii con la politica del “pivot to China”, ma con l’arrivo di Trump, la sua politica di “America first”, la messa in discussione della politica di “una sola Cina”, e i dazi punitivi applicati alle esportazioni cinesi, i rapporti divennero immediatamente tesi. La pandemia di Covid fu la goccia finale che portò Xi ad una posizione nettamente nazionalista e di protezione dei propri interessi nazionali.  I feroci attacchi occidentali per la posizione del governo cinese nei fatti di Hong Kong e dello Xinjiang esasperò ulteriormente la situazione. E’ stato questo il vero cambiamento assolutamente non previsto da parte del governo cinese. Molto osservatori si sono chiesti se un contesto internazionale meno rissoso, più in linea con la maniera in cui si era sviluppato negli ultimi decenni sulla base della “dottrina Kissinger” avrebbe portato a sua volta ad un mantenimento dello sviluppo cinese più in linea con il passato. La storia non si fa con i “se”, ma una cosa si può dire: il PCC è istituzionalmente contrario all’assunzione di rischi. Di fronte alla volatilità americana dell’era Trump e di una persistente incertezza della situazione politica in Europa, Asia centrale e Medio Oriente, i capi del partito hanno optato per l’unica certezza che avevano: la stabilità della leadership esistente. Ciò forse non è stato determinante ma certamente ha favorito la conferma di Xi ai vertici del Paese.

E infatti questo Congresso si è dimostrato molto più “tranquillo” dei precedenti e lo si è visto fin dal discorso inaugurale. Xi, a differenza di ciò che era successo in tutte le occasioni precedenti, non ha fatto un discorso oceanico, solo 105 minuti, semplicemente perché non ha letto una buona parte del discorso, che invece è presente nel testo ufficiale pubblicato. Si dice che ciò è stato fatto per evitare ai leaders anziani presenti, a cominciare da Hu, la fatica delle riunioni, ma tutto ciò non sarebbe potuto accadere se ci fosse stata la necessità di una mediazione “da farmacista” fra le varie fazioni che sempre si confrontano e si scontrano nella preparazione del congresso.

Xi Jinping ha detto che gli ultimi cinque anni sono stati caratterizzati dalle sfide dei disordini politici e delle manifestazioni antigovernative a Hong Kong, dalla pandemia di Covid 19, dall’accresciuta tensione con gli USA e su Taiwan. Successivamente, quando ha affermato la preferenza per la riunificazione pacifica con Taiwan rispetto all’uso della forza, senza però escluderla in caso di necessità, ha ottenuto l’applauso più lungo e intenso di tutto il suo discorso, a conferma di quanto sia sentito il desiderio di riunificazione nazionale a chiusura del “secolo delle umiliazioni”. Parlando del futuro, Xi ha chiarito che i prossimi cinque anni saranno un periodo fondamentale per la sua visione di una Cina che diventerà una potenza leader nel mondo entro il 2050, passando per due fasi: anzitutto il completamento della modernizzazione entro il 2035 e poi diventando una potenza trainante dello sviluppo globale entro il 2050. La crescita del PIL, fino ad ora l’indicatore unico dello sviluppo, non è più sufficiente. È necessaria una crescita qualitativa sostenibile, e bilanciata sotto certi aspetti dalla autosufficienza, che possa garantire la sicurezza. Ciò va oltre il semplice concetto di sicurezza militare, include sicurezza contro le malattie, le privazioni, i disastri anche climatici e le crisi economiche. Menzionando più volte la “prosperità comune” Xi indica la necessità di far crescere la classe media, di aiutare i poveri, ancora esistenti nel Paese, con la creazione di posti di lavoro. Ha però chiarito che la sua non è una visione di una Cina chiusa, isolata in se stessa ma aperta alla creazione di un ambiente favorevole alle imprese private nazionali ed estere “più basata su regole”.

Per quanto riguarda Hong Kong, ha posto la città in una luce positiva, ha promesso che la regola “un Paese, due sistemi” continuerà ad esistere ed ha sottolineato che la città ha ottenuto il supporto del Paese nello sviluppo della sua economia, nel miglioramento dei mezzi di sussistenza della popolazione, e nella soluzione di problemi profondi esistenti da lungo tempo. In effetti il piano per lo sviluppo dell’edilizia popolare è già stato lanciato, e il recente convegno internazionale a H.K. con la partecipazione dei grandi gruppi finanziari americani ed europei ha avuto un grande successo, nonostante l’opposizione del governo USA. Su Taiwan il messaggio è stato più sfumato e Xi ha promesso di battersi per la riunificazione pacifica ma “non prometteremo mai di rinunziare all’uso della forza e ci riserviamo la possibilità di prendere tutte le misure necessarie”.

Molti commentatori hanno osservato che la parola “sicurezza” è comparsa nel discorso molto di più della parola “economia” e sono arrivati alla conclusione che Xi Jinping sia ossessionato dal primo problema. In parte ciò è vero perché il riarmo a ritmi sempre più accelerati è una novità assoluta nella storia multi-millenaria di una Cina sostanzialmente senza esercito, ma non si può ignorare che oggi la Cina sia letteralmente accerchiata nei suoi confini marittimi da soverchianti forze militari americane dislocate su innumerevoli basi terrestri e su una onnipresente forza navale americana.  Non è però corretto affermare che l’economia sia stata trascurata. Xi ha dichiarato che il mantenimento dei collegamenti commerciali e degli investimenti strategici con il resto del mondo, e l’apertura economica, possono solo aumentare perché “noi abbiamo bisogno del mondo e il mondo ha bisogno della Cina”. Ha però menzionato di nuovo la politica della “dual circulation”, cioè la necessità di aumentare i consumi interni come tutte le economie avanzate in parallelo allo sviluppo del commercio estero e delle esportazioni. La Cina ha oggi una classe media che include più di 400 milioni di persone (circa 140 milioni di famiglie). Essa deve “crescere in maniera sostanziale” entro il 2035. Lo sviluppo delle esportazioni sarà principalmente indirizzato verso i Paesi dell’ASEAN che sono già da molti anni il principale partner commerciale. Il commercio bilaterale con l’ASEAN nel primo semestre 2022 ha raggiunto 544.9 miliardi di US $, con una crescita del 13.1% sull’anno precedente e costituisce il 15% del commercio estero totale cinese. È cresciuto l’interscambio con Russia, Iran e Arabia Saudita. La Shanghai Cooperation Organization (SCO), di cui vi ho parlato nel mio ultimo articolo, si è allargata, e lo stesso sta accadendo con il gruppo dei BRICS.

A conclusione del congresso, parlando ad oltre 600 giornalisti di tutto il mondo Xi ha affermato che la Cina, dopo aver completato la costruzione di una società moderatamente prospera, sta oggi facendo passi avanti in un nuovo viaggio per trasformarsi in un Paese socialista moderno sotto tutti gli aspetti. Essa avanzerà quindi verso il secondo obiettivo: il grande ringiovanimento della nazione cinese su tutti i fronti attraverso un percorso cinese verso la creazione di un grande paese socialista moderno, prospero, forte, democratico, culturalmente avanzato, armonioso e bello dal 2035 al 2050. “Questa è un’impresa enorme, ma l’enormità del compito è ciò che lo rende grande e infinitamente glorioso” “Di fronte a nuove sfide e prove nel viaggio che ci attende dobbiamo rimanere in allerta e rimanere sobri e prudenti come uno studente seduto per un esame senza fine… Dobbiamo assicurarci che il nostro Partito diventi sempre più vigoroso attraverso l’autoriforma e continui a essere la solida spina dorsale su cui il popolo cinese può fare affidamento in ogni momento…. Lavoreremo con i popoli di tutti gli altri Paesi per difendere i valori condivisi dell’umanità di pace, di sviluppo, equità, giustizia, democrazia e libertà per salvaguardare la pace globale e promuovere lo sviluppo globale, e continuare a promuovere la costruzione di una comunità umana con un futuro condiviso”. Da notare che, come per altro è avvenuto nella recente assemblea generale dell’ONU, Xi Jinpingsi rivolge a tutti i Paesi del mondo, a differenza di Biden che parla sempre di Paesi alleati e Paesi avversari: la mentalità dei blocchi non è mai scomparsa in Occidente.

Due parole in chiusura per rispondere alla domanda che più frequentemente mi è stata fatta in questi giorni, come fosse stato il punto fondamentale del congresso: perché  Hu Jintao è stato sollevato di peso e portato via? Non credo che lo sapremo mai, e non credo che la cosa abbia alcuna rilevanza. In occasione di queste grandi adunate cinesi solitamente i media hanno due atteggiamenti: se non accade nulla di straordinario si dice che essa è stata solo un grande sceneggiato, un teatrino a benefico del pubblico. Se invece accade qualcosa di inaspettato, per quanto minore, arrivano le speculazioni più disparate. La possibilità che si sia trattato di un piccolo incidente, irrilevante, non viene mai considerata. In questo caso un filmato pubblicato da Channel News Asia un paio di giorni dopo l’evento mostra il vicino di Hu sul podio, Li Zhanshu, che prende un documento dalle mani di Hu e lo ripone in una cartellina rossa come quella davanti a tutti i leaders. Inizialmente lascia le carte davanti all’ex leader che sembra in uno stato di confusione. Poi, dopo qualche secondo, (tutto il filmato dura circa un minuto) tira verso di sé tutta la cartellina e ci tiene sopra la mano. Xi guarda verso il lato del palco, un assistente anziano si avvicina, gli parla e si allontana. Li continua a parlare con Hu fino a quando arriva un giovane aiutante che lo tira su dal suo posto e lo accompagna furi dal palco. L’agenzia di stampa ufficiale Xinhua ha riferito che questa uscita era dovuta a problemi di salute senza fornire ulteriori dettagli. Questi i fatti come sono stati visti. Sembra che Hu fosse in stato confusionale e riluttante a lasciare il suo posto, ma non esisteva alcuna possibilità che potesse intervenire nella discussione. Per alcuni sarebbe stata una sorta di epurazione pubblica, una specie di “damnatio memoriae” dell’unico predecessore di Xi presente sul palco visto che Jang Zemin, il predecessore di Hu (96 anni) era assente per motivi di salute. L’unico presente era Song Ping (105 anni), al potere ai tempi di Mao, che invece sembrava in piena salute. Non credo che Xi avrebbe avuto alcun bisogno di questa sceneggiata ed infatti essa è passata sotto silenzio per quanto possibile. Certo è che al suo ingresso il primo giorno del congresso Hu era abbastanza malfermo e Xi si è più volte voltato indietro, ha rallentato il suo passo e lo ha aiutato a sedersi. I giornali si sono sbizzarriti. La BBC e il Canada Globe hanno descritto l’incidente come “la misteriosa uscita di Hu”, il Telegraph “La partenza di Hu è  rimasta inspiegabile e la censura della nazione sembrava cancellasse ogni riferimento recente a lui da internet”, Al Jazeera ha titolato “Non mi sento bene, l’ex leader cinese si è ritirato dal congresso del partito”. Qualsiasi illazione è possibile ma inutile, perché certamente a un ipotetico potenziale oppositore di Xi non sarebbe stato riservato un posto proprio accanto a lui, quando poteva essere tenuto a casa senza destare alcun sospetto.

LA STORIA DELLA CINA: QUESTA SCONOSCIUTA II

20 luglio 2022

LA STORIA DELLA CINA: QUESTA SCONOSCIUTA II

Ci eravamo lasciati parlando della debolezza della Cina e delle sue possibilità di resistere ai popoli alle sue frontiere. La Cina era ben consapevole della sua relativa debolezza rispetto alle tribù “barbare alle sue frontiere” e la sua strategia (che applicò anche di fronte alla colonizzazione di fine ‘800 era

“se le tribù sono divise l’una dall’altra, resteranno deboli e sarà più facile mantenerle sottomesse; se le tribù sono separate, ciascuna eviterà l’altra e saranno tutte pronte ad obbedire. Noi favoriamo l’uno o l’altro dei loro capi e permettiamo loro di combattersi a vicenda. Ciò si conforma al seguente principio di azione politica: le guerre dei barbari sono di buon auspicio per la Cina.

C’è una differenza sostanziale fra il modo di concepire la guerra in Occidente rispetto al mondo cinese. Nel nostro mondo si cerca di sfidare l’avversario in campo aperto e piegarlo con la forza delle armi fino a costringerlo alla resa o, comunque, a venire a patti. Grandi battaglie quindi. La “guerra” nella storia della Cina è come una partita di “weiqi”, paragonabile, grosso modo, al nostro Risiko. Si cerca di combattere l’avversario in diversi modi e su tutta la scacchiera, cercando di mettersi in posizione di forza e circondare l’avversario su tutti i vari teatri, mettendolo in condizione di sudditanza psicologica e pratica e nell’impossibilità di difendersi. con il minimo dispendio di forze e di perdite. E’ necessario più tempo, certo, ma che cos’è il tempo di fronte all’eternità? Esiste un famosissimo libro scritto oltre 2000 anni fa da  Sunzi (maestro Sun). Si intitola “L’arte della guerra” ed è ancora usato in varie università nei loro corsi di business. Anche ai nostri tempi questi insegnamenti furono ampiamente usati dal generale Giap in Vietnam nelle guerre vittoriose contro i Francesi e poi contro gli Americani. Anche Mao se ne servì ampiamente nella lotta vittoriosa contro i nazionalisti. Questo libro è scritto in forma di aforismi da leggere e meditare a poco a poco, tornando spesso indietro.

L’esordio da già un’idea dell’approccio generale “la guerra è il compito più importante che uno Stato possa intraprendere, e in essa si decide la vita o la morte del Paese….. Per questa ragione si tratta di un’attività che deve essere ponderata e analizzata… Il sovrano non dovrebbe mobilitare l’esercito spinto dalla rabbia… Il sovrano illuminato sarà cauto riguardo alla guerra, il buon generale sarà cauto a impegnarsi in combattimento”  E poi “ Ottenere cento vittorie in cento battaglie non è dimostrazione di grandissima abilità. Soggiogare il nemico senza combattere rappresenta la vetta dell’arte militare. Perciò la strategia da perseguire in guerra è anzitutto quella di vanificare i piani del nemico, in secondo luogo di comprometterne le alleanze, infine di assalire l’esercito” L’aspetto psicologico e la dissimulazione sono fondamentali “Se siete abili, di fronte al nemico fingete incapacità. Se siete costretti a impegnare le vostre forze, fingete inattività. Se il vostro obiettivo è vicino, fate credere che si trovi lontano…” 

In sostanza la vera strategia, secondo la dottrina classica cinese, consiste nel valutare tutti gli aspetti, economici, militari, storici dello scacchiere ed avere una visione non solo del presente ma del passato e del possibile futuro che può essere agevolato nel suo corso ma certamente non sovvertito per il volere di una sola parte.

Il XVIII secolo.   

Nel 1757 le forze della Compagnia inglese delle Indie Orientali sconfissero nella battaglia di Plassey il Nawab del Bengala. A questa data si fa risalire l’inizio della vera colonizzazione dell’India da parte dell’impero britannico. Prima di essa e per oltre un secolo la Compagnia aveva già stabilito punti di approdo, magazzini, rappresentanze stabili, ma ciò evidentemente non era sufficiente per rendere la corona britannica il più grande impero del mondo. In quell’epoca gli stati occidentali avevano già messo l’occhio sulle ricchezze della Cina ma la stessa politica applicata nel secolo precedente in India non poteva essere replicata nei confronti del Celeste Impero. Infatti, per i rappresentanti stranieri, i punti d’ingresso in Cina erano strettamente regolamentati come già nel ‘500 all’epoca di Ruggieri e di Filippo II. Il mercato cinese era limitato al commercio stagionale a Canton. All’arrivo dell’inverno dovevano tutti tornare al di là delle frontiere. Inoltre tutte le comunicazioni dovevano transitare attraverso mercanti cinesi (pochi) debitamente autorizzati. Una curiosità: nella Cina di oggi, fino all’inizio degli anni ’80 del ‘900, nessuna azienda cinese, anche gigantesca, poteva firmare direttamente contratti con stranieri. Doveva passare attraverso le “windows”, uniche autorizzate a negoziare e firmare contratti. Ciò non era accettabile per la Gran Bretagna, che non tollerava la “pretesa” del regno di Mezzo, con un esercito e una marina praticamente inesistenti, di opporsi a pratiche commerciali e negoziali “universalmente accettate”. Come vedete non c’è niente di nuovo rispetto ad oggi: il concetto di “universo” e di “pratiche universali” ha un’interpretazione abbastanza singolare a cui solo la politica occidentale ha accesso. Venne quindi inviato Lord George McCartney con l’incarico di spiegare in modo pacifico le regole del commercio internazionale e convincere la Cina ad uniformarsene. Vi ho raccontato questa storia nell’articolo “Incomprensibilità del mondo cinese di due secoli fa del 29/11/2021. Vi ho anche parlato della cerimonia del “Kou-Tou” in cui si impantanò la discussione, e del suo insuccesso assoluto. Bisogna notare che l’obiettivo inglese era l’instaurazione di principi assolutamente paritari e basati su rapporti esclusivamente commerciali, un segno di grande riguardo rispetto a ciò che succedeva in India. Il punto di vista cinese era però completamente diverso come si vede nella lettera inviata dall’imperatore cinese al re d’Inghilterra. Anche in quel mondo si riteneva una lettera garbata ed amichevole, ma essa era incomprensibile per una mentalità occidentale

“Tu, o Re, spinto dal tuo rispettoso desiderio di condividere i benefici della nostra civiltà, hai inviato una missione per offrire umilmente un segno della tua devozione ……….. Quanto alla tua impetrazione di inviare un tuo concittadino per essere accreditato presso la mia Corte Celeste e sovraintendere al commercio del tuo Paese con la Cina, questa richiesta contraddice ogni consuetudine invalsa nella mia dinastia e non può essere presa in considerazione….”

La lunga missiva continuava su questo tono e ve la risparmio. In sostanza La Cina non aveva alcun interesse ad aprirsi al commercio con l’Occidente. Al massimo poteva accettare un piccolo contatto periodico a Canton. Due visioni del mondo assolutamente diverse, ma ugualmente accettabili per una convivenza pacifica e il rispetto della rispettiva sovranità. Ciò però contraddiceva le pretese britanniche e più in generale occidentali di assoggettare la Cina, magari in forme diverse a ciò che era stato imposto al resto del mondo, India inclusa. La storia poteva chiudersi qui e infatti lo fu per un po’: Qualche decennio dopo però, chiusi i conti con Napoleone, la Gran Bretagna ritornò alla carica con un’altra missione nel 1834 che ebbe un successo ancora minore. I cinesi erano disposti a fare concessioni limitate al desiderio occidentale ma l’idea stessa di libero commercio, regolari relazioni diplomatiche, istituzione di ambasciate, etc., tutte pratiche normali in occidente, erano per loro inconcepibili. Ci si avvicinava al confronto e ciò avvenne per una pretesa, a mio avviso vergognosa, dell’impero britannico: la pretesa di togliere ogni limite all’importazione di oppio in Cina.   

Il 1842 e la guerra dell’oppio

All’inizio dell’’800 l’oppio era più o meno accettato in Europa ma vietato in Cina per frenarne la diffusione. Il papavero da oppio era però coltivato in India e costituiva una delle maggiori rendite per i mercanti inglesi che lo esportavano clandestinamente in Cina con la collaborazione ovviamente di malviventi locali. Ciò non era accettabile per il governo cinese che inviò all’inizio varie lettere di protesta:

“Se uno straniero si reca in Inghilterra per commerciare, deve obbedire alle leggi inglesi; non dovrà perciò a maggior ragione obbedire alle leggi della Dinastia Celeste quando si trova in Cina?.... I mercanti barbari del vostro Paese, se vogliono fare affari per un periodo prolungato, devono obbedire rispettosamente alle nostre leggi e interrompere definitivamente l’esportazione dell’oppio… o Re, che possiate setacciare ed eliminare le persone malvage prima che si rechino in Cina, al fine di garantire la pace della vostra nazione, e permettere che i nostri due Paesi godano reciprocamente dei benefici della pace….. Non appena avrete ricevuto questo messaggio, ci darete subito comunicazione relativamente alle modalità specifiche per l’interruzione del traffico d’oppio…”

Più ancora che da queste lettere, l’opinione pubblica ed il governo britannici furono irritati dal fatto che il plenipotenziario governativo cinese a Canton avesse chiesto la consegna di tutte le casse di oppio in mano alle missioni commerciali inglesi nella città e, al loro rifiuto, fece bloccare tutti all’interno dei loro stabilimenti fino a che avessero consegnato la marce importata illegalmente in territorio cinese.. Il premier inglese Palmerston inviò una durissima lettera di risposta in cui esigeva “soddisfazione e riparazione per le pene inflitte dalle autorità cinesi ai cittadini britannici residenti in Cina, e per gli insulti pronunciati da queste autorità contro la Corona britannica”, chiedeva inoltre la cessione di “una o più isole sufficientemente ampie e adeguatamente localizzate lungo la costa della Cina”. Palmerston ordinò inoltre che la flotta inglese salpasse per bloccare i porti cinesi e impossessarsi con la forza di adeguati territori cinesi.   Dal punto di vista inglese era la guerra, ma la corte cinese non la riteneva non solo possibile, ma neanche ipotizzabile.  Seguirono a questo punto una serie di lettere, dichiarazioni etc. che dimostravano quanto lontani fossero fra loro i due mondi che per la prima volta si incontravano, si confrontavano e si affrontavano. 

Lettera alla regina Vittoria “O voi selvaggi dei mari più distanti, siete diventati così audaci, a quanto sembra, da osare addirittura sfidare e insultare il nostro possente impero. In verità è giunto il tempo di graffiarsi il viso e rimettervi sulla buona via. Se vi sottometterete umilmente alla Dinastia Celeste e ci offrirete la vostra devozione potrete avere la possibilità di redimervi dai vostri passati peccati”.

I funzionari cinesi inviati a trattare si rendevano conto dell’estrema superiorità militare inglese e cercavano comunque di raggiungere un accordo, mentre la guerra già infuriava. Erano quindi disponibili a ragionevoli diritti speciali su Hong Kong e ad un rapporto paritario nelle future relazioni. Essi furono condannati a morte personalmente dall’imperatore, e successivamente graziati e mandati in esilio. Gli inglesi però pretendevano il trionfo dichiarando che “il governo di Sua Maestà non può permettere che, in una transazione fra la Gran Bretagna e la Cina, le pratiche irragionevoli dei Cinesi debbano scavalcare le pratiche ben più ragionevoli di tutto il resto dell’umanità”. Faccio notare che “il resto dell’umanità” era costituito da Europa (incluso l’impero russo) e Stati Uniti. Questa è la realtà storica e non la si può ignorare quando si analizzano le vicende odierne. Allora come oggi, infatti, si cerca di interpretare un mondo diverso applicando i nostri canoni ed i nostri metodi.  Non ci si riesce, non ci si può riuscire. Per quale motivo l’Inghilterra doveva imporre le proprie regole e i propri commerci ad un mondo che viveva pacificamente ignorando l’esistenza stessa della Corona britannica, come tre secoli prima di quella spagnola? Qual era il motivo che spingeva la regina Vittoria come prima Filippo II a imporre la propria volontà e le proprie regole al Celeste Impero? Per me la risposta è una sola: sete di potenza, di ricchezza, e di dominio.

Proseguo rapidamente perché, come ho detto nel prologo, voglio darvi un’idea delle diverse mentalità che si scontravano più che fare una dettagliata storiografia. L’esercito inglese ebbe rapidamente ragione della ridottissima resistenza cinese e questi furono costretti a firmare la pace di Nanchino. In base ad essa, la Cina pagava sei milioni di dollari in risarcimento, la cessione di Hong Kong (poi restituita alla Cina nel 1997) e l’apertura di cinque ulteriori porti in cui gli Inglesi erano autorizzati a risiedere e commerciare. I cittadini inglesi residenti in quei luoghi erano soggetti alle leggi inglesi, vale a dire che i contrabbandieri d’oppio potevano legalmente esercitare i propri traffici. Si trattava di una lampante violazione della sovranità cinese nel cuore del proprio territorio. La crisi era profonda; si stavano verificando i fenomeni che da millenni indicavano la fine di una dinastia e cominciarono le ribellioni interne, l’evento che, allora come oggi, era il più temibile per la filosofia cinese. Due di esse in particolare, quella dei Nian e più ancora l’altra dei Taiping miravano al rovesciamento del potere. Si calcola che a causa delle rivolte interne la popolazione cinese scese fra il 1850 e il 1870 da 410 milioni a circa 350 milioni. Agli Inglesi non bastava ciò che avevano ottenuto; ci fu un’altra ripresa delle ostilità che terminò con il trattato di Tianjin che diede agli inglesi il diritto di un’ambasciata a Pechino e la libera navigazione sullo Yang-Tse. Ma non era ancora finita. In seguito ad ulteriori incidenti l’esercito britannico incendiò, come atto simbolico definitivo, il Palazzo d’Estate imperiale con tutti i suoi cimeli artistici e storici. Le altre potenze occidentali avevano intanto preteso e ottenuto gli stessi diritti, fino all’arrivo della Russia che propose il suo supporto a proteggere la Dinastia dagli invasori ottenendo in cambio una gigantesca espansione territoriale in Manciuria, fino al porto di Vladivostok dove installare una sua base navale, proprio di fronte alle coste giapponesi. Il principe Gong (di cui esiste ancora una bellissima villa a Pechino), fratellastro dell’imperatore, fu chiamato al governo e propose una strategia che applicava tutta la tradizione cinese

“Sia i Taiping che i Nian stanno vincendo e costituiscono un morbo interno. La Russia, il cui territorio confina con il nostro, mira a rodere la nostra terra come un baco da seta, e può essere considerata una minaccia. Quanto all’Inghilterra, il suo scopo è il commercio, ma agisce in modo violento, senza alcun rispetto dell’umana decenza. Se non viene tenuta a bada, non riusciremo più a reggerci in piedi. Perciò dobbiamo per prima cosa sconfiggere i Taiping e i Nian, poi porre sotto controllo i russi, e infine occuparci dei britannici.

L’esecutore di questa strategia fu Li Hongzhang, l’incarnazione perfetta di un mandarino cinese, imperturbabile, gentile, coltissimo ma dotato anche di un grande realismo, Era, in sostanza ciò che oltre un secolo dopo fu per me il “grande vecchio” che mi introdusse alla profondità del mondo cinese.           

Una perfetta descrizione di quest’uomo e del suo pensiero è stata fornita da Henry Kissinger:

“Il rappresentante di una società posta sotto assedio da nazioni di gran lunga più potenti e da culture così diverse dalla propria si trova di fronte due scelte: cercare di colmare il divario culturale adottando i costumi dei più forti e riducendo in questo modo le pressioni derivanti dalla tendenza a discriminare ciò che appare culturalmente straniero, oppure persistere nell’affermare la validità della propria cultura, sottolineando le sue peculiarità. ….. Nel XIX secolo i leader giapponesi seguirono la prima alternativa………. Li ….. non poteva seguire questa strada. Né sarebbe stato disposto a rinnegare la sua matrice confuciana, quali ne fossero stati i benefici”.

Egli era assolutamente convinto della superiorità dei valori morali e culturali del suo mondo, ma, a differenza dei suoi critici e della stessa corte imperiale, riteneva, che per il ritardo acquisito negli ultimi decenni di impetuoso sviluppo tecnologico ed economico occidentale, il suo Paese avesse solo bisogno di “comprare tempo” per adeguarsi al nuovo mondo senza dover rinunciare ai propri principi e alla propria storia. Se necessario anche reclutando temporaneamente specialisti stranieri. La visione di Li era estremamente lucida e lungimirante. Oltre a condividere l’analisi del suo mentore Gong, egli aveva una chiarissima visione dell’altro “nemico”: il Giappone. Nel 1874, dopo che il Giappone con un pretesto inviò una spedizione punitiva a Taiwan, egli dichiarò:

“la sua potenza aumenta di giorno in giorno, e le sue ambizioni sono tutt’altro che modeste. Perciò osa mostrare la propria forza nelle terre orientali, disprezza la Cina e interviene invadendo Taiwan. Sebbene le varie potenze europee siano estremamente forti, sono pur sempre a “70000 Li” di distanza da noi, mentre il Giappone sta sul nostro cortile di casa e cerca di insinuarsi approfittando della nostra debolezza… <esso> diventerà la più grave e costante preoccupazione per la Cina”.

Egli riuscì nella strategia di mettere la Russia, con il supporto delle potenze occidentali, contro il Giappone. Ciò costrinse la Cina ad accettare una presenza massiccia russa nel Nord, che indusse le altre potenze euro-americane a chiedere un altrettanto maggiore presenza nella Cina sudorientale. Lo costrinse anche a cedere Taiwan che ancora non è tornata ad essere cinese ed è ben presente a tutto il popolo. Ottenne però di portare in guerra la Russia contro il Giappone con il risultato di fermarle entrambe con il trattato di Portsmouth nel 1905. Non posso a questo punto evitare un ricordo personale. Fin dal liceo mi interessavo di studi storici. All’esame di maturità classica mi fu chiesto di parlare “Della politica europea in Asia dal Congresso di Vienna alla guerra russo-giapponese”. La affrontai sulla base dei testi storici su cui avevo studiato, che fornivano uno scenario in cui le potenze europee “civilizzate”, affrontavano l’impero del Sol Levante. La Cina era semplicemente un territorio in disfacimento, campo di battaglia fra i contendenti. Come al solito una visione euro-centrica, in cui tutta la manovra politica cinese, se vogliamo regista del tentativo di mitigare i danni e guardare al futuro, era assolutamente inesistente. Tornando alla nostra storia, Li Hongzhang ebbe una vita estremamente travagliata, costellata di successi personali, ma anche di accuse violentissime e processi. Perse il potere varie volte, ed altrettante fu richiamato a salvare la patria in pericolo. Egli ottenne alla fine un risultato: evitare che il suo Paese perdesse la sua sovranità, anche se fortemente ridimenzionata. Forse è un caso unico nella storia del colonialismo occidentale che si era trovato di fronte un Paese senza esercito e senza una classe dirigente capace di rendersi conto di avere di fronte un mondo completamente diverso da ciò che aveva conosciuto in millenni di storia. La Cina non capiva come l’Occidente non fosse affascinato dalla cultura cinese e impressionato dalla maestà della sua corte. Non era mai capitato nella sua storia. Trovò comunque il modo di sopravvivere. Ci furono poi la sanguinosa rivolta dei boxer, l’occupazione di Pechino e infine la caduta dell’impero e la proclamazione della repubblica di Cina. Era crollato un mondo o semplicemente una dinastia? Lo scoppio della Prima guerra mondiale distolse l’attenzione dell’occidente, mentre in Cina divampò una sanguinosa guerra civile. Ciò non le impedì di partecipare alla guerra e subire la grande disillusione del Congresso di Versailles di cui vi ho parlato. La Seconda guerra mondiale cambiò veramente il mondo. Di essa noi vediamo la parte europea, ma, come al solito, non consideriamo quella che si svolse nell’Oceano Pacifico. Gli USA entrarono in guerra contro il Giappone ben prima che in supporto alla resistenza inglese in Europa e questo è già un indizio della visione geopolitica del nuovo potere imperiale. Nel frattempo, la Cina ottenne la pace interna con la vittoria di Mao Zedong su Chiang Kaishek Quest’ultimo si rifugiò a Taiwan e si proclamò leader dell’intera Cina. Pensava di poter riconquistare in breve tempo il territorio perduto e riunificare la Cina sotto il suo comando. Non riuscì nel suo intento. Gli USA furono a lungo tentennanti su quale parte scegliere ma poi si schierarono con Chiang Kaishek. Fu un errore storico di cui ancora portiamo le conseguenze. Nixon, infatti, decise di allinearsi alla realtà storica e riconobbe Pechino come unico rappresentante della Cina, togliendo questo ruolo a Taipei.

Oggi. L’Imperatore del Celeste Impero è crollato perché gli è venuto meno l’appoggio del cielo. Ciò è stato preannunziato da gigantesche catastrofi e seguito da grandi convulsioni interne. Non c’è niente di strano: come abbiamo visto, fin dal grande Imperatore Giallo, anzi da prima di lui fino ad oggi, periodicamente questi cicli si sono succeduti nell’eterna storia del popolo cinese. Nel 1980 Deng Xiaoping, ha preso il potere ed ha lentamente ricostituito il Regno di Mezzo, il Celeste Impero. Le forme si sono adeguate ai nuovi tempi ma le sue fondamenta sono ancora le stesse. L’imperatore deve occuparsi del bene di tutto il popolo, governare secondo regole precise. Il popolo deve seguire queste regole, ognuno nel suo ruolo preciso. Durerà questo sistema, anche se con modifiche lentissime e progressive sempre sul filo degli antichi dettami confuciani? Come si confronterà con un mondo “altro da se” (gli USA) che non ne riconosce l’esistenza stessa basata su principi assolutamente diversi e inconciliabili? Sarà capace il mondo occidentale di accettare questo mondo così diverso o proverà a dare una nuova spallata come quella che ha tentato nel 1842? La storia ha dimostrato a mio avviso due cose. Primo: la Cina non fu mai interessata allora come nel passato, a una soluzione militare del confronto e, ancora più importante, non era interessata ad alcun tipo di relazioni commerciali o politiche con l’occidente. Secondo: in un momento in cui la potenza militare occidentale era assolutamente soverchiante essi non riuscirono ad impadronirsi della Cina. Ancora di meno riuscirebbero oggi. Potrebbero distruggere il mondo intero, incluso se stessi, ma non impadronirsi della Cina.

Bisogna che noi Occidentali ci rendiamo conto che per affrontare una cultura diversa dalla nostra dobbiamo analizzarla dal loro punto di vista (senza per altro rinunziare al nostro). Solo in questo modo possiamo poi prendere decisioni avvedute. E’ ciò che sta ancora predicando il vecchio Kissinger in questi mesi, nelle analisi lucidissime degli avvenimenti di oggi, di cui non riusciamo a trovare il bandolo.                       

LA STORIA DELLA CINA: QUESTA SCONOSCIUTA I

30 maggio 2022

LA STORIA DELLA CINA: QUESTA SCONOSCIUTA I

Sono trascorsi oltre cinque anni da quando ho iniziato questo dialogo con Voi, e più e più volte ho cercato di spiegare perché il mondo cinese è assolutamente incomprensibile a noi occidentali fin dalle sue fondamenta più profonde. I professori di Ca’ Foscari (l’Università di Venezia, con il più importante centro italiano di studi cinesi) ci spiegano che talvolta non è addirittura possibile una traduzione esatta di un concetto espresso in lingua cinese. In alcuni casi, nelle loro traduzioni di un qualche documento pongono in nota che quel testo, tradotto in una certa maniera, potrebbe avere un’altra serie di sfumature, spesso importanti, di cui si deve tener conto. Famoso è l’esempio dell’ideogramma che noi traduciamo con la parola “crisi”: in realtà esso contiene e sviluppa due concenti “pericolo” e “opportunità”. Per noi crisi ha un significato ben preciso, mentre per loro quell’ideogramma è tutto un mondo a cui solo il contesto può dare un significato. Durante la discussione di svariati contratti o accordi, ovviamente bilingue (cinese e Inglese), mi sono trovato spesso a dover discutere per ore una semplice riga sul cui concetto eravamo perfettamente d’accordo ma non eravamo d’accordo sulla maniera in cui esso era espresso nelle due lingue. E ciò avveniva in un ambiente di assoluta fiducia reciproca che si era creata. Vi immaginate cosa può succedere in una discussione politica fra Cinesi e Americani dove l’ambiente psicologico è assolutamente opposto e ognuna delle due parti pensa che l’altra stia cercando solamente la maniera di metterla nel sacco?

Oltre a ciò, esiste un altro problema che non cambia di generazione in generazione. Il nostro ordinamento scolastico è assolutamente centrato sul Mediterraneo, e solo di conseguenza e successivamente sull’Atlantico ed il continente americano. Non parlo solo della geografia, ma anche di storia, filosofia, arte, musica etc. In altre parole, il grande mondo, o i mondi che costituiscono l’Asia, sono per noi inesistenti. Nelle aule scolastiche europee esiste ancora sul muro, credo, un grande planisfero. Esso ha al centro Europa e Africa, a sinistra il continente americano e a destra l’Asia. Lo stesso planisfero in Asia e sulla costa Ovest americana mostra al centro l’Oceano Pacifico, di qua l’America, di là l’Asia ed in fondo, in un angolo in alto la piccola Europa, una semplice penisola del continente asiatico.

Intendiamoci, non sto assolutamente svalutando l’importanza assoluta della cultura europea nel mondo, ma sto cercando di spiegare che noi dalla più tenera infanzia fino alla vecchiaia non abbiamo mai considerato che possa esistere una cultura diversa ed altrettanto complessa e profonda della nostra.

Ma come è potuto succedere, “l’Homo” è nato e in Africa e nell’arco di oltre centomila anni è da lì emigrato in tutto il mondo fino ad arrivare “all’Homo Sapiens” di oggi. Dovremmo essere uguali. Biologicamente lo siamo abbastanza e infatti i vari ceppi si possono congiungere e non sono sterili. Esiste però un aspetto su cui non ho assoluta capacità di parlare e sarebbe comunque fuori tema, che è stato lo sviluppo dell’uomo negli ultimi 10000 anni da un punto di vista culturale, psicologico. In quel periodo, fondamentale per definire chi siamo oggi, i rapporti sono stati quasi nulli ed in ogni caso ininfluenti.

Ho sempre pensato di approfondire con voi in maniera organica questo modo di veder il mondo anche perché è secondo me l’unico che potrà permettere una convivenza futura piuttosto che una guerra mondiale che estinguerebbe la specie umana. I libri che si usano nelle scuole erano (sono) un elenco interminabile di guerre, conquiste, armistizi, intervallati da brevi periodi di pace. Esistono poi trattati su specifici argomenti o gigantesche raccolte su cui è possibile trovare di tutto. Ne cito uno che conservo gelosamente nella mia biblioteca: la storia del mondo antico, del mondo medioevale e del mondo moderno dell’Università di Cambridge in 28 grossi tomi. E’ affascinate e lo consulto su argomenti specifici anche perché ha il pregio di una grande chiarezza. Anch’esso però è Eurocentrico e dell’Asia si vedono solo le interferenze e le interazioni con il nostro mondo. Ai miei tempi era merito solo di alcuni professori spiegare che la storia non fosse solo una successione di eventi, ma il tentativo di capire cosa “ci fosse dentro” quale fosse il motore di ciò che succedeva. La chiave di lettura poteva trovarsi in forma di indizi nella letteratura, nella filosofia, nell’arte, nell’archeologia e in alcuni aspetti specifici che si ricavavano dall’analisi delle varie costruzioni ed elaborazioni della società di ogni periodo. Su questa base chiunque, diventato adulto e interessato a questi temi, può essere in grado di farsi un’idea dei grandi fenomeni storici: delle origini della nostra cultura, dell’impero Romano, delle sue interazioni con l’attuale Medio Oriente, dell’influsso e delle guerre causate dalle tre grandi religioni monoteiste che non sono mai finite, delle stesse guerre causate dai vari scismi nell’ambito del Cristianesimo, dello sviluppo della nostra storia e della nostra filosofia che hanno creato, viste le loro interazioni, una cultura di base unificante nell’ambito europeo, contrapposta agli interessi diversificati nei vari stati nazionali che si andavano formando, e via di seguito. Noi oggi siamo questo e, purtroppo, non siamo in grado di capire che, almeno nel nucleo centrale dei popoli europei, gli aspetti unificanti sono molti di più e molto più profondi dei vari interessi nazionali che ci contrappongono. Anni fa, nel maggio 2017, scrissi una nota “Tutti contro tutti parte terza” che si può ancora leggere nel mio sito. In essa riassumo quello che è per me il più grande peana a un’Europa unita che abbia letto negli ultimi 20 anni. E chi l’ha scritto? Il prof. Hu Chunchun, professore di studi e politica tedesca della Tongy University di Shanghai. Ma deve essere un Cinese a spiegarci chi siamo e il ruolo che potremmo avere nel mondo se ce ne rendessimo conto?

Questa lunga digressione mi serve a dire che non siamo capaci di “leggere la Cina” se non sulla base di postulati per noi familiari e universali, mentre invece sono assolutamente unilaterali e di universale non hanno proprio niente. E’ un errore gigantesco di cui pagheremo conseguenze gravissime. Questo problema si  manifestato in un momento preciso, nel 1842, 350 anni dopo un’altra data fondamentale, il 1492, la scoperta dell’America. Allora infatti entrammo in contatto con il continente americano e ne facemmo, sostanzialmente con le armi, una nostra “dependance”, un fratello minore. Nel 1842 iniziò lo scontro vero con la cultura cinese, molto più profonda e strutturata di quella americana. Tale scontro, fra alti e bassi è arrivato fino ad oggi, senza alcun tentativo di una possibile convivenza.

Non ha senso qui raccontarvi la storia cinese: sarebbe noioso e chiunque ne abbia interesse può leggerla al livello che più gli aggrada, al limite anche su Wikipedia. Mi limiterò ad alcuni aspetti, indizi spero utili a farvi capire come iniziammo a differenziarci fin dalla più remota antichità.

Nel XIX secolo, padre Regis-Evariste Huc scrisse

La civiltà cinese ha origine in un’antichità talmente remota che risulta vano cercarne il punto d’inizio. Nel suo popolo non c’è alcuna traccia di un’età infantile. Si tratta di un fatto assolutamente peculiare della Cina. Nella storia delle nazioni siamo abituati a rintracciare un ben definito punto di partenza e i documenti, le tradizioni e i monumenti storici ci permettono normalmente di seguire, quasi passo passo, il progresso di una civiltà: di assistere alla sua nascita., di osservarne l’evoluzione, lo sviluppo e in molti casi anche il declino e il crollo finale. Ma non è questo il caso della Cina. I Cinesi sembrano aver sempre vissuto nel medesimo stato di sviluppo di quello attuale e i documenti antichi non fanno che confermare questa supposizione”

Se ad esempio osserviamo la nostra civiltà, essa ha un inizio dove storia e leggenda si confondono: Romolo,  Remo, la loro nascita e la lupa che li allattò, il solco che definisce la città originale, il fratricidio e poi, via via nei secoli esce dalla nebbia e diviene sempre più definita la meravigliosa storia di Roma, del suo impero, delle sue conquiste, dei suoi contributi alla civiltà occidentale, fino al suo declino finale. Ovviamente l’inizio è leggenda, ma di tale leggenda sentiamo il bisogno, quasi fosse un pilastro a cui agganciare la storia. Se osserviamo le origini della civiltà cinese incontriamo, fra mito e realtà, Huang Di, l’imperatore Giallo, esistito oltre 2000 anni prima di Cristo. Esistono numerosi frammenti scritti attribuiti a questo mitico sovrano ma una cosa sembra accertata: che alcuni frammenti degli scritti provengano direttamente da lui e/o dai suoi ministri. Confucio, 1500 anni dopo, spiega

“Quando l’imperatore Giallo era in vita, il popolo ebbe da lui benefici per cento anni; dopo la sua morte ne rimase in soggezione per cento anni; quando anche il suo spirito scomparve il popolo applicò i suoi insegnamenti per cento anni. Per questo motivo si disse che egli visse per 300 anni”.

La straordinarietà di tutto ciò consiste nel fatto che egli non viene considerato “il fondatore” di una civiltà, ma un leader apparso in un momento in cui la Cina stava attraversando un periodo di caos. Prìncipi rivali si combattevano aspramente, maltrattavano la popolazione e non erano in grado di effettuare un buon governo. Il ruolo di Huang Di, come affermava lui stesso, era stato quello di ristabilire i princìpi di quell’armonia che era esistita nell’età dell’oro e che si era persa in un periodo di discordie. Non c’era stata alcuna fondazione quindi, ma una semplice turbolenza nel flusso eterno dell’armonia mondiale. Questo continuo oscillare fra armonia e disordine ebbe un punto fondamentale, nel 221 a.C., con un’unificazione stabile della Cina dopo il lungo periodo di guerre fra gli “stati combattenti”. A partire da quella data, la Cina ha conservato sempre l’ideale di un impero e un’unità, ma la sua storia reale è sempre stata caratterizzata da guerre intestine e riunificazioni cicliche. Nel 1912, con il crollo della dinastia Qing finì l’impero cinese ed iniziò un periodo di grandi e violente guerre intestine fino alla presa del potere di Mao Zedong e ad una nuova pacificazione interna. La peculiarità cinese sta a mio avviso anche in questo. Se guardiamo all’Europa, alla fine del Medio Evo si andarono formando progressivamente gli Stati nazionali, che andarono sempre di più distinguendosi uno dall’altro, creandosi una propria identità, storia, lingua, religione che, fra paci e guerre, andava sempre più differenziandoli. E’ questo in fondo il motivo per cui oggi riesce a tutti noi difficile pensare una reale unità europea. Invece la civiltà, la scrittura, la filosofia e la visione che aveva la Cina di sé stessa restavano immutabili e senza tempo. Esisteva in sostanza una “identità cinese” che superava il concetto di nazione, di etnia o di stato e che tuttora è alla base di “ciò in cui essi identificano se stessi”.  Per vari millenni la Cina non si trovò mai a confrontarsi con paesi o civiltà paragonabili ad essa per dimensioni e sviluppo. La Cina era ovviamente in contatto con l’India che però rimase sempre o quasi frammentata in regni separati. E comunque l’Himalaia era una frontiera invalicabile verso il subcontinente indiano. I deserti dell’Asia centrale rendevano precari i contatti con la Persia ed ancora di più con l’Impero Romano. Tutto ciò rafforzava il concetto che la Cina fosse un mondo a sé stante, autonomo, e che quindi l’imperatore fosse una figura di rilevanza universale e governasse il “Tianxia”, ossia “tutto ciò che sta sotto il cielo”. Lo sterminato Oceano era la reale frontiera, più culturale che reale. In realtà la Cina, durante la dinastia Song (960 – 1279) era già in possesso di una tecnologia nautica e cantieristica insuperabile, eppure non fu mai tentata di effettuare esplorazioni o conquiste al di là delle proprie coste. Il mare era, per il mondo cinese, qualcosa di “sterile”. Il mito   di Ulisse (Dante canto XXVI) è completamente estraneo al mondo cinese. Ne cito solo un frammento

“… né dolcezza di figlio, né la pietà del vecchiuo padre, né’l debito amore lo qual  dovea Penelope far lieta, vincer potero dentro a me l’ardore ch’ì ebbi a divenir del mondo esperto, e de li vizi umani e del valore; ma misi me per l’alto mare aperto sol con un legno e con quella compagna picciola da la qual non fui diserto…. O frati, dissi che per centomila perigli siete giunti a l’occidente, a questa tanto picciola vigilia d’i nostri sensi ch’è del rimanente, non vogliate negar l’esperienza, di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”. Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto, che della nova terra un turbo nacque, e percosse del legno il primo canto. Tre volte il fé girar con tutte l’acque; a la quarta levar la poppa in suso e la prora ire giù, com’altrui piacque, infin che’l mar fu sopra noi rinchiuso.  

Ecco, questa voglia di esplorare, di superare le colonne d’Ercole per vedere cosa ci fosse al di là di esse, è sempre stato estraneo allo spirito cinese. Resta un mistero il fatto che fra il 1405 e il 1433 la Cina compì una delle imprese più grandiose della storia della marineria dell’epoca. L’ammiraglio Zheng He, con una flotta grande e tecnicamente avanzatissima, si spinse fino allo stretto di Hormuz, vari decenni prima che in Occidente iniziasse il periodo delle grandi scoperte marittime. A ogni tappa egli proclamava la magnificenza del suo imperatore, offriva doni alle autorità locali, e li invitava a mandare ambascerie in Cina, per assumere il loro ruolo in un mondo sino-centrico, e compiere il rituale rito del “Kou-Tou” (ve ne ho parlato in passato). Alla ripartenza da ogni tappa, Zheng portò indietro doni ma non rivendicò alcuna pretesa territoriale, coloniale o commerciale. Il suo obiettivo pareva quello di confermare o estendere in maniera metafisica il “Tianxia”. Queste spedizioni furono successivamente interrotte e la flotta fu sostanzialmente demolita al punto che, quando cominciarono ad apparire truppe di pirati, si preferì far ritirare le popolazioni costiere all’interno, piuttosto che combattere gli invasori.

 Facciamo un salto di qualche centinaio d’anni e nel 1590 un gesuita, padre Michele Ruggieri, scrisse un libretto per il re di Spagna Filippo II. Questo libro è un affresco della situazione politica dell’epoca con la suddivisione delle sfere di influenza fra Spagna e Portogallo finite con l’annessione di quest’ultimo alla Spagna, e le lotte fra Gesuiti e altri ordini religiosi assiepati alla frontiera Sud del celeste impero e ansiosi anch’essi di poter entrare. Ruggieri si trovò al centro di tutto ciò, fu ricevuto dal Papa, dal re di Spagna e dovette confrontarsi con l’aspra lotta all’interno anche dei Gesuiti, alcuni dei quali supportavano gli interessi portoghesi ed altri la Spagna. Molti disperavano di potere essere ammessi nel grande Paese perché “è tra loro un ordine et legge inviolabile, et che nessun forastiero possa entrar nella Cina et habitar in essa senza licenza del Re”. Ruggieri, che oltre ad una grande cultura aveva studiato legge alla scuola napoletana allora famosa, cercò anzitutto di capire il mondo cinese vivendo “alla frontiera” del Paese un paio d’anni, prima di chiedere con successo di potervi entrare stabilmente. Si rese conto che esso era “pacifico et civilissimo, più incline alla conciliazione che al confronto” e bisognava fare in modo che “intendano questi Cinj che noi non siamo solamente quattro mercanti”. Ruggieri divenne amico di un alto funzionario a cui chiese se ci fosse una maniera legale e pacifica per poter essere accolto. Quest’ultimo, dopo molto studio trovò una norma che affermava

che ancor che nelle leggi del Regno della Cina fosse prohibito habitare forastieri, nondimeno, avendo riguardo che tutti noi siamo come frutti nati sotto un cielo, ordinava che, venendo alcuno de lontano regno e non potendo o non volendo tornar mai… purché fosse quieto, humile et piuttosto utile che pregiudizievole al regno, si rimanesse, per vivere et morire in quello”.     

R. nelle sue numerose lettere descriveva la cortesia e il formalismo estremo della sua controparte locale dicendo “en el aspecto y en lo interior de sus corazones <i Cinesi sono> propriamente come mugeres, i si alguno le muestra dientes luego se humillan”. R. suggeriva a questo punto di mandare in visita all’imperatore un’ambasceria del re di Spagna o, meglio, del Papa per instaurare rapporti diplomatici. I più però erano convinti che il permesso di ingresso accordato a R. e Ricci non sarebbe stato esteso ad altri, quindi, era necessario un intervento armato “porque su conversion por via de predicacion… es impossible”. Il superiore di Macao scrisse nel giugno 1585 a Filippo II che i Cinesi erano gente male armata e “feminada”, che nessuno portava la spada al fianco e che scarsa o nulla era la loro capacità bellica. Sarebbero bastati 8000 uomini reclutati nelle colonie spagnole circostanti e ben addestrati per conquistare la Cina. Il confronto in Europa era rovente: alcuni si opponevano all’uso delle armi ricordando le brutalità perpetrate in nome della fede in altre colonie, altri non andavano troppo per il sottile. Lo stesso Pontefice, a cui fu sottoposta la questione, riconobbe il diritto della Spagna  ad un intervento armato contro la Cina. Conquistarla quindi non appena averne avuto una minima conoscenza. In quell’occasione non se ne fece niente, ma anche questa è una conferma dell’esistenza della Cina come un mondo chiuso in se stesso, basato convintamente sull’eternità della propria civiltà e disponibile ad avere solo contatti sporadici alle proprie frontiere. Erano disponibili ad accogliere e “cinesizzare” i popoli circostanti, ma non avevano alcun interesse a confrontarsi con altri. Al centro di questo universo c’era la figura dell’imperatore, il “Figlio del Cielo” il punto di contatto e l’intermediario fra il Cielo, la terra e l’umanità intera. Ciò comportava un grande obbligo morale. Egli doveva attenersi ad un comportamento benevolo, alla promozione del Bene ed all’esercizio delle punizioni, ove necessarie, alla corretta esecuzione dei riti, parte fondamentale delle relazioni fra cielo e terra. Era in sostanza il perno della “grande Armonia”. Se l’imperatore si fosse allontanato dal perseguimento della virtù, tutto ciò che sta sotto il cielo sarebbe precipitato nel caos. Catastrofi naturali avrebbero indicato che il disordine era arrivato nell’Universo, la dinastia imperiale aveva perduto il mandato celeste a governare e doveva essere rimossa. Ci sarebbero state ribellioni, guerre civili, fino a che una nuova dinastia avrebbe riportato l’ordine e restaurato la grande, immutabile armonia dell’universo. L’imperatore quindi aveva un ben preciso ruolo politico: era il sovrano supremo del genere umano, al vertice di una struttura sociale che rispecchiava perfettamente la gerarchia sociale confuciana, su cui si basava. Aveva però anche un ruolo “metafisico” in quanto unico punto di contatto con il Cielo di cui era figlio e rappresentante. Immaginate una gigantesca clessidra: alla base sta la “Tingxia” nella “gola” l’imperatore che tutto regola, controlla e armonizza, in nome della parte superiore, la grande armonia celeste di cui è figlio e rappresentante. Ecco quindi perché, fra il XVI e il XVII secolo si arrivò alla divaricazione profonda fra la civiltà occidentale e quella cinese. In Europa nessuno stato era abbastanza forte per imporsi ed essere accettato dagli altri, nessuna religione (o ramo della Cristianità) era così autorevole da imporsi alle altre. Di conseguenza fu giocoforza regolare le relazioni internazionali su un concetto di sovranità giuridica e pari dignità fra stati indipendenti. La Cina invece non aveva nessuno con cui confrontarsi: il suo predominio culturale era considerato quasi come una legge di natura, un’espressione del Mandato celeste. Per gli imperatori non esisteva alcuna forma di antagonismo con i Paesi circostanti, né si sentiva alcun bisogno di fare proselitismo, di diffondere all’esterno i propri principi. I paesi circostanti mandavano dei doni (una sorta di tributo) ed in cambio avevano il diritto di commerciare ai confini del celeste impero. I paesi lontani non li interessavano. Nel 1373 un imperatore della dinastia Ming scrisse

I paesi dell’Oceano Occidentale sono giustamente noti come regni distanti. I loro abitanti arrivano attraversando i mari, ed è difficile per loro calcolare l’anno e il mese d’arrivo. Indipendentemente dal loro numero noi li trattiamo in conformità al seguente principio: chi giunge con umiltà è congedato con generosità”.

E infatti nei documenti ufficiali cinesi i visitatori non arrivavano alla corte cinese per negoziare o discutere di problemi internazionali, ma “per essere trasformati dall’influienza civilizzatrice dell’imperatore” e le udienze rappresentavano “l’affettuoso accoglimento di uomini giunti da lontano”. Può sembrare un paradosso, ma in Cina non esisteva niente di simile a un “Ministero degli Esteri” e le relazioni internazionali erano di pertinenza del “ministero dei Rituali” come quindi parte del grande compito di amministrare la Grande Armonia. E tutto ciò finì solo nel 1842 come vedremo in seguito.

Sorge spontanea ora una domanda, ovvia se ci rifacciamo alla nostra visione della storia e del mondo. Quanto erano grandi e potenti le armate cinesi per soggiogare una parte così grande del globo? Erano sostanzialmente inesistenti rispetto a ciò che esisteva ai loro confini, per altro abbastanza sfumati. Essi non erano presidiati da niente di paragonabile alle legioni romane, insuperabili per strategia e potenza. A nord della Cina vagavano popolazioni semi-nomadi, manciù, mongoli, uiguri e, più in là russi, le cui cavallerie erano in grado di scatenarsi con vaste scorrerie nel mondo agricolo, sonnolento e  regolato cinese. A  Sud e a Est c’erano popolazioni più integrate nel mondo cinese ma con tradizioni militari e identità nazionali precise. Un esempio per tutti il Vietnam. La Cina non era in grado di confrontarsi con tutto ciò. Era un popolo di contadini, governati da un’élite, i mandarini, che non avevano nessun interesse o esperienza militare, ma erano letterati dotati di una profonda conoscenza dei classici confuciani, della poesia e della letteratura. La Cina per tutta la sua storia fu in un certo senso alla mercè di un qualunque esercito straniero. La loro forza era sempre consistita in un’incredibile capacità di mettere in campo una quantità di strumenti diplomatici ed economici tali da persuadere i Paesi confinanti a rispettare il principio della centralità cinese, proiettando nel contempo all’esterno un’immagine di grande maestà, tale da scoraggiare ogni pretesa di invasione stabile; nel contempo mettendo in chiaro la propria mancanza di interesse a conquistare e sottomettere i paesi stranieri. Ove necessario si dovevano

utilizzare i barbari per attaccare i barbari”. “… Se le tribù sono divise una dall’altra, resteranno deboli, e sarà più facile mantenerle sottomesse. Se le tribù sono separate, ciascuna eviterà l’altra e saranno tutte pronte a obbedire. Noi favoriamo l’uno o l’altro dei loro capi e permettiamo loro di combattersi a vicenda. Ciò si conforma al seguente principio di azione politica: le guerre fra i barbari sono di buon auspicio per la Cina.”

L’obiettivo di questo sistema era quindi essenzialmente difensivo ed esso era così profondamente radicato che, quando, all’inizio del XIX secolo i nuovi barbari britannici si affacciarono alle coste cinesi con ben altra potenza militare, i funzionari dell’impero fecero ricorso alle [amp1] [amp2] [amp3] stesse strategie adoperate con successo nei secoli passati: invitare gli altri Paesi europei a intervenire, sperando di alimentare e sfruttare a proprio vantaggio le loro rivalità.

La prossima volta vi parlerò del periodo di guerre e di invasioni che partì appunto nel 1842 e terminò nel 1949 con la presa del potere di Mao. Esso coincise con la crisi più grave del mondo cinese, al quale seguì la rinascita che ci porta fino a Xi Jinping.  Da un certo punto di vista, alla luce di ciò che abbiamo visto oggi, niente di più o di diverso rispetto ad una delle crisi ricorrenti della storia cinese in cui un imperatore perde il favore del cielo e un’altra dinastia gli succede. Essa ristabilirà l’ordine eterno e la grande Armonia regnerà di nuovo sotto il cielo.    Sembrava che la grande storia cinese fosse definitivamente finita, travolta da un mondo diverso, questa volta di matrice occidentale, il Marxismo-Leninismo. Come vedremo però nella seconda parte di questa nota, spero fra un mese, la verità era ben diversa: l’essenza cinese era semplicemente immersa sotto la superficie e cominciò a tornare a galla dopo un rigurgito di lotte interne, la rivoluzione culturale. Oggi possiamo forse dire che la Cina è riemersa e, solidamente agganciata alle sue radici storiche ha ripreso il suo ruolo in forme più moderne solo formalmente. Potrei azzardarmi a dire che con Deng Xiaoping è nata “la dinastia socialista con caratteristiche cinesi”. Non è un caso che nel 2011 a Piazza Tienanmen, sia stata inaugurata una grande statua in bronzo di Confucio. Essa guarda, a qualche centinaio di metri di distanza il grande ritratto di Mao sulle mura della Città Proibita.

Le Olimpiadi di Pechino

23 febbraio 2022

LE OLIMPIADI DI PECHINO

Nei giorni in cui vi scrivo, le Olimpiadi di Pechino sono appena finite e la “bolla” in cui sono stati confinati atleti e accompagnatori si è dimostrata capace evitare un grande focolaio che ne potesse falsare spettacolo e risultati. I giochi si sono svolti senza spettatori, salvo poche eccezioni, ma è incredibile come i mezzi di comunicazione attuali ci abbiano permesso di vedere lo spettacolo di tanti atleti che faticano per anni pur di partecipare e possibilmente aggiudicarsi un trofeo. Da questo punto di vista poco o niente è cambiato rispetto a 2000 anni fa, quando nell’antica Grecia si sospendevano le guerre per permettere a qualcuno di aggiudicarsi un trofeo che avrebbe tramandato il suo nome nei secoli. Oggi la tregua olimpica è stata rispettata ancora una volta nonostante i venti di guerra che soffiano forti in Europa. Non posso non ricordare le parole del “grande vecchio” che 40 anni fa mi “spiegò la Cina”. Egli mi disse “Ci vorranno due generazioni perché la Cina possa avere un ruolo alle Olimpiadi. Nella prima dovremo nutrirci e nella seconda gareggeremo da pari a pari con voi Occidentali”. La sua predizione si è puntualmente avverata come tante altre. Nel 2008 Pechino organizzò le Olimpiadi estive che ci offrirono una dimostrazione di quanto si fosse sviluppata sotto tutti i punti di vista. Oggi, caso pressoché unico, nella stessa città si sono realizzate le Olimpiadi invernali. Fra le due ci sono però enormi differenze: nella prima fummo tutti impressionati dalla grandiosità dello spettacolo inaugurale e degli edifici realizzati, uno per tutti il “Bird Nest”, una perfetta fusione di architettura occidentale e cinese.  Era spiegabile: allora il governo cinese voleva dimostrare di essere arrivato a pieno titolo alla ribalta internazionale. Oggi le Olimpiadi si svolgono in un tono molto più sobrio: il bird nest è stato riutilizzato e lo stadio del nuoto trasformato in stadio del ghiaccio. Da un punto di vista simbolico anche questa scelta ha un significato. La Cina ritiene di non aver più nulla da dimostrare, è sicura di sé, e vuole invece adattarsi alla nuova atmosfera dettata dai due anni di pandemia. Il suo obiettivo è stato dimostrare di essere riuscita ad evitare ogni rinvio dei giochi ma soprattutto di esser capace di portarli a termine in sicurezza. Ci è riuscita. Certo ha preso le stesse precauzioni che applica ormai da due anni nel suo Paese: filtraggio accuratissimo di chiunque entri e isolamento assoluto degli eventuali positivi. Del resto mentre la strategia dei Paesi occidentali è “convivere col virus”, quella cinese è ben più difficile: “eradicare il virus”, una scommessa gigantesca con enormi ricadute anche nell’economia. E’ stato bello vedere i nostri atleti, e specialmente le donne, comportarsi benissimo anche se sono immediatamente affiorate le beghe interne che purtroppo fanno parte del nostro modo di essere. E’ stato infine emozionante vedere i sindaci di Milano e Cortina prendere in consegna la bandiera olimpica e portarla in Italia, sede fra quattro anni delle nuove Olimpiadi invernali. Auguri!

Vorrei ora farvi notare un altro aspetto interessante. Alle Olimpiadi estive gli atleti cinesi hanno partecipato quando erano già presenti da qualche anno nelle competizioni nazionali e internazionali, ma sulla neve? Avete mai visto atleti cinesi in una gara di slalom? A Pechino, come in tante altre città del nord e del centro, è normale vedere giovani e vecchi pattinare allegramente sui laghi gelati. Buona parte della Cina, infatti, è tanto calda e umida d’estate, quanto è fredda durante l’inverno. Ma la neve? Essa è ovviamente presente nelle zone dei ghiacci eterni o in alcune (poche) altre zone. Le precipitazioni nevose però sono abbastanza rare per una questione di venti. Durante l’inverno essi soffiano direttamente dalle zone polari e arrivano nell’area di Pechino senza alcuna significativa catena montuosa che li possa fermare. Peggio: essi attraversano nel loro viaggio il deserto di Gobi estremamente arido, e da qui deriva un clima invernale molto freddo e secco: ghiaccio tanto, ma neve ben poca. Conseguenza; a saper sciare sono molto pochi. Sembra che XI, oltre al desiderio di presentare di nuovo il suo Paese alla ribalta internazionale abbia un altro intento. I Cinesi, ormai abbastanza benestanti, viaggiano moltissimo all’interno del loro immenso Paese (ed anche all’estero) per puro turismo. Allora perché non incentivare il turismo invernale? Sono già molti anni che il governo cinese sta cercando di orientare la propria economia su consumi interni e servizi piuttosto che continuare a essere la fabbrica del mondo, specialmente ora che per questioni sanitarie e geopolitiche gli scambi con l’estero sono e saranno sempre più problematici. I media cinesi ci dicono che già, in vista delle Olimpiadi, in questi anni 300 milioni di persone hanno cominciato a praticare gli sport invernali. Se intendiamo “cominciato” come il fatto che abbiano messo per la prima volta gli sci ai piedi, penso che questo numero sia realistico, anche perché, come ho già detto, tanti cinesi pattinano sul ghiaccio. Del resto i giovani cinesi di oggi sanno ciò che succede nel mondo. La Cina è piena di Mac Donald e KFC, quanto di più lontano possa esistere rispetto al loro modo di alimentarsi. E poi pensiamo al nuoto. Fra i Cinesi della mia generazione ben pochi (eccetto che nelle regioni costiere) avevano mai visto il mare e sapevano nuotare. Oggi Pechino è piena di piscine affollatissime di bimbi anche molto piccoli. La globalizzazione è anche questo e un mio amico cinese cinquantenne fa parte di una squadra di polo (!!!). Il golf poi è diffuso in tutto l’oriente molto di più di quanto non lo sia in Italia.

Voglio occuparmi anche di un altro aspetto. La mia domanda è: perché fare le Olimpiadi a Pechino? Certamente ogni Stato ha piacere di mettere in vetrina la sua capitale in una così grande occasione. Pechino però lo aveva già fatto di recente, in occasione delle Olimpiadi estive che generano sempre un maggior numero di spettatori, in presenza e a distanza, cogliendo un grande successo. Pechino inoltre, come ho detto, è molto fredda durante l’inverno ed altrettanto calda durante l’estate. La neve però è molto poca, una ventina di centimetri l’anno, e appena sufficiente per creare piste sciabili sia pure con l’aiuto dei “cannoni”. Molti hanno parlato, come al solito, dell’asservimento alla Cina  delle organizzazioni internazionali ma dimenticano che l’unico altro concorrente era il Kazakhistan. E allora, perché proprio Pechino? In Cina esistono varie località montuose e innevate, molto più adatte a manifestazioni invernali. Esse sono perfettamente capaci di ospitare la quantità di persone il cui arrivo si prevedeva (prima del Covid) molto numeroso. E anche se la località prescelta avesse avuto bisogno di un profondo adeguamento non sarebbe stato certo un problema per i Cinesi realizzarlo in tempo. Nessuno se lo è chiesto, perché queste “sottigliezze” sono per noi irrilevanti e perché, a causa del Covid, in pochi hanno potuto accorgersene. I giornalisti però avrebbero dovuto farlo.

Cercherò io di spiegarvi il vero motivo per cui  è stata scelta Pechino e lo faccio riprendendo e aggiornando un mio articolo su questo sito nella pagina “La Cina in pillole” il 12 febbraio 2018 con il titolo di JINGJINJI.  Il link per leggerne il testo (senza foto) è qui allegato.

Ecco, molto in sintesi, ciò che scrivevo allora.

Pechino già allora (2018) era contornata da sei anelli anulari ma la città era già andata oltre e vari quartieri suburbani al di fuori erano affollati di persone. Il settimo ring era in fase di avanzata costruzione. Una volta completato (900 km circa) esso avrebbe attraversato la provincia dell’Hebei e inglobato Lanfang, la seconda città di questa provincia. Sarebbe passato non lontano da Tianjin (l’antica Tientsin) e in alcuni punti sarebbe stato  distante 175 km dal centro di Pechino.

Perché? In una parola, per le imponenti migrazioni, le più grandi mai sperimentate nella storia dell’uomo, che sono una caratteristica della Cina. Fino ad ora (2018), a causa di questo fenomeno 500 milioni di persone hanno lasciato le enormi distese agricole per aumentare a dismisura gli agglomerati urbani. Essi si sono arrangiati in gigantesche città dormitorio, ben lontani dai luoghi di lavoro.

Scienziati, economisti, sociologi, climatologi, urbanisti, esperti di trasporti di tutto il mondo si sono occupati di questo evento fondamentale, cercando di metterlo in rapporto a situazioni simili, e poi di muoversi in questo terreno inesplorato per proporre, in associazione con le maggiori università cinesi, la maniera migliore per affrontare e indirizzare questi fenomeni.

Il risultato è che oggi esiste una letteratura sterminata sull’argomento, passando dal concetto di “Mega city” a quello di “urban agglomeration (U.A.)”. Essa si può considerare come l'aggregazione di un numero considerevole di città di dimensioni e caratteristiche diverse con al centro una o due Mega Cities. Le U.A. si sviluppano in aree economicamente evolute, con reti di trasporti avanzate e con grandi prospettive di crescita. Fortunatamente a Pechino le infrastrutture stradali sono state realizzate prevedendo il futuro. Essa, come sa chi ci è stato almeno una volta, è costruita secondo un sistema radiale di vie di scorrimento che incrocia sei anelli anch’essi di scorrimento rapido. E’ necessario quindi muoversi su sentieri inesplorati almeno su questa scala e i provvedimenti di oggi (2018) avranno conseguenze (positive o negative) per molti decenni. A partire dal 1980, due grandi leaders cinesi legarono il loro nome alla creazione di giganteschi aggregati urbani: il delta del fiume delle Perle con al centro Canton (Deng Xiaoping) e il delta del fiume Yangtse con al centro Shangai (Jang Zemin). Oggi (2018), gli strateghi dello sviluppo cinese stanno affrontando un’impresa a lungo sognata: trasformare la regione intorno alla Capitale integrando insieme Pechino, Tianjin e la provincia di Hebei, un sistema che include quasi 150 milioni di abitanti su un’estensione analoga a quella del Messico. Si prevede (2018) l’inizio dei lavori di nuove linee ferroviarie ad alta velocità, e di un nuovo aeroporto a sud di Pechino (sarà a regime il più grande del mondo) che si aggiungerà a quello che tutti conosciamo a nord est di Pechino (oggi il secondo del mondo), e a tutti gli altri esistenti nell’area.

Tutto questo ha già un nome, JingJinJi e una data per sperare di far vedere i primi risultati, le Olimpiadi invernali del 2022 centrate appunto su tre città della JingJinJi: Pechino, Yanqing e Zhangijakou.

Ecco quindi il vero motivo della località scelta per le nuove Olimpiadi : inaugurare e presentare al mondo la “Città del futuro” quella che dovrà essere di esempio per gli altri ed essere il centro della Cina e del mondo intero. Ricordiamo che il nome della Cina in cinese è ZhongHua che vuol dire impero di centro, il centro del mondo. Essa deve destare nei visitatori stranieri la stessa sensazione che destava la Roma imperiale quasi 2000 anni fa.

Pechino, come tutti sappiamo, ospita un gigantesco apparato di governo e le sedi delle più grandi imprese industriali e commerciali, è un grande centro intellettuale con le sue grandi università etc. Tianjin ha un grande porto da cui partono la gran parte delle merci prodotte nel nord della Cina. Ma non solo, ha una grande capacità industriale: una per tutte è la grande area di assemblaggio degli Airbus, l’unica al di fuori dell’Europa, da cui escono molti degli aeroplani destinati al gigantesco mercato asiatico. Hebei è una grande provincia con due caratteristiche: una grande concentrazione di industria pesante, specialmente la produzione di cemento, di materie plastiche e di una quantità inimmaginabile di acciaio, e inoltre quella di essere una gigantesca “area dormitorio” di lavoratori che ogni giorno si muovono avanti e indietro verso il loro posto di lavoro nell’area di Pechino. Secondo il Paulson Institute questa provincia è in una posizione ideale per creare un polo di industrie hi-tech e delle energie rinnovabili. Questo è un aspetto importante perché la riduzione della produzione di acciaio in cui la Cina si è impegnata e che è già iniziata comporterà la perdita di numerosi posti di lavoro che dovranno essere sostituiti da altri. Una parola sul Paulson Institute: è un importante “think tank“ americano basato a Chicago e con filiali in tutta l’America. Una sua sede in Cina, in collaborazione con le università e i centri di ricerca locali, rappresenta uno dei “suggeritori” per lo sviluppo e la pianificazione cinese e pubblica con frequenze più che annuali rapporti sul Paese. Ne ho letti tre, interessantissimi, proprio sul problema di JingJinJi.

Fin qui abbiamo visto tutto positivo, ma esistono anche notevoli difficoltà e partiamo da quelle "psicologiche”. Come si evince da una bella pubblicazione dell’Economist gli abitanti di JingJinJi hanno molto poco in comune. Gli abitanti di Pechino hanno un enorme senso di sé, della loro storia e della loro importanza ed hanno storicamente oscurato il ruolo di Tianjin, nonostante anch’essa abbia lo status di città posta sotto il controllo diretto del governo centrale. Tianjin, oltre a essere un grande porto diverrà il polo di ricerca della JingJinJi. Hebei, nonostante l’importanza delle sue industrie è considerata da entrambe come la “cugina povera”, poco sofisticata e capace solo di generare inquinamento. Non esistono significativi legami culturali e perfino linguistici e alimentari fra le tre.

Gli obiettivi prefissati sono stati sostanzialmente  raggiunti, e la struttura generale è assolutamente visibile per chi riesce ad entrare a Pechino senza essere residente. La parte più interessante è proprio la città di Pechino con le sue “due ali”: il centro sussidiario di Tongzhou e l’area di Xiongan. Come abbiamo detto, in linee generali Pechino deve rimanere il centro della politica nazionale, della cultura e dell’innovazione scientifica. Tutte le altre funzioni “non capitali” devono essere spostate altrove.

Le grandi infrastrutture

Chiunque abbia mai visitato Pechino non può evitare di notare le larghissime strade di scorrimento che attraversano e circondano la città in cerchi concentrici. Il suo stupore aumenta venendo a sapere che esse sono state realizzate quando sulle strade circolavano solo biciclette. Erano tantissime, ma pur sempre biciclette. Solo poche automobili ufficiali con le tendine rigorosamente abbassate e alcuni piccoli camion emergevano in quel fiume di biciclette. Questa capacità di essere sempre lungimiranti si è vista con la creazione di una vastissima rete ferroviaria ad alta velocità, e ora nella realizzazione di JingJinji. Cominciamo quindi da un secondo aeroporto, Daxin, già in funzione da qualche anno nella zona a sud-ovest della città di Pechino, in posizione diametralmente opposta al Capital airport che resterà in funzione. Mentre quest’ultimo è il secondo al mondo per capacità, il Daxin airport sarà il primo al mondo una volta raggiunta la sua configurazione finale. Anche questo è frutto di una cooperazione internazionale. E’ stato infatti progettato dagli architetti britannici dello studio Zaha Hadid Architect e dal gruppo francese ADP, in collaborazione con il Beijing Institute of Architectural Design. La cosa migliore per descriverlo è un breve filmato di cui vi allego il link. Voglio solo aggiungere una particolarità: grazie alla sua conformazione “a stella marina”, anche il gate più lontano è raggiungibile in una decina di minuti a piedi (600 metri).

Resta da parlare del sistema di trasporti, fattore essenziale perché tutta questa grande iniziativa abbia successo.   Il nuovo e il vecchio aeroporto sono collegati da ferrovie ad alta velocità con Pechino, con Xiongan, Tianjin Tongzhou Xiongan e gli altri centri abitati dell’area. La rete della metropolitana di Pechino è stata allargata per includere tutta la JingJinji come pure una rete di strade a rapido scorrimento e ovviamente il settimo ring è stato completato. Anche questa volta lascio parlare qualche filmato.

Questo invece mostra le tecnologie spesso innovative utilizzate per accelerare in lavori. In questo caso si sfrutta l’esperienza ottenuta nella realizzazione del collegamento rapido fra Hong Kong, Zhuhai e Schengen,

Tongzhou, la prima delle ali. L’11 gennaio 2018 è stata innalzata la bandiera all’ingresso della nuova sede della municipalità di Pechino. Dopo 70 anni essa si è spostata dalla sua collocazione originale che era al centro della grande metropoli. Nel corso dell’anno si sono gradualmente spostati tutti gli uffici, realizzando quella che era la “mission” principale della nuova “ala”. I nuovi uffici sono raggiungibili in mezz’ora in auto dal settore est del terzo ring (semi-centro di Pechino).

L’area è comunque raggiunta da quattro linee di metropolitana e due ferroviarie. Ma andiamo con ordine. Tongzhou si trova a est di Pechino fra il terzo e il sesto ring e confina con la città di Lanfang della provincia di Hebei. È attraversata da tre fiumi, e posta all’estremità nord del “Grand Canal” che unisce Pechino ad Hangzhou. Tongzhou ha un’origine antica, fu fondata infatti prima di Cristo ma esistono tracce di insediamenti umani sin dal Neolitico. Essa è stata da sempre la porta d’ingresso orientale per i viaggiatori che arrivavano secoli addietro a visitare il centro dell’impero. È anche conosciuta inoltre per “gli incidenti del ponte Marco Polo” nel luglio 1937 che segnarono l’inizio della Seconda guerra mondiale, prima quindi della data di inizio sul fronte europeo. In quell’area, infatti, le truppe del Kuomintang attaccarono e sopraffecero la guarnizione giapponese. Sempre allo scopo di decentrare il centro urbano di Pechino, Tongzhou si sta gradualmente trasformando in un grande centro degli affari con numerose società nazionali e internazionali che si spostano nella città satellite, nella zona del Grand Canal business district. Molto interessante è il fatto che alcuni grandi shopping Mall si stanno spostando a Tongzhou vista la facilità di arrivarci e soprattutto di trovare comodamente parcheggio per chi arriva in auto. Non bisogna dimenticare che in quest’area sorge da tempo il villaggio degli artisti di Song Zhuang, dove vivono, lavorano e espongono molti artisti contemporanei cinesi. Infine è stato inaugurato “l’Universal Studios Beijing Resort” che farà concorrenza alla Disneyland di Shanghai. La cosa più entusiasmante però è la quantità di verde in cui è immersa la città. Io non ho avuto modo di vederla (merito del covid) ma vi allego a questa nota alcuni filmati Interessanti. Il primo è un brevissimo scorcio delI’area del Grand Canal completamente rinnovata e, direi, anche ripulita.

Questo invece è un lungo giro in bicicletta che parte da un grande shopping mall, attraversa la zona commerciale, quella degli affari  e arriva fino alla sede della municipalità. Da oltre un’ora dell’originale l’ho ridotta a 8 minuti. Vi invito a vederlo fino in fondo, anche saltando qualche punto: ne vale la pena. Anche chi ha visto la Pechino moderna dei grattacieli, si stupirà di quanto diverso sia questo “sobborgo” di circa un milione di abitanti

Xiongan, la città del nuovo millennio

Il primo aprile 2017 è stata annunziata per la prima volta in maniera ufficiale la decisione di realizzare la nuova area di Xiongan. Essa è stata ufficialmente definita “un piano per il nuovo millennio, un evento nazionale”. Fino a quel momento, nessuno, nemmeno il governo locale, ne era stato informato. Xi Jinping ha personalmente voluto la creazione di Xiongan e ne segue da vicino la realizzazione. Come il Grand Canal è il punto focale di Tongzhou, il lago di Baiyangdian, fino a pochi anni fa un’area paludosa ed estremamente inquinata, ne diventerà il cuore pulsante. Tutta l’area è stata bonificata e il lago sarà, al suo completamento, uno dei più grandi dell’intera Cina. Tutta l’area all’intorno sarà adibita a parco naturale. Chapman Taylor che ha partecipato alla definizione del masterplan la definisce una città tecnologicamente avanzata e ambientalmente sostenibile. Essa s’ispira al concetto di armonia della tradizione cinese che integra il centro urbano e la natura per creare una città giardino salutare, sostenibile e bella. L’urbanistica del distretto centrale assicura che ogni luogo utile ai cittadini possa essere raggiunto al massimo nell’arco di 15 minuti a piedi. Tutti i servizi educativi, commerciali, medici, culturali e sportivi saranno perfettamente raggiungibili in questo modo. Il distretto di Xiongan sarà trasformato in un hub ad alta tecnologia e vetrina delle ultime innovazioni della Cina. Vi si stabiliranno aziende impegnate in tecnologia dell’informazione, biotecnologia, nuove forme di energia ecocompatibili, nuovi materiali e si sono definiti incentivi e vantaggi di varia natura per promuoverle. I lavori sono in corso con una speditezza che la Cina ci ha già abituato a vedere e anche in questo caso vi allego alcuni filmati e fotografie che possono far capire meglio come si presenterà, una volta completata, questa città del futuro, opera di una grande collaborazione fra scienziati e urbanisti occidentali e cinesi.

Il primo è una descrizione visiva di ciò che la città sarà nel 2035

Il secondo è più vicino ad oggi

Chiudo con una considerazione amara. Certamente nessuno di noi occidentali, con i nostri valori atavici, e anche con i nostri difetti, potrebbe condividere un sistema politico in cui non esistono la libertà di parola e la libertà di stampa. Quel sistema però ha sollevato dalla fame 800 milioni di persone, si è liberato dall’onta e dal disonore subiti nei 150 anni di occupazione militare delle potenze occidentali e giapponesi (senza però dimenticarle), ed è oggi di nuovo fiero di se stesso, della sua storia e della sua tradizione. I Cinesi hanno recuperato i loro valori storici e il neo confucianesimo costituisce di nuovo una delle basi del loro vivere civile. Tutti i sondaggi seri (anche occidentali) dimostrano che la grandissima maggioranza della popolazione accetta e sostiene il sistema di governo attuale. Esso, bene o male, dimostra di avere a cuore le richieste fondamentali della popolazione: miglioramento del sistema pensionistico e della sanità pubblica, superamento graduale del sistema dell’hukou per la definizione della residenza, riduzione della forbice salariale e più in generale delle diseguaglianze economiche. Quest’ultimo punto fa sorridere considerando che molti in occidente parlano di comunismo in Cina. Al contrario tutto il mondo occidentale è in crisi profonda. I giovani cinesi sorridono al futuro quanto i nostri lo guardano con preoccupazione se non con disperazione. E allora, lasciamo perdere i tentativi inutili di imporre i nostri valori, occupiamoci, noi e loro, di risolvere i nostri problemi interni senza occuparci di chi è da noi estremamente diverso. Viviamo in pace o, se proprio non ce la facciamo, separiamoci, ignoriamoci. Soprattutto smettiamola con la nostra pretesa di essere i giudici e i regolatori di tutto il mondo. Ma veramente pensate che le centinaia di basi americane nel Pacifico siano difensive e servano a proteggere gli USA e noi da un attacco militare cinese? O non servano piuttosto a mantenere la nostra posizione imperiale e garantire i nostri commerci in quella parte del mondo?  

La posizione di Tongzhou e Xiongan rispetto a Pechino e Tianjin

La posizione di Tongzhou e Xiongan rispetto a Pechino e Tianjin

L'inquinamento generato in JingJinJi e la ricaduta sulla Cina prima delle drastiche modifiche o chiusure di interi stabilimenti

L'inquinamento generato in JingJinJi e la ricaduta sulla Cina prima delle drastiche modifiche o chiusure di interi stabilimenti

La ripartizione delle attività

La ripartizione delle attività

Tutti i punti raggiungibili in mezz'ora

Tutti i punti raggiungibili in mezz'ora

Il 7° Ring e all'interno gli altri 6 che circondano Pechino

Il 7° Ring e all'interno gli altri 6 che circondano Pechino

Il nuovo aeroporto

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HONG KONG: CHI SE NE RICORDA?

20 giugno 2021

Hong Kong: chi se ne ricorda?

Una delle caratteristiche più tipiche del mondo di oggi è la facilità, o meglio l’ineluttabilità con cui notizie che infiammano l’opinione pubblica per qualche giorno improvvisamente scompaiano al sopraggiungere di un altro argomento destinato a sua volta a spegnersi come un fiammifero. E’ il caso di Hong Kong. Le manifestazioni di piazza, gli scontri fra studenti e polizia del 2019, riempirono i notiziari di tutto il mondo ed io ne scrissi moltissimo; poi arrivò il Covid… Improvvisamente quando la Cina impose la Legge sulla sicurezza nazionale se ne riparlò, ma non faceva granché notizia, non si vedevano scontri di piazza, e subito scomparve.

E invece i problemi, quelli veri che non fanno notizia ma cambiano la vita dei popoli purtroppo restano!

Oggi voglio riprendere l’argomento e riparto da alcune frasi che scrissi in quegli articoli. Per chi fosse interessato ad approfondire, i principali fra essi risalgono al 17 agosto, 22 settembre, 2 dicembre 2019 etc, e si possono ancora trovare nel mio sito www.amacripellizzeri.it cliccando nel menu la pagina “La Cina in pillole” dove è raccolta anche questa nota. Ve ne riporto qualche stralcio

Devo anzitutto fare una confessione: amo Hong Kong. La ho amata dal primo momento che vi sono atterrato oltre 40 anni fa sfiorando i grattacieli che incombevano a sinistra e a destra e non ho mai smesso di amarla. Io penso che, più di New York, Hong Kong sia il simbolo del mondo, il punto di scontro (o di incontro) delle due grandi civiltà su cui si è basato lo sviluppo di questo nostro piccolo globo. Ci sono stato un’infinità di volte ed ogni volta ho scoperto qualcosa di nuovo. Ricordo quando il 31 dicembre1980, quasi a mezzanotte, vi atterrai con mia moglie. Eravamo partiti da una tristissima Pechino, da un aeroporto deserto, ed arrivammo in una città festante. Gli altissimi edifici erano coperti da decorazioni luminose gigantesche raffiguranti i simboli del nostro capodanno, Babbo Natale con le renne, alberi di Natale scintillanti di luci etc. Passando per strade affollatissime trovammo a stento un tavolo nel roof garden dello Shangri-La dove aspettammo il Nuovo anno; l’indomani pomeriggio assistemmo in diretta in televisione, come ogni anno da Roma, al concerto di Capodanno a Vienna. Ma Hong Kong non era solo Occidente; bastava andare a Aberdeen e si vedevano i Sampan e le giunche abitate dai pescatori dove su lunghi fili stesi da poppa a prua erano appesi contemporaneamente abiti ad asciugare e pesci a seccare. Se poi tornavi a Kowloon potevi nel pomeriggio prendere il tè nel salone decorato con stucchi ottocenteschi del Peninsula ascoltando dal vivo un quartetto d’archi che suonava musica classica. Se sceglievi invece di sederti al tramonto accanto alle gigantesche vetrate dell’Intercontinental hotel (il nome di oggi) potevi assistere all’illuminarsi dei grattacieli dell’isola di Hong Kong man mano che il buio avanzava e nel canale passavano grandi navi, chiatte da trasporto e di nuovo giunche simili a quelle che da qualche secolo solcavano quelle acque. Ed era bello perdersi nelle viuzze che circondavano Nathan Road dove si vendeva di tutto in piccoli negozi cinesi fra una moltitudine di gente vociante e accanto ad essi altri negozi dove si vendevano gli ultimi ritrovati della tecnologia e gioielli di tutti i tipi (spesso artefatti nelle maniere più fantasiose) per i turisti occidentali. Incontravi professionisti vestiti come nella City di Londra accanto a cinesi con i loro pantaloni larghi, e tutta questa gente correva di qua e di là come colonne di formiche. In fondo, dietro i monti, l’immensa Cina misteriosa…. Negli anni tutto ciò è andato lentamente svanendo. Poco a poco, dopo il passaggio alla Cina, qualcosa cambiava lentamente ma inesorabilmente; Hong Kong diventava più sciatta, più sporca, meno vitale, e quell’immagine di città pazza e protesa in avanti lentamente spariva mentre una certa malinconia diventava la sensazione dominante. E’ difficile da spiegare, ma a Hong Kong, ad ogni istante, ad ogni angolo di strada passavi in un attimo da un occidente già post industriale ad un Oriente che correva instancabilmente qua e là, proteso ad incrementare i suoi commerci. Secondo una definizione che a me piace molto, HK gode di un “cultural edge effect”, ovvero è sul crinale di due culture diverse. HK ha una legge britannica, una cultura e un’etica del lavoro cinese, una burocrazia britannica e via di seguito. Tutto ciò, la presenza di culture così diverse, ha plasmato un equilibrio delicatissimo e molto pragmatico di rapporti sociali. Chi è nato a HK o ci vive da molti anni è cosciente di questa specialissima situazione e del fatto che se questo confine, questa miscela dovesse scomparire, HK finirebbe di esistere. Se i Cinesi riusciranno a fagocitare HK essa diventerà una qualsiasi, e non la più importante, delle decine di megalopoli cinesi. Ma vale anche il viceversa: se si riuscisse ad espellere l’influenza della cultura cinese da HK e trasformarla in una città con una visione della vita di tipo anglosassone, essa morirebbe perché la sua anima verrebbe distrutta e sarebbe del tutto inutile, dipendente com’è dalla Cina per tutto, inclusa acqua ed energia elettrica… Nel suo profondo, lo scontro oggi attraversa le famiglie e pone uno contro l’altro genitori e figli, interpreti di due diverse visioni del futuro. I giovani infatti dicono: noi siamo la prima generazione che vive peggio nei nostri padri; anche se riusciremo a sopravvivere a questa crisi progressiva, cosa succederà nel 2047? E i loro genitori dicono: e se invece, per ipotesi assurda HK diventasse indipendente sotto l’egida occidentale come potremmo sopravvivere? Diventeremmo una delle tante China Towns che oggi esistono nel mondo, in una città che si avvierebbe alla morte? ...  HK appartiene da sempre alla Cina ed è cinese storicamente, etnicamente, culturalmente e linguisticamente. Nel 1842 fu conquistata con le armi dall’Inghilterra che ne fece una sua colonia. Margareth Thatcher, nell’ambito del dissolvimento dell’impero britannico si accordò con Deng Xiaoping per la restituzione della sua ultima colonia alla madre patria e la città ritornò cinese il primo ottobre 1997. L’accordo ancora in vigore prevede un periodo transitorio di 50 anni in cui il suo status, rispetto alla madre patria, sarà quello di “un Paese, due sistemi”. In sostanza, OK con la cessione torna ad essere immediatamente cinese, ma fino al 2047 resterà a HK il sistema giuridico, sanitario, il welfare, la libertà di parola, di manifestazione pacifica, di stampa, la libertà di movimento etc. che erano in vigore nel periodo coloniale. Fu concordata una costituzione che dava a HK un embrione di democrazia di cui non aveva mai goduto, neanche sotto la dominazione britannica. Ve ne cito alcuni articoli.

- Art.1 La regione amministrativa speciale di Hong Kong (RASHK) è una parte inalienabile della RPC

- Art.2 Il Congresso Nazionale del Popolo (Pechino) autorizza RASHK ad esercitare un alto grado di autonomia ed esercitare un potere esecutivo, legislativo e giudiziario indipendente, in accordo con le disposizioni di questa Basic Law

- Art. 5 Il sistema e le politiche socialiste non saranno praticate nella RASHK ed il precedente sistema capitalista e modo di vita rimarranno inalterate per 50 anni

- Art.12 La RASHK è una regione amministrativa locale della RPC, con un alto grado di autonomia e dipende direttamente dal governo centrale

- Art.14 Il governo centrale è responsabile della difesa della RASHK. Il governo della RASHK è responsabile dell'ordine pubblico nella regione. Le forze militari cinesi residenti nella RASHK per la difesa non interferiscono negli affari locali della Regione. Il governo della RASHK può, quando necessario, chiedere al governo centrale assistenza da parte del contingente militare per il mantenimento dell'ordine pubblico ed in caso di disastri naturali.

Non c’è alcun dubbio quindi che HK sia parte della Cina, molto di più di quanto la Catalogna sia parte della Spagna da cui ha una lunga storia indipendente ed una lingua diversa. E’ una situazione inoltre completamente diversa rispetto a quanto possano essere state l’Ungheria o la Cecoslovacchia, stati storicamente sovrani che tentarono di ribellarsi alla sostanziale occupazione sovietica…. Alla fine degli anni novanta HK era una città ricca: seconda al mondo per PIL pro capite, settima per riserve valutarie, terza per esportazione di prodotti tessili. Allo stesso tempo però era oltre il settantesimo posto nella graduatoria delle disuguaglianze economiche e sociali (una posizione da terzo mondo). Inoltre l’industria era in grande deperimento per la concorrenza prima della Corea, poi della Tailandia ed infine di Cina e Vietnam che avevano un costo più basso della manodopera. Il sistema elettorale vigente è molto complicato, ma, per darvene un’idea, vi accenno in maniera semplificata all’elezione del governatore che ha poteri amplissimi. Egli/Ella viene eletto da 1200 grandi elettori divisi in quattro settori di 300 elettori ciascuno. Il primo settore è diviso in 17 sub-settori che rappresentano le più importanti categorie industriali e commerciali; il secondo rappresenta le grandi professioni in dieci sub-settori; il terzo ha cinque sub-settori (agricoltura e pesca, lavoro, religioni, welfare sociale, sport e cultura); l’ultimo con sei sub-settori rappresenta i politici (4 sub settori e 183 grandi elettori) mentre gli altri due sub-settori esprimono 117 grandi elettori eletti a suffragio universale. E’ quindi chiaro che il governatore è espressione delle classi ricche e potenti, fra cui i grandi immobiliaristi, che hanno in pugno la vita di HK e proteggono i loro interessi. Il popolo, la classe media ed i poveri, non ha di fatto voce in capitolo. Di questo aspetto fondamentale e che sembra impossibile in una regione pur sempre parte della Cina socialista, i media non fanno cenno e come vedremo è invece una delle due cause fondamentali di tutto. E’ purtroppo questo il frutto avvelenato lasciato alla fine del dominio britannico durante il quale non era mai esistita una costituzione.

Negli anni ci sono state varie manifestazioni, più o meno violente, fino al 2019 quando una motivazione sostanzialmente secondaria portò in piazza enormi moltitudini. Sarebbe stata una situazione come tante in passato, fino a quando non furono pronunciate le parole “libertà” e “indipendenza” con successivi oltraggi alla bandiera e agli altri simboli dello stato Cinese. A noi sembra impossibile, i nostri uomini politici hanno spesso fatto strame del tricolore, ma siamo in un mondo diverso, si era raggiunto il limite e questo venne addirittura superato quando alcuni giovani invocarono il supporto degli stranieri e furono ricevuti da uomini politici occidentali. Vi aggiungo, sempre dai miei vecchi articoli, ciò che si diceva a quel tempo.

- 3 agosto. Ex direttore ed ora editorialista di SCMP. Molti vedono un grande pericolo che l’esercito cinese (PLA) intervenga a HK. Tale preoccupazione è aumentata dopo il 21 luglio quando i dimostranti hanno deturpato lo stemma cinese esposto sull’edificio della rappresentanza del governo centrale. Il capo del contingente del PLA di stanza a HK ha dichiarato che attacchi di tale violenza non saranno tollerati e che il PLA è determinato a proteggere la sovranità della Cina e salvaguardare la stabilità di HK. Nonostante ciò le proteste stanno crescendo… E ‘purtroppo molto più probabile invece che HK divenga un altro anello della contesa fra USA e Cina, come dimostra la presenza di diplomatici americani fra i dimostranti.

- 8 agosto Michael Chugani, giornalista televisivo. Ci stiamo rapidamente avvicinando al Primo ottobre. Non è un anniversario come un altro, Pechino sta preparando il settantesimo anniversario della Repubblica con grandi celebrazioni il cui tema è il Patriottismo. HK sarà il guastafeste? Pechino ha sofferto quando il suo emblema nazionale è stato deturpato e come se non bastasse, è stata umiliata quando una sua bandiera è stata buttata in mare. Ricordate che i Cinesi sono stati storicamente umiliati dalle potenze occidentali, oggi la Cina reagisce ad ogni offesa alla dignità nazionale.

- 10 agosto David Dodwell osservatore politico, Carrie Lan ha ritenuto di dare priorità alla legge sull'estradizione. Sarebbe stato meglio che si fosse dedicata a trovare lo spazio per progetti di edilizia pubblica a HK, usando provvedimenti di emergenza se necessario. Mi rendo conto che oggi è necessario porre termine alla violenza dell'ultimo periodo, ma per far ciò bisognerebbe lanciare allo stesso tempo un programma di riforme costituzionali capaci di rispondere ai bisogni reali dei cittadini. Nel frattempo bisogna dare un chiaro segnale che si sta ponendo rimedio al piu' grave dei problemi: quello della casa. Una task force messa in piedi nel 2018 dopo anni di oblio ha chiaramente descritto i termini del problema. Ora, in una situazione di chiara emergenza, il governo ha il dovere di usare i suoi poteri in casi di questo genere per rimuovere gli ostacoli che sono evidenti. Dagli studi fatti, risulta che sono necessari 1200 ettari di aree abitative di cui 800 immediatamente. Sono state ampiamente trovate soluzioni possibili a questa emergenza, ma tutte respinte dal CEO per problemi burocratici relativi agli espropri dei proprietari, per lo più immobiliaristi il cui unico obiettivo è il proprio guadagno…. Nelle attuali circostanze emergenziali Carrie Lan dovrebbe mettere da parte i suoi progetti grandiosi e dedicarsi a progetti più realistici scontrandosi con chi si oppone per il proprio interesse personale. Gli immobiliaristi dovrebbero essere obbligati a utilizzare i loro terreni oppure cederli. Si sono arricchiti abbastanza e non e' più tempo di speculazioni

- 13 agosto Winston Mok Uomo d’affari privato. Perché’ la gioventù di HK e’ così infuriata? La legge sull’estradizione è stata dichiarata morta da tempo ma la situazione peggiora ogni giorno. In realtà, al di là dei problemi contingenti, sono i problemi economici a trainare la disperazione e la disillusione della generazione più giovane. Di solito la gioventù nei Paesi in via di sviluppo si aspetta una standard di vita migliore di quello dei propri genitori…  Una volta una laurea era un passaporto per un ingresso decoroso nella middle-class, mentre oggi anche i laureati devono affrontare un futuro incerto. Tutto ciò in un mondo in cui l’uno per cento della popolazione prospera a spese della middle class. La specificità di HK consiste però nel fatto che, a differenza delle altre nazioni, per un giovane è assolutamente impossibile possedere una casa. In un paese dove anche un medico altamente specializzato fatica ad avere una casa, c’è certamente qualcosa di sbagliato. Hong Kong è una bomba innescata. Tutto ciò risale al periodo coloniale, e Pechino, che dovrebbe essere un Paese socialista, ha totalmente fallito nel governare la classe media e quella dei lavoratori. HK è oggi un esperimento paleo capitalista fallito con gigantesche disparità sociali, e la gioventù non può essere pacificata senza una rivisitazione del contratto sociale.

Vi cito a questo proposito due interviste interessanti. Nella prima un medico, abbastanza avanti nella carriera, diceva di non essere in grado di acquistare un appartamento ed i suoi infermieri avevano grossi problemi per trovare un alloggio purchessia. Nell’altra, in un certo senso più commovente, un signore diceva “in molti Paesi al mondo le ricchezze del sottosuolo, il petrolio per esempio, appartengono allo stato che poi ne da lo sviluppo in concessione. Il nostro petrolio sono le aree fabbricabili, che il governo dovrebbe espropriare per lanciare un grande piano di case popolari”. Quando i dimostranti chiedono “democrazia” non a caso assieme a “suffragio universale” essi non chiedono diritti che già hanno ma semplicemente di poter influire sulle decisioni del governo, essere cittadini e non sudditi, come li riduce un sistema elettorale che risale al governo inglese.

Il Guardian (inglese), in un articolo del 16 settembre 2019 intitolato La verità circa il governo britannico a HK scrive “<I giovani, oggi> guardano l’UK come una madre superiore e benevola che ha il dovere di proteggere la sua ex colonia nei riguardi della madrepatria Cina. Nonostante non l’abbiano mai sperimentato, la nostalgia per l’impero è altissima. Vista come un’età dell’oro in cui HK era al suo top e non c’era alcun pericolo di interazione con la madrepatria, percepita come inferiore politicamente e socialmente.” …. “La realtà era molto diversa: HK fu costruita sulla base di una chiara gerarchia razziale in cui i Bianchi Inglesi e i loro interessi finanziari erano prevalenti su quelli dei locali, che erano considerati come manodopera economica e conveniente” … “Dopo il consolidamento della PRC negli anni ’60 il fervore della ribellione prese piede fra i giovani che soffrivano il loro status di colonia britannica come una differenziazione razziale.” … “Una serie di dispute per le cattive condizioni di lavoro in una fabbrica determinarono una violenta reazione della polizia, che a sua volta determinò una serie di proteste della sinistra contro il governo britannico al grido di Abbasso l’imperialismo britannico” …. “Il governo rispose con la legge marziale, accordò poteri eccezionali alla polizia, bandì le pubblicazioni, chiuse le scuole…  Circa 5000 persone furono arrestate e 36 uccise”, …” E’ quindi ben strano che il governo britannico si sia posto su un piedistallo ed abbia sostenuto che il governo locale e la PRC non siano credibili nella loro capacità di badare al territorio”. All’inizio di questa nota ho riprodotto alcune fotografie dei disordini dell’epoca.

Ho cercato di darvi un’idea della tesi che cercavo allora di dimostrare. Alcuni giovani, con un’idea molto idealizzata e parziale della realtà, ipotizzavano una qualche forma di transizione che avrebbe portato ad una certa indipendenza. Essi, assolutamente in buona fede, non si rendono conto che ciò è impossibile e HK verrà integrata gradualmente nel sistema cinese. Secondo me ciò sarebbe avvenuto realisticamente dopo il 2047, quando la stessa cosa avverrà per Taiwan e l’irredentismo che accomuna tutto il popolo cinese avrà raggiunto, dopo due secoli, il suo obiettivo storico. Del resto l’obiettivo di HK, Taiwan e in un certo senso anche Pechino è una forma di governo ispirata a Singapore, vale a dire un sistema di tipo sostanzialmente dirigista, verniciato di democrazia di tipo occidentale, in cui le capacità individuali e l’esperienza fanno premio sul resto. Purtroppo la politica internazionale è un tritacarne che non bada a niente e a nessuno e si è impadronita di questi problemi, come del Covid, e li usa come proiettili in una guerra senza quartiere. Questo è forse oggi il problema principale e potrebbe condurre il mondo a disastri immensi e sanguinosi. Prima di arrivare ad oggi invito di nuovo chi è interessato a questi argomenti a leggere i miei articoli precedenti.

E torniamo ad oggi.

Si parla poco di HK, le dimostrazioni vengono bloccate prima ancora che nascano e apparentemente il sistema è tornato alla normalità. Sono però state effettuate due modifiche importanti alle leggi fondamentali di HK

1                    La costituzione di HK prevedeva l’approvazione di una legge sulla sicurezza nazionale di cui si era parlato varie volte, ma per 23 anni non era mai stata approvata nel parlamento di HK. Dopo la fine delle agitazioni il Parlamento cinese con una procedura di dubbia costituzionalità ha approvato e sostanzialmente imposto l’introduzione a HK di questa legge. In base ad essa vengono oggi giudicati tutti i tentativi di “sovversione” commessi durante gli eventi passati e quelli successivi. <Vedi il mio articolo del 20 luglio 2020 sempre nella stessa pagina del mio sito.>

2                    E’ più recente invece la modifica della legge elettorale. Se ne era discusso tante volte negli ultimi dieci anni ma essa non era mai passata per l’ovvia opposizione delle classi dominanti, ma anche perché il governo centrale pretendeva di avere voce in capitolo nella selezione dei candidati eleggibili per evitare che gli “indipendentisti” entrassero nel governo in violazione nell’articolo 1 della costituzione di HK. Si era bloccato tutto per faide interne fra i fautori della democrazia in cui la fazione indipendentista era diventata maggioritaria.

Se la legge elettorale era complessa, questa è ancora più complicata. Ve la risparmio, ma è bene dire qualcosa. Sicuramente sia fra i membri del comitato dei “grandi elettori” che fra quelli del parlamento eletto ve ne sarà un maggior numero in qualche modo legati a Pechino. Gli altri membri continueranno ancora a rappresentare le corporazioni dominanti a sfavore di un vero suffragio universale che sarà ancora più sfavorito di prima. Era del resto prevedibile che la “classe alta” avrebbe fatto di tutto per proteggere i propri interessi di classe di fronte alle differenze interne dei veri democratici che avevano poco spazio e ne hanno ancora meno.

Un aspetto fondamentale è però la questione del giuramento. In passato gli eletti dovevano fare il giuramento di fedeltà alla costituzione come avviene in tutti i Paesi del mondo. A HK nelle elezioni del 2016 molti eletti giurarono un testo molto diverso da quello ufficiale oppure talvolta non giurarono del tutto senza particolari conseguenze. Oggi la situazione è molto diversa e secondo me sarà di fatto la maggiore differenza rispetto al passato. Esso si basa su “un’interpretazione autentica” dell’articolo 104 della costituzione di HK che in concreto stabilisce che nell’assumere l’incarico è obbligatorio in accordo con la legge “giurare di sostenere la costituzione della regione amministrativa speciale di HK della repubblica popolare cinese” e portare “fedeltà alla regione amministrativa speciale di HK della repubblica popolare cinese”. “Il giuramento obbliga ad agire in conformità con tutti gli aspetti legali di esso nella forma e nel contenuto. Chi giura deve compiere tale atto sinceramente e solennemente, e deve esprimere il giuramento in maniera accurata, solenne secondo il testo prescritto dalla legge che include fra l’altro le seguenti parole “Sosterrò la costituzione della regione amministrativa speciale di HK della repubblica popolare cinese, e porterò fedeltà alla regione amministrativa speciale di HK della repubblica popolare cinese”

Una persona che, nel giurare, legge un testo che con sia in accordo con quello prescritto dalla legge, o lo fa in una maniera che non sia sincera e solenne è squalificato dall’assumere un pubblico ufficio.

Il giuramento è un impegno legale assunto nei confronti della Repubblica Popolare Cinese e della sua regione amministrativa speciale di HK ed è giuridicamente vincolante. Chi giura deve credere sinceramente al giuramento ed attenersi rigorosamente ad esso. Chi presta un falso giuramento, o, dopo averlo fatto agisce in maniera difforme ad esso, si assume la responsabilità legale secondo la legge.

E’ un testo molto ridondante e apparentemente inutile, ma, nei fatti, determina un impegno estremamente rigido. Esso infatti è sostanzialmente molto simile al nostro “Giuro di essere fedele alla repubblica ma lì si giura di essere fedele alla repubblica popolare cinese e alla sua regione amministrativa a statuto speciale di HK. Ciò non è altro che l’articolo 1 della costituzione di HK, ma oggi impedisce sul nascere l’accesso agli indipendentisti e, peggio ancora, li espone senza attenuanti a conseguenze penali molto pesanti di sovversione secondo la legge di sicurezza nazionale.

In questa atmosfera di calma forzata si è tornato a parlare dei veri problemi di HK. Prima ancora che finissero i disordini a HK, il quotidiano cinese in lingua inglese Global Times aveva già lanciato un segnale che il governo di Pechino avrebbe cambiato la sua tradizionale politica di non interferenza nel sistema paleo-capitalistico di HK. Il 18/9/2019 scriveva

“La disuguaglianza economica può essere considerata alla base dell’instabilità sociale nella città. La casa rimane uno dei problemi più gravi e difficili che i cittadini devono affrontare: sia quelli a basso reddito che i giovani funzionari”.

“Non mi piacciono i disordini attuali ma i giovani sono oggi pieni di rabbia – dice un proprietario di un mini-appartamento – Molti giovani non hanno un posto in cui vivere… Gli appartamenti sono così piccoli che bagno e cucina sono di fatto la stessa stanza”. “Una coppia di giovani laureati, funzionari dello stato pagano un affitto di 2500 $ per un appartamento di 30 m2…. Del resto HK ha i prezzi della casa più alti al mondo. Un’abitazione media costa oggi a HK 20.000$/m2, mentre a Singapore costa circa 10.000 $/m2 e a Shanghai 9.000 $/m2… I quattro grandi immobiliaristi di HK posseggono i più grandi imperi economici e Li Ka-Shing ha un patrimonio netto di 28,2 miliardi di $.”. “E’ arrivato il momento di rivalutare gli interessi a breve termine e quelli a lungo termine e attuare un bilanciamento fra interessi individuali e interessi generali di sviluppo sociale… Tung Chee-Hwa , il primo Chief Executive dopo il ritorno di HK alla Cina aveva proposto un piano per la realizzazione di case popolari ma esso fu rigettato non solo dagli immobiliaristi ma anche da membri della classe media, timorosi di un crollo del prezzo delle case“

Questo articolo, ancorché a mio avviso assolutamente giusto e giustificato, costituisce il primo intervento reale della Cina nel principio “Un Paese due sistemi”, molto più profondo di quanto sia successo di fronte agli  “indipendentisti” che chiedevano apertamente l’indipendenza (ed il supporto dei governi stranieri) in aperta violazione dell’articolo 1 della costituzione. Purtroppo nessuno (per quanto ne so) dei media occidentali ha trattato questo grande problema che io avevo denunziato più volte.

Oggi, fortunatamente, c’è un gran fiorire di proposte a tutti i livelli sulla maniera più rapida e opportuna per realizzare finalmente un piano di case popolari. Esistono un’infinità di proposte, fra cui quella di più rapida attuazione è stata di dare una sovvenzione ai cittadini a reddito basso per l’affitto di una casa. All’obiezione che questo avrebbe immediatamente creato un aumento dei canoni di affitto e quindi fosse necessario applicare un blocco all’aumento degli affitti, la risposta è stata che “in Un Paese di libero mercato questo non sarebbe accettabile”. Resta allora il sistema più evidente: espropriare aree fabbricabili oppure crearne delle nuove eventualmente cambiando la loro destinazione d’uso. Esiste da molti anni una proposta governativa di creare in mare un’isola artificiale su cui creare un grande quartiere di case popolari, ma essa è bloccata da tempo dagli ambientalisti ed oggi non sarebbe comunque accettabile per i lunghissimi tempi di realizzazione, oltre dieci anni. Per quanto riguarda le prime due idee invece, l’esproprio viene osteggiato da molti in quanto violazione del libero mercato e della proprietà privata, mentre l’altro, il cambio della destinazione d’uso, per esempio rendendo edificabile un’area oggi destinata a verde pubblico, è avversato perché farebbe inevitabilmente abbassare il valore delle case nei quartieri circostanti. Ne esistono anche molte altre che vi risparmio. Ovviamente il problema è sempre lo stesso: enormi interessi privati. Il cambio di posizione, per adesso non formale, del governo centrale fa capire però che, anche secondo Pechino, qualcosa si deve fare ed è significativo che alcuni grandi proprietari abbiano solo ora proposto di cedere all’amministrazione alcuni terreni di loro proprietà oppure costruire e mettere in vendita case a prezzo calmierato, concordato col governo. Si tratta però di poca cosa rispetto alle necessità anche se potrebbe essere un buon punto di partenza. “Bisogna però capire – dicono altri – quali garanzie chiederebbero in cambio al momento della reale stipula dell’accordo”.

Come potete vedere dai miei precedenti articoli, Il South China Morning Post, autorevole giornale di HK che vi ho spesso citato, si è battuto da sempre per una soluzione di questo problema e il 9 giugno scorso ha scritto un articolo (seguito da un altro il 17 giugno) a mio avviso molto interessante.

“HK ha bisogno di reinventarsi – sostiene – la legge sulla sicurezza nazionale ha calmato le acque ma non può curare i mali della società di HK, compresa la diffusa frustrazione per l’alto costo della vita, gli alloggi inaccessibili e un sistema economico che avvantaggia pochi privilegiati ma esclude la gente comune”. Si tratta di un principio che la Cina non ha mai osato toccare per non essere accusata di violare la regola di “due sistemi”. “la verità è che la forma estrema di capitalismo che ha servito così bene HK nel XX secolo (una ricerca cieca dei profitti aziendali) è diventata controproducente nel XXI secolo. I profitti aziendali e la felicità delle persone normali mostrano una correlazione sempre più negativa e dobbiamo invertire la tendenza ricostruendo la società per essere più inclusiva… La priorità della politica del governo deve essere la felicità delle persone.... Secondo la Banca Mondiale il PIL pro-capite di HK nel 2019 è stato 48.700$ contro 42.300$ di UK 40.500$ della Francia e 40.200$ del Giappone e le enormi riserve monetarie di HK permettono di far fronte ad un’emergenza”. “L’emergenza abitativa è in crisi e HK dovrebbe immediatamente mettere in atto un massiccio piano di bonifica di alcuni territori, la conversione in aree fabbricabili di alcune zone destinate a verde e chiedere a Pechino di affittare dei terreni nel vicino territorio del Guandong per utilizzo di HK <ciò che gli Inglesi fecero con i Nuovi Territori affittati dalla Cina per 99 anni>…. Non vogliamo con ciò far crollare il prezzo delle case esistenti che rappresentato i risparmi di una vita per moli cittadini della Classe Media. Seguiamo l’esempio di Singapore”

“Anche la tassazione deve crescere. HK ha un’aliquota massima del reddito personale pari al 17% e 16,5% per quella aziendale. In Cina sono rispettivamente 45% e 25%, a Singapore 22% e 17%.... E’ evidente che tutto ciò colpirebbe grandi interessi esistenti e i ricchi protesteranno certamente ma si renderanno conto ben presto che HK resta comunque un posto vantaggioso…. Un capitalismo riformato come questo non spaventerebbe Pechino, anzi il cosiddetto capitalismo di stato cinese è molto vicino ad un “capitalismo degli stakeholders” con grande attenzione alla sostenibilità e all’interesse pubblico” “Che cosa si oppone quindi alla rinascita di HK? La mentalità delle élite di HK nel mondo degli affari, del servizio civile e delle professioni. Sono in genere persone oltre i 50 anni cresciuti durante il miracolo economico del XX secolo, agganciati a idee ormai obsolete. Essi guardano indietro e mancano di una visione del futuro.” “Nel 2047 lo status di HK avrà termine se Pechino non lo estenderà. Dobbiamo assolutamente cambiare HK oggi per creare una situazione che permetta questa estensione”   

E’ interessante sapere che il cinese Global Times in un articolo del 19/5/2020 preconizzava la possibilità di creare due quartieri di HK in aree del Guandong rispettivamente a mezz’ora dall’aeroporto di HK la prima, e l’altra molto vicina a Kowloon. In esse si potrebbero costruire da 160.000 a 200.000 unità abitative in due anni.

Chiediamoci allora perché a mia conoscenza nessun giornale occidentale abbia mai affrontato questo problema di cui parlo da due anni? Forse perché alla politica occidentale fa più comodo immaginare una HK oppressa che cerca l’indipendenza dal giogo cinese piuttosto che una città che affronta il futuro tranquillamente e in buona armonia con la madre patria?

Le truppe inglesi affrontano i rivoltosi a HK nel 1967

Le truppe inglesi affrontano i rivoltosi a HK nel 1967

Commenti

RM

23.11.2022 15:42

Grazie, leggo sempre con piacere i tuoi articoli.

Nathalie GOUJON

31.05.2022 13:16

Notevole questo articolo del 30 maggio. Attendo con impazienza il seguito tra un mesetto! Grazie Nino per il tempo che dedichi a provare a colmare la nostra immensa ignoranza. A presto.

Nino

31.05.2022 14:33

Grazie a te. So bene che i miei articoli sono abbastanza "pesanti" e quindi talvolta noiosi

Ultimi commenti

23.11 | 15:42

Grazie, leggo sempre con piacere i tuoi articoli.

19.09 | 17:02

O.K. !!!

31.05 | 14:33

Grazie a te. So bene che i miei articoli sono abbastanza "pesanti" e quindi talvolta noiosi

31.05 | 13:16

Notevole questo articolo del 30 maggio. Attendo con impazienza il seguito tra un mesetto! Grazie Nino per il tempo che dedichi a provare a colmare la nostra immensa ignoranza. A presto.

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